LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29725-2015 proposto da:
I.R. rappresentato e difeso dall’avvocato BACHINI ROMINA;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI TERNI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GENNARI;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 441/2015 del TRIBUNALE di TERNI, depositata il 12/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2018 dal Consigliere ELISA PICARONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato BACHINI Romina, difensore, del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Terni, con sentenza depositata in data 12 maggio 2015, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Terni avverso la sentenza del Giudice di pace di Terni n. 122 del 2013, e nei confronti di I.R..
1.1. Il Giudice di pace aveva accolto l’opposizione al verbale n. *****, con il quale la Polizia Municipale di Terni contestava al sig. I. la violazione dell’art. 142 C.d.S., per superamento del limite di velocità accertato a mezzo di apparecchiatura di rilevamento automatico.
2. Il Tribunale, previo mutamento del rito e nella contumacia dell’appellato, ha riformato la decisione, ritenendo erroneo il rilievo del Giudice di pace, secondo cui mancava nella specie la corretta presegnalazione del controllo a distanza della velocità.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Raniero I. sulla base di due motivi, anche illustrati da memoria. Resiste con controricorso il Comune di Terni. Il ricorso, già chiamato all’adunanza camerale del 10 marzo 2017, è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria in data 7 giugno 2017, per mancanza di evidenza decisoria, e quindi fissato per decisione all’odierna udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato.
1.2. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4,artt. 24 e 111 Cost., nonchè motivazione contraddittoria e si lamenta che l’ordinanza in data 5 giugno 2014, di mutamento del rito, non prevedeva l’assegnazione del termine perentorio ai fini della eventuali integrazione degli atti, e non era stata notificata all’appellato contumace.
2. La doglianza, che involge la questione dei limiti di applicazione del rito del lavoro alle controversie in materia di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, è infondata.
2.1. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 escludendo di dover procedere alla fissazione del termine perentorio per consentire l’eventuale integrazione degli atti introduttivi.
Come hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 10 febbraio 2014, n. 2907, i giudizi di opposizione ad ordinanza – ingiunzione e quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del C.d.S., introdotti dopo la data di entrata in vigore del citato D.Lgs. (6 ottobre 2011), sono regolati dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del medesimo D.Lgs.. il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 256 infatti, dispone, al comma 1, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2^ (rubricato “Delle controversie regolate dal rito del lavoro”), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’art. 413 c.p.c., art. 415 c.p.c., comma 7, artt. 417,417-bis e 420-bis c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 3, artt. 425,426 e 427 c.p.c., art. 429 c.p.c., comma 3, art. 431 c.p.c., commi dal 1 al comma 4 e comma 6, art. 433 c.p.c., art. 438 c.p.c., comma 2 e art. 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’art. 433, concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’art. 438, comma 2, contenente il rinvio all’art. 431, in tema di esecutorietà della sentenza, e all’art. 439, concernente il cambiamento del rito in appello (tra le molte, Cass. 02/11/2015, n. 22390; più di recente, Cass. 04/01/2018, n. 72).
2.2. All’argomento testuale si affianca, completandolo, l’argomento desumibile dalla ratio dell’art. 426 c.p.c..
L’assegnazione del termine perentorio ha lo scopo di porre le parti in grado di regolarizzare la difesa in funzione del rito speciale, cosicchè le preclusioni discendenti dagli artt. 414 e 416 c.p.c. maturano solo dopo la scadenza del termine, e in coerenza con tale ratio, l’art. 426 – in comb. disp. con gli artt. 20 e 292 c.p.c. – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la comunicazione al contumace dell’ordinanza che fissa l’udienza di discussione ed il termine perentorio per l’integrazione degli atti (Corte cost. n. 14 del 1977). Secondo il Giudice delle leggi, in ipotesi di fissazione di un termine stabilito per il compimento di atti la cui omissione importi un pregiudizio per situazione soggettiva giuridicamente tutelata (…), la garanzia di cui all’art. 24 Cost.deve estendersi alla conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso, al fine di assicurarne all’interessato l’utilizzazione nella sua interezza, e la parte contumace, se non riceve comunicazione dell’ordinanza che fissa il termine perentorio per l’integrazione degli atti, non è posta in grado di conoscere il dies a quo di decorrenza del termine stesso con l’impiego della normale diligenza.
2.3. L’esigenza sottesa alla assegnazione del termine ex art. 426 c.p.c. e alla comunicazione della relativa ordinanza al contumace è assente nel caso in esame, di mutamento del rito in appello, essendo già intervenute le decadenze a carico delle parti, costituite o contumaci che siano.
3. Con il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione del d.l. n. 121 del 2002, art. 4 conv. con modif. dalla L. n. 168 del 2002 e Art. 142 C.d.S., comma 6-bis, nonchè del D.M. trasporti 15 agosto 2007 e della direttiva del Ministro dell’interno del 14 agosto 2009, il ricorrente censura l’affermazione del giudice d’appello riguardo all’adeguatezza della segnalazione della postazione di rilevamento automatico della velocità, con riferimento sia alla distanza tra il cartello di preavviso e la postazione di controllo, sia alla assenza di identico cartello sul lato sinistro della carreggiata. Trattandosi di strada a doppia corsia, ad alta intensità di traffico e ad elevato indice di pericolosità – donde l’inserimento nel decreto prefettizio citato nel verbale di contestazione – il ricorrente assume l’inidoneità del cartello, posto a distanza di circa 100 mt. dalla postazione di controllo e soltanto sul lato destro della carreggiata, ad assicurare il tempestivo avvistamento ed una buona visibilità del segnale anche ai conducenti in marcia sulla corsia di soprasso.
3.1. Il motivo, che censura solo una delle rationes poste dal Tribunale a fondamento della decisione impugnata, è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (ex plurimis e da ultimo, Cass. 18/04/2017, n. 9752).
Nella specie, il Tribunale, dopo aver ritenuto che i cartelli di segnalazione delle apparecchiature di rilevamento automatico della velocità non rientrino nel novero dei segnali prescrizione, di cui all’art. 104 reg. esec. C.d.S. (D.P.R. n. 495 del 1992), e siano regolati dall’art. 124 medesimo regolamento, ha ulteriormente rilevato che la sentenza di primo grado non aveva accertato la non visibilità in concreto della segnalazione esistente. Tale rilievo, riferito alla inadeguatezza dell’accertamento in fatto compiuto dal primo giudice, costituisce autonoma ratio decidendi non censurata dal ricorrente, con conseguente consolidamento che rende priva di interesse la censura di violazione di legge.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 710,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018
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