LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21095-2016 proposto da:
D.R.E., in proprio e n.q. di tutore dell’interdetto D.R.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO XI 13, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LICUORI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 21/04/2016, R.G.n.52150/2011 VG;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 Con decreto 21.4.2016 la Corte d’Appello di Roma, ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89 proposta da D.R.E. (in proprio e quale tutore dell’interdetto Giuseppe D.R.) in relazione alla irragionevole durata di un giudizio risarcitorio, definito con sentenza 6.3.2009 (non notificata) e corretta ai sensi degli artt. 287 e ss. c.p.c. con successiva ordinanza depositata l’1.10.2009 e comunicata il 13.10.2009.
Per giungere a tale conclusione, la Corte d’Appello ha rilevato che ai fini della tempestività della domanda (sei mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che ha definito il giudizio presupposto) occorreva partire dalla data di deposito della sentenza (6.3.2009) e non da quella di deposito dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale (1.10.2009), atteso il carattere non decisorio di tale ultimo provvedimento ribadito anche dalle sezioni unite.
2 Per la cassazione di tale decreto ricorre il D.R. (nella predetta qualità), sulla base di un unico motivo illustrato da memoria. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione di norme di diritto rimproverandosi alla Corte d’Appello di Roma di avere errato nel calcolare la data di definitività della sentenza del 6.3.2009 perchè il termine lungo di un anno e 46 giorni andava fatto decorrere non già dalla suddetta data del 6.3.2009, ma dalla data del deposito dell’ordinanza di correzione, cioè dal 1.10.2009, e quindi la sentenza, per le parti corrette (relative al quantum), era passata in giudicato il 17.11.2010: da ciò derivava, come ulteriore conseguenza, che il ricorso per l’equa riparazione, depositato nella cancelleria il 15.3.2011, doveva ritenersi tempestivo perchè proposto entro il termine di sei mesi prescritto dalla L. n. 89 del 2001.
Il motivo è fondato.
Il diritto di ogni persona a che “la sua causa sia esaminata… in un tempo ragionevole” – attribuito sia dall’art. 6, comma 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, richiamato già dalla L. 24 maggio 2001, n. 89, art. 2, comma 1, sia dall’art. 111 Cost. – consiste nella garanzia di ottenere, in un tempo ragionevole, concreta soddisfazione in giudizio delle proprie ragioni ovvero contezza dei motivi per cui queste non debbano essere accolte. In tale prospettiva, l’espressione “decisione… definitiva”, contenuta nella L. n. 89 del 2001, art. 4non coincide con quella di sentenza passata in giudicato, ma indica il momento in cui il diritto azionato ha trovato effettiva realizzazione: onde il diritto all’equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della citata L. n. 89 del 2001, è configurabile anche in relazione al procedimento di esecuzione e ai fini della sua insorgenza viene in rilievo il tempo occorso per l’attività di qualsiasi organo dello Stato, oggettivamente incidente sulla definitiva risposta, in termini di effettività, alla domanda di giustizia del cittadino. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, deve computarsi nel periodo di durata complessiva del giudizio anche il tempo occorso per ottenere, con distinta procedura, la correzione di un errore materiale della sentenza che rendesse quest’ultima ineseguibile. (v. Sez. 1, Sentenza n. 19435 del 06/10/2005 Rv. 585184, richiamata in Sez. 6 – 2, Sentenza n. 17727 del 2016 non massimata).
In tal caso, il processo deve intendersi concluso alla data del provvedimento di correzione. Infatti, non può concludersi logicamente che il ricorrente abbia ottenuto concreta soddisfazione delle sue ragioni….prima di poter disporre della sentenza corretta (v. Sez. 1, Sentenza n. 19435/2005 cit. in motivazione) Più di recente, è stato altresì precisato che in tema di equa riparazione, nel computo di durata complessiva del processo va incluso anche il tempo occorso per ottenere, con distinta procedura, la correzione di un errore materiale della sentenza che, altrimenti, sarebbe ineseguibile, purchè vi sia continuità tra giudizio di cognizione e procedura di correzione e, dunque, l’errore sia fatto valere tempestivamente e, comunque, non oltre il termine di sei mesi dalla definizione del processo di cognizione (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 23187 del 14/11/2016 Rv. 641686; Sez. 6 – 2, Sentenza n. 17727/2016 cit.; stessi principi si traggono da Sez. U, Sentenza n. 9142 del 06/05/2016 Rv. 639530 in tema di valutazione unitaria dei procedimenti di cognizione ed esecuzione;).
Nel caso in esame, la sentenza del Tribunale di Napoli del 6.3.2009, che aveva definito il giudizio risarcitorio, conteneva un chiaro errore materiale nell’importo totale liquidato perchè la somma delle varie voci di danno riconosciute ammontava a Euro 21.011,30 e non a Euro 20.011,30 come invece disposto.
Ora, essendo evidente che un tale errore materiale nel dispositivo avrebbe comportato l’ineseguibilità della sentenza per l’importo realmente riconosciuto al creditore (C21.011,30), nel computo di durata complessiva del processo andava incluso anche il tempo occorso per ottenere, con distinta procedura, la correzione del detto errore materiale, essendovi continuità tra giudizio di cognizione e la procedura di correzione (il ricorso per la correzione di errore materiale risulta infatti depositato il 26.6.2009 e quindi entro i sei mesi dal deposito della sentenza, avvenuto il 6.3.2009).
Pertanto, sulla scorta dei citati principi, per individuare la data di definitività del procedimento da cui far decorrere il termine semestrale per la proposizione del ricorso di equa riparazione (L. n. 89 del 2001, ex art. 4) la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere le mosse dal 1.10.2009, data del deposito dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale, e a questa data avrebbe dovuto aggiungere il termine lungo di sospensione feriale (anni uno e giorni 46 applicabile ratione temporis) con l’individuazione della data di definitività della sentenza corretta al 17.11.2010 e conseguente tempestività della domanda di equa riparazione (depositata il 15.3.2011).
L’impugnato decreto va pertanto cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma che riesaminerà la domanda attenendosi ai principi esposti e all’esito regolerà anche le spese del presente giudizio.
PQM
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018