LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9955-2017 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (C.F. *****), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
C.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIA DEI MILLE 34, presso l’ISTITUTO E. MONTALE presso lo studio dell’avvocato UMBERTO MANCUSO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto n. R.G.V.G. 7770/2014 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 18/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI Francesco.
RILEVATO
che:
il Ministero della Giustizia ricorre per cassazione nei confronti del provvedimento col quale il tribunale di Napoli ha liquidato in favore di C.S.G. la somma di Euro 7.632,00 a titolo di risarcimento per le condizioni di detenzione subite in distinti periodi, tra il 2006 e il 2011, presso gli istituti penitenziari di Napoli, in violazione dell’art. 35-ter dell’ord. pen.;
l’intimato ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
col primo motivo di ricorso il ministero denunzia la violazione dell’art. 2947 cod. civ., nonchè dell’art. 35-ter succitato, poichè il tribunale avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione del credito vantato ritenendo applicabile alla fattispecie il termine decennale, in ragione del tipo di responsabilità da “contatto”, anzichè il termine quinquennale correlato alla natura aquiliana dell’illecito;
col secondo motivo il ministero deduce la violazione dell’art. 35-ter citato sotto il profilo del calcolo dello spazio disponibile minimo da garantire a ciascun detenuto;
il primo motivo è manifestamente infondato, dovendosi soltanto correggere la motivazione del provvedimento;
il tribunale ha ritenuto che il rimedio in questione sia di carattere risarcitorio da contatto sociale, con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione con decorrenza unitaria a ritroso dalla data della domanda;
la motivazione del decreto del tribunale va corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., giacchè questa Corte ha di recente chiarito che il diritto alla somma di denaro (otto Euro) per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Cedu, previsto dall’art. 35-ter, comma 3, ord. pen., si prescrive in effetti in dieci anni ma in ragione della natura indennitaria del rimedio, e non della natura risarcitoria;
il termine decennale invero decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle indicate condizioni;
in pratica: il rimedio compensativo di cui si tratta ha natura indennitaria, a dispetto del nomen attribuito dal legislatore, che parla di risarcimento, ed è nuovo nel senso indicato dalla norma; ne consegue che coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima dell’entrata in vigore della nuova norma hanno anch’essi diritto all’indennizzo per i periodi anteriori – salvo che non siano incorsi in decadenza D.L. n. 92 del 2014, ex art. 2 (cosa non eccepita nel caso di specie) – ma il termine di prescrizione decorre, in tal caso, dal 28-6-2014, data di entrata in vigore del D.L. citato (Cass. Sez. U n. 11018-18);
il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
il tribunale ha ritenuto che lo spazio fruibile per il detenuto nei periodi in questione, all’interno di celle destinate a più persone, era stato inferiore a 3 mq., considerando la necessità di escludere la superficie occupata dai servizi igienici e dai letti, al lordo invece degli ulteriori arredi;
la critica svolta dal ricorrente è che ai fini del computo dello spazio fruibile si sarebbe dovuta considerare la superficie tout court della camera di pernottamento, dividendola per il numero degli occupanti e “senza sottrarre l’area occupata dal mobilio presente nella cella”; sennonchè una simile critica è nella sua astrattezza errata e in ogni caso non appare pertinente a quanto ritenuto dal giudice del merito; il tribunale ha giustappunto incluso la computabilità del mobilio presente nelle camere di pernottamento, fatti salvi i letti sovrapposti “a castello”, giudicando in relazione a periodi di detenzione continuativa di lunga durata all’interno di celle sovraffollate (segnatamente per giorni 252, 295, 214 e 193);
il tribunale ha ritenuto invero esistenti le condizioni del trattamento penitenziario non conforme alle prescrizioni della Cedu in base a un complessivo ragionamento facente leva innanzi tutto sul profilo dello spazio minimo fruibile – correttamente determinato al netto di quanto necessario alle ordinarie minimali esigenze di igiene e riposo; e ha accertato che, nei periodi in questione, al detenuto alloggiato in celle promiscue era stato garantito uno spazio minimo sempre inferiore a mq. 3;
la valutazione del giudice del merito non contiene errori di diritto, dal momento che è pacifico che il letto assegnato al detenuto costituisce un elemento di arredo ineliminabile in termini di umanità del trattamento, sicchè non è seriamente discutibile che il relativo spazio di ingombro debba essere escluso dal computo della superficie disponibile;
il ministero ricorrente, asserendo che il calcolo dello spazio disponibile all’interno della cella di pernottamento sia solo uno degli elementi di valutazione relativa all’accertamento della violazione dell’art. 3 della Cedu, contesta poi che di tale elemento debba necessariamente tenersi conto allorchè esso sia infine computabile in superficie inferiore a 3 mq., ed evoca a supporto la più recente giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo;
tale giurisprudenza non giova, tuttavia, alla tesi;
la decisione della Grande camera della Corte Europea, 20-10-2016, Mursic c. Croazia, esplicitamente richiamata, si palesa confermativa dell’esattezza del criterio di valutazione utilizzato dal tribunale nel caso di specie, perchè con quella decisione la Corte Europea ha condannato (con unanimità di voti) la Croazia in relazione alla detenzione del soggetto ricorrente in uno spazio di mq. 2,62 per 27 giorni consecutivi, limitandosi a dire (a maggioranza) non violato l’art. 3 della Cedu con riferimento alla detenzione in spazi inferiori a mq. 3 “per periodo non consecutivi di più breve durata”, e peraltro ove risultino fattori cd. “allevianti”, quali la libertà di movimento e lo svolgimento di attività all’esterno della cella; fattori, codesti, che non appaiono neppure dedotti nel caso di specie, la cui concreta caratterizzazione è invece nel senso della perdurante esistenza, in periodi di detenzione lunghi e continuativi, di condizioni di spazio disponibili non consoni al rispetto della dignità della persona;
la oggettiva controvertibilità della questione fatta oggetto del primo motivo, che ha imposto l’intervento delle Sezioni unite della Corte, giustifica la compensazione delle spese processuali;
non rileva invece il disposto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, in quanto l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato – che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v. per tutte Cass. n. 1778-16).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018