LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10963-2018 proposto da:
O.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FROLDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****;
– intimato –
avverso il decreto n. R.G. 5900/2017 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. – O.J., proveniente dalla Nigeria, proponeva domanda di protezione internazionale: domanda che veniva respinta dalla competente Commissione territoriale.
Il Tribunale di Ancona, avanti al quale era impugnato il suddetto provvedimento reiettivo, respingeva a propria volta il gravame, osservando come non ricorressero le condizioni per il riconoscimento, al richiedente, dello status di rifugiato e ritenendo, altresì, che non potesse farsi luogo nè alla protezione sussidiaria, nè al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. – Il decreto del Tribunale marchigiano è impugnato per cassazione da O.J.; il ricorso si fonda su di un unico motivo. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’istante lamenta la violazione i falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Deduce che il Tribunale avrebbe omesso di “verificare la veridicità del fatti e la corrispondenza tra quanto detto dinanzi alla Commissione territoriale e nel ricorso di primo grado ascoltando il richiedente protezione internazionale nonchè ponendolo nella condizione di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni, deduzioni e mezzi probatori”. In presenza di lacune nella ricostruzione della vicenda che riguardava esso ricorrente il giudice del merito avrebbe dovuto attivare le autorità competenti per il reperimento di documenti.
2. – Il ricorso è inammissibile.
Il Tribunale ha ritenuto inattendibile la narrazione dei fatti operata dal ricorrente, il quale ha riferito della propria omosessualità e della circostanza per cui suo padre lo aveva denunciato all’autorità di polizia a seguito della scoperta del compimento di atti sessuali con un proprio compagno; il Tribunale ha osservato, in particolare, che la vicenda descritta appariva inverosimile e che la condotta dello stesso istante, il quale aveva taciuto il proprio orientamento sessuale una volta giunto in Italia, appariva non congruente col riconoscimento dell’asserita omosessualità. Ha inoltre escluso il rischio che il richiedente sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel paese di origine, escludendo, in particolare, l’esposizione del medesimo alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; ha infine negato la sussistenza di quelle condizioni residuali di vulnerabilità che giustificherebbero la protezione umanitaria.
Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, n. 251, art. 3, comma 5, se il richiedente non ha fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri in presenza delle condizioni ivi indicate, tra cui è ricompresa la coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese, che devono essere correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il caso (cfr. Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138; cfr. pure Cass. 10 luglio 2014, n. 15782). La valorizzazione, da parte del giudice del merito, delle incongruenze della narrazione dell’istante appare pertanto coerente con la nominata disciplina.
D’altro canto, la censura attinente alla mancata spendita dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione, risulta essere connotata da assoluta genericità e appare, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma nemmeno precisa se tali informazioni si riferiscano alla domanda di protezione internazionale, a quella di protezione sussidiaria o a quella finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: se esse concernano, cumulativamente, tutte queste domande, o solo alcune di esse.
3. Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali, stante la mancata resistenza dell’intimato.
L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 stante la prenotazione a debito operata in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018