Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27378 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12887-2013 proposto da:

C.E. *****, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO CARDONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M., G.F., GECA DI G.F. & C. S.A.S. in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO & PARTNERS, rappresentati e difesi dagli avvocati VESCI GERARDO, PAOLO PUGLIESE, FERDINANDO ACQUA BARRALIS, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1043/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/10/2012 r.g.n. 654/2012.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Savona che aveva rigettato le domande proposte da C.E. nei confronti di C.M. e della Ge.Ca. s.a.s. tese al riconoscimento dell’esistenza di una comunione tacita familiare, ai sensi dell’art. 2140 cod. civ., prima della costituzione di un’impresa familiare, ai sensi dell’art. 230 bis cod. civ., avente ad oggetto l’esercizio di una officina meccanica.

2. Il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che con riguardo al periodo antecedente la costituzione dell’impresa familiare non fosse stata acquisita la prova della comunione tacita familiare. Ha osservato che, con il matrimonio dell’appellante, e prima dell’acquisto dell’immobile, era venuta meno la comunità di mensa e di tetto. Inoltre non era stato provato con quali fondi il terreno era stato acquistato e non vi era prova che vi fosse stato un unico peculio destinato indivisibilmente a fornire i mezzi economici di sostentamento della comunità familiare. A ciò la Corte territoriale aggiunge che la successiva costituzione dell’impresa familiare con indicazione dei criteri di distribuzione dei redditi, cui ha partecipato anche la moglie di C.M., è indice del fatto che in precedenza vi era un diverso assetto degli interessi. Quanto alla concessione di una parte del compenso della vendita di una modesta quota dell’immobile, il giudice di secondo grado ha ritenuto che si trattasse di un atto di liberalità nei confronti di un fratello con cui aveva lavorato per anni occasionato dal buon affare concluso.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.E. affidato ad due motivi ai quali resistono C.M., G.F. e la s.a.s. GECA di G.F. & C. con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata sia la violazione e/o errata applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per essere la sentenza corredata da una motivazione non idonea (insufficiente e/o contraddittoria) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sia la nullità della sentenza per difetto di motivazione.

4.1. Sostiene il ricorrente che essendo la motivazione della sentenza contraddittoria questa diverrebbe nulla. Rileva al riguardo che la sentenza sarebbe intrinsecamente contraddittoria. La Corte di merito da un canto ha ammesso che la mancanza di comunione di mensa e di tetto non esclude di per sè la dedotta comunione familiare e dall’altro ha escluso che gli altri elementi di prova acquisiti in giudizio fossero utili a dimostrarne la sussistenza. Osserva in particolare che il giudice di appello non avrebbe affatto considerato che nell’atto di costituzione dell’impresa familiare, adottato per effetto delle modifiche apportate con l’approvazione della legge sul diritto di famiglia, erano stati stabiliti i criteri di ripartizione degli utili inserendo tra i partecipanti anche G.F. moglie di C.M. e che la percentuale degli utili riservata all’odierno ricorrente, collaboratore d’impresa, era rimasta invariata rispetto al precedente esercizio in comune dell’attività. La circostanza della costituzione dell’impresa familiare, resa possibile solo con l’entrata in vigore della modifica legislativa, non può essere intesa, come ritenuto dalla Corte di merito, quale confermativa dell’inesistenza di una comunione tacita familiare nell’esercizio dell’impresa con riguardo al periodo precedente. Al contrario dall’attività comune svolta in precedenza deve essere desunta proprio la comunione.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe del tutto trascurato di prendere in esame le ulteriori richieste formulate in via accessoria e/o subordinata che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non erano affatto rimaste assorbite poichè non avevano come presupposto l’accertamento dell’esistenza di un’impresa familiare. In particolare alla domanda di consegna del libretto di deposito a risparmio n. ***** in essere presso la CA.RI.SA. agenzia di *****, vale a dire del libretto dove i fratelli C. si accordarono per versare la parte del compenso che non era stata tra loro distribuita, avrebbe dovuto essere presa in esame dalla Corte e decisa a prescindere dalla fondatezza delle altre domande avanzate.

6. Il primo motivo di ricorso, sebbene proposto come violazione di legge (art. 132 cod. proc. civ.) nella sostanza si risolve nella denuncia di una non idonea motivazione sotto il profilo della sua insufficienza e contraddittorietà. Anche dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito nella L. n. 134 del 2012, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto. Al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5) presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (cfr. Cass. 20/11/2015 n. 23828 e 08/10/2014n. 21257). Orbene nel caso in esame la censura, così riqualificata – pur non incorrendo nel limite introdotto con l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 che ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 si applica ai giudizi di appello introdotti dopo la sua entrata in vigore – è tuttavia soggetto alle regole dettate dall’art. 360, comma 1, n. 5 nella sua nuova formulazione sicchè risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta nella violazione di legge che diviene costituzionalmente rilevante, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. per tutte Cass. s.u. 07/04/2014 n. 8053).

6.1. Esaminata la censura in tale prospettiva essa è infondata. La motivazione, sebbene sinteticamente, dà conto della ricostruzione dei fatti che è stata operata e non può certo dirsi mancante, nè tanto meno apparente o irriducibilmente contraddittoria o perplessa. Con la censura, d’altra parte, non è evidenziata la pretermissione di una o più circostanze decisive ma si chiede piuttosto una diversa ricostruzione dei fatti esaminati dalla Corte territoriale che in questa sede è preclusa.

7. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato poichè la domanda di consegna del libretto è comunque strumentale all’accertamento dell’impresa familiare poichè su tale libretto fu versato l’importo della cessione al comune di Finale ligure di un terreno pacificamente intestato a C.M.. Ne consegue che solo in esito alla dimostrazione dell’esistenza di una comunione, esclusa dalla Corte, sarebbe venuta in rilievo la domanda di restituzione del 50% dell’importo versato sul libretto di deposito.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R..

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 5000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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