Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27393 del 29/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3532/2014 proposto da:

P.S., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13 (c/o CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1522/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 14/11/2013 R.G.N. 249/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento parziale del ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 14 novembre 2013 – in controversia concernente il diritto dell’attuale ricorrente all’iscrizione negli elenchi agricoli per l’anno 1998 per l’attività lavorativa alle dipendenze delle aziende agricole A.A. e G.C. – ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente alla regolazione delle spese di lite e, in parziale accoglimento del gravame svolto dall’attuale ricorrente, ha condannato l’INPS alla rifusione integrale delle spese del giudizio di primo grado, nella misura di Euro 2.057,63 (Euro 874,00 per diritti ed Euro 995,00 per onorari) e del giudizio di gravame, nella misura di Euro 1.250,00 per compensi professionali, oltre esborsi, con attribuzione all’avvocato antistatario Amato Tommaso.

2. Avverso tale sentenza P.S. ha proposto ricorso, ulteriormente illustrato con memoria, affidato a due motivi, al quale l’INPS ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. La ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 794 del 1942 e successive modifiche, della L. n. 1501 del 1957, art. unico, della tariffa professionale adottata con Delib. Consiglio Nazionale forense approvata con D.M. n. 127 del 2004 e relativa Tabella A, par. 2^, colonna 2^, nonchè violazione e falsa applicazione di legge e del principio del rispetto ed inderogabilità dell’onorario minimo di avvocato, per avere la Corte escluso, nella liquidazione dei diritti ed onorari di avvocato, molteplici voci tariffarie (quali la notifica della sentenza di primo grado, il diritto di consultazione e corrispondenza cliente, la redazione dell’intimazione testi e relativa notifica e accesso per ritiro ed esame dell’atto notificato, l’esame dell’ordinanza all’esito del mero rinvio, l’esame del dispositivo ed infine l’onorario per l’assistenza all’ udienza per tre udienze); con il secondo motive deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 140 del 2012, per l’erronea liquidazione del compenso professionale in relazione a due giudizi di appello riuniti, di cui il gravame incidentale di valore indeterminabile, con la conseguenza che la liquidazione non poteva essere inferiore ad Euro 1.980,00 applicando sul valore medio di liquidazione l’aumento del 20 per cento.

4. I motivi, congiuntamente esaminati, non sono meritevoli di accoglimento e la sentenza impugnata – corretta ed integrata nella motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, – non è suscettibile di cassazione per quanto di seguito esposto.

5. In continuità con il principio affermato da Cass., Sez. U, 12 ottobre 2012, n. 17405, e riaffermato, fra le altre, da Cass. 19 dicembre 2017, n. 30529, si applicano i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto che detti parametri abbia rideterminato, e si riferisca al compenso spettante al professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio, e si sia in parte svolta, vigenti le tariffe abrogate dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata.

6. Il compenso evoca, invero, la nozione di un corrispettivo unitario che ha riguardo all’opera professionale complessivamente svolta dal difensore nei pregressi gradi o fasi del processo e fino al momento in cui la prestazione professionale si esaurisce (v. Cass., Sez. U, n. 17405 del 2012 cit.).

7. Tale interpretazione è del resto coerente con l’interpretazione che si dà costantemente in riferimento al momento della decisione della lite o comunque dell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico dal cliente, ai fini della decorrenza della prescrizione triennale per le competenze dovute agli avvocati (art. 2957 c.c., comma 2; v., in termini, Cass. n. 30529 del 2017 cit.).

8. Tanto premesso, le censure che investono il quantum della liquidazione delle spese, nelle singole voci di diritti ed onorari alla stregua delle abrogate tariffe, vanno disattese correggendo la motivazione della sentenza impugnata giacchè il dispositivo risulta corretto e conforme ai nuovi parametri per la liquidazione dei compensi professionali, determinati ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 6, con D.M. Giustizia 8 marzo 2018, n. 37(pubblicato in G.U. n. 96 del 26 aprile 2018), recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, in considerazione del valore della causa, solo apparentemente indeterminabile vertendo il giudizio sul riconoscimento del rapporto agricolo per sole 102 giornate.

9. Quanto alla censura incentrata sull’applicazione della maggiorazione del 20 (venti) per cento per giudizi riuniti, comunque formulata alla stregua del vecchio sistema tariffario, è comunque assorbente il rilievo che con la riunione del gravame principale ed incidentale non sussistono le condizioni previste dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, comma 2, come modificato dal D.M. n. 545 del 2014 cit. (assistenza di un soggetto contro più soggetti).

10. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

11. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Sussistono le condizioni di applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 600,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del quindici per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472