Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27391 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19458/2014 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO DAVERIO, SALVATORE FLORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 262/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/01/2014 R.G.N. 7675/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3/07/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;

udito l’Avvocato BENEDETTO SPINOSA;

udito l’Avvocato DORIANA CONSERVA per delega verbale Avvocato MASSIMO LOTTI;

udito l’Avvocato SALVATORE FLORIO.

FATTI DI CAUSA

1.1. Con ricorso al Tribunale di Roma F.M. agiva nei confronti di Unicredit S.p.A. per ottenere la declaratoria d’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 9/7/2009 con le conseguenti pronunce reintegratoria e risarcitoria.

1.2. Il Tribunale respingeva la domanda.

1.3. La Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta dal F..

Riteneva la Corte territoriale che l’appello fosse stato costruito in maniera difforme rispetto alla previsione di cui all’art. 434 c.p.c., nel testo vigente a far data dall’11/9/2012, in quanto l’appellante, pur avendo contestato la decisione di prime cure, aveva omesso di indicare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza che si era confrontata in maniera analitica con le eccezioni proposte, con la valutazione dei fatti accertati e con la conseguente riconducibilità alla fattispecie della giusta causa del licenziamento in questione.

2. Per la Cassazione della sentenza ricorre F.M. con cinque motivi.

3. Unicredit S.p.A. resiste con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Lamenta che la Corte territoriale, ritenendo che l’appello debba essere redatto in modo più strutturato ed organico rispetto al passato, abbia interpretato la norma denunciata in modo difforme rispetto alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 3 (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’appellante non avesse spiegato, seguendo l’ordine delle questioni valutate in sentenza, le ragioni per cui i motivi del licenziamento non potessero considerarsi specifici e rileva che in sede di atto di appello ai punti da 16 e 19 della parte in fatto si erano richiamati documenti prodotti in relazione ai quali era stata dedotta l’insufficienza della motivazione del Tribunale circa l’affermata specificità dei motivi del licenziamento.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 604 del 1966, art. 3 e dell’art. 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Lamenta che la Corte territoriale, con riguardo all’affissione del codice disciplinare, abbia ritenuto che l’appellante si fosse limitato a contestare la parte della motivazione che ne esclude la necessità, senza nulla obiettare in ordine alle affermazione che l’affissione era stata dimostrata laddove aveva formato oggetto di specifica censura la circostanza che non si discutesse di comportamenti penalmente rilevanti ovvero di comportamenti direttamente e gravemente lesivi degli interessi della Banca ed era stato altresì evidenziato che, nella specie, il codice disciplinare, meramente ripetitivo del c.c.n.l. non contenesse alcun riferimento ai fatti contestati al ricorrente.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 e dell’art. 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’appello non si fosse confrontato con l’affermazione del primo giudice in ordine all’effettivo contenuto della contestazione, non limitato al semplice ammanco ma esteso alla valutazione complessiva del comportamento del cassiere così grave da non richiedere la previa affissione del codice disciplinare, laddove l’appellante aveva sostenuto che si era trattato di un errore di contabilizzazione e non dunque di un comportamento doloso.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 604 del 1966, art. 3 e degli artt. 1455 e 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Lamenta che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare che in sede di atto di gravame l’appellante aveva sostenuto che il Tribunale avesse violato l’onere della prova sulla giusta causa di licenziamento e che questa non potesse essere dimostrata mediante un’indagine atomistica ma globale.

6. La censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 434 c.p.c., trasversale a tutti i motivi di ricorso, è fondata.

Come da questa Corte affermato, l’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,comma 1, lett. c) bis convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. Cass., Sez. U., 16 novembre 2017, n. 27199).

In realtà in tutti i motivi il ricorrente censura l’operata assimilazione dell’appello ad una impugnazione a critica vincolata e sotto questo profilo i rilievi sono fondati.

Il complessivo ragionamento della Corte territoriale, anche laddove esamina partitamente le censure mosse dall’appellante (riassunte, come si evince a pag. 3 della sentenza, nella mancata prova della giusta causa, tenendo conto dell’assenza di precedenti disciplinari e dei premi ricevuti, nell’ascrivibilità dell’ammanco di cassa ad un mero errore di contabilizzazione per il quale non era prevista alcuna sanzione, nella sproporzione dell’adottato provvedimento esplusivo quando era stato proprio il F. ad avvertire il direttore dell’ammanco, nella genericità dei motivi di licenziamento, nella mancata affissione del codice disciplinare, nella mancata indicazione del comportamento vietato nel codice disciplinare), è viziato da una interpretazione dell’art. 434 c.p.c., come novellato tale da imporre che l’appello debba essere redatto in modo più organico e strutturato rispetto al passato.

Ed infatti alla luce dei principi affermati dalla citata decisione di questa Corte a sezioni unite, n. 27199/2017 l’art. 434 c.p.c., nell’attuale formulazione non esige che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto o siano redatte a mò di “progetto alternativo di sentenza” e ciò per la ragione che l’ordinamento processuale italiano è ispirato ad un assetto teleologico delle forme.

Naturalmente, resta pur sempre indispensabile che l’appellante individui, sotto il profilo quantitativo, in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formuli, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.

Nella specie si evince dalla stessa sentenza impugnata (si veda il già sopra citato passaggio di cui alla pag. 3) oltre che dai passaggi della decisione di primo grado e dell’atto di appello ritualmente trascritti dal ricorrente in cassazione che le ragioni di dissenso erano state sufficientemente indicate e che vi era stata la formulazione di critiche relative a punti specifici della sentenza impugnata, indicandosi le ragioni a fondamento di tali critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, circoscrivendosi altresì l’ambito di esame del giudice del gravame.

7. Alla luce delle suddette considerazioni il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà all’esame dell’appello nel merito e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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