Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27394 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 673/2014 proposto da:

P.R., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13 (c/o CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 889/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 26/06/2013 R.G.N. 1257/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento parziale del ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 889/2013, ha solo parzialmente accolto il gravame proposto da P.R. avverso la sentenza del locale Tribunale che, nel pronunciare favorevolmente sulla domanda volta all’accertamento del diritto alla iscrizione della medesima quale lavoratrice agricola subordinata, aveva condannato l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite nella sola misura di Euro 1.200,00 oltre accessori. La Corte territoriale aumentava ad Euro 1.629,00 il rimborso per le spese legali di primo grado, di cui Euro 1.049,00 per diritti ed Euro 580,00 per onorari, compensando integralmente le spese del grado di appello, in ragione del parziale accoglimento dell’impugnazione.

2. Avverso tale sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, poi illustrati anche da memoria e resistiti da controricorso I.N.P.S.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente afferma la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, della L. n. 1501 del 1957, art. unico, della tariffa forense di cui al D.M. 8 aprile 2004 e del principio dell’inderogabilità dei diritti e dell’onorario minimo, nonchè violazione dell’art. 2697 c.c. e difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di un fatto decisivo.

In particolare, la ricorrente lamenta che non fossero stati riconosciuti come dovuti i diritti inerenti alla notifica della sentenza (con relativo accesso agli uffici ed esame della relata), nonchè quelli riguardanti la richiesta di tre copie degli atti introduttivi del giudizio, resasi necessaria per l’esigenza di notificare gli stessi anche alla sede territoriale dell’ente previdenziale e della voce concernente la corrispondenza con il cliente.

Con il secondo motivo è addotta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) art. 91 c.p.c., comma 1, art. 415 c.p.c., comma 2, art. 420 c.p.c., comma 1, art. 429 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, della L. n. 1501 del 1957, art. unico, della tariffa forense di cui al D.M. 8 aprile 2004 e nonchè del principio dell’oralità, concentrazione ed immediatezza previsti per il rito del lavoro, nonchè violazione dell’art. 2697 c.c. e difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di un fatto decisivo.

In proposito la ricorrente censura il fatto che la Corte d’Appello abbia disconosciuto il rimborso in suo favore degli onorari per la discussione della causa, sul presupposto erroneo che essa non fosse stata svolta.

Con il terzo motivo è infine affermata la violazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per essere state compensate le spese del secondo grado di giudizio, sul presupposto di un solo parziale accoglimento del gravame, che era da ritenere ingiustificato atteso che tra la somma pretesa e quella accordata vi era solo una ininfluente sfasatura.

2. Il ricorso non può trovare accoglimento.

3. Iniziando dalla disamina congiunta dei primi due motivi, in quanto entrambi inerenti alla misura del rimborso spese riconosciuto per il giudizio di primo grado, si deve premettere che, secondo il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui qui si aderisce, “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata” (Cass., S.U., 12 ottobre 2012, n. 17405).

3.1 Da quanto sopra deriva che, nel decidere sulle spese di primo grado la sentenza di appello, che è stata resa nel giugno 2013, avrebbe dovuto fare applicazione del D.M. n. 140 del 2012 cit. (non essendo ancora entrato in vigore il D.M. n. 55 del 2014) e non delle tariffe previgenti.

3.2 Non può poi condividersi neppure l’applicazione del parametro proprio delle cause di valore indeterminabile, operato dalla Corte d’Appello.

Oggetto di causa è l’accertamento del diritto della P. all’iscrizione previdenziale quale bracciante agricola, per l’anno 2004 e 156 giornate, con condanna dell’I.N.P.S. a darvi corso.

Il valore economico coinvolto, non risultando il maturare di prestazioni già concretamente riconnesse alla sola iscrizione per quell’anno ed in quei giorni, consiste nella possibile proiezione di tale iscrizione su future prestazioni previdenziali, rispetto alle quali essa potrebbe contribuire pro quota ed in ragione della sua consistenza. Tale consistenza è però solo apparentemente indeterminabile, in quanto essa è di valore palesemente limitato (come si è detto si parla di 156 giornate nell’arco di un anno), il che consente di apprezzarne la misura come certamente non superiore ai 25.000,00 di cui allo scaglione più basso previsto nella tabella A allegata al D.M. n. 140 del 2012: essendo evidente come non sia possibile, a fronte di un valore in concreto chiaramente contenuto, riconoscere l’applicazione tout court della categoria della indeterminabilità e dei più elevati valori liquidativi minimi per essa previsti.

3.3 Da quanto sopra deriva che la liquidazione in misura di Euro 1.629,00 operata dalla Corte d’Appello per il primo grado di giudizio non risulta inferiore ai minimi (che ammontano ad Euro 940,00) di cui allo scaglione base previsto dal D.M. n. 140 del 2012 e pertanto essa, rettificata ex art. 384 c.p.c., u.c., nei termini di cui sopra la relativa motivazione, resiste all’impugnativa qui dispiegata.

4. Infondato è poi anche il terzo motivo, posto che la Corte d’appello ha fatto piana applicazione dell’art. 92 c.p.c. e, sulla base del solo parziale accoglimento dell’appello (che, come precisato nel ricorso per cassazione, pretendeva il riconoscimento di un incremento di Euro 892,00 sulle spese liquidate per il primo grado, mentre poi è stato riconosciuto un aumento soltanto di Euro 429,00), ha doverosamente considerato l’esito globale della lite e compensato interamente le spese di quel grado di giudizio. Infatti, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso, per quanto qui interessa, nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Il sindacato della Corte di cassazione è dunque limitato, a tale proposito, ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. 4 agosto 2017, n. 19613; Cass. 11 gennaio 2008, n. 406).

5. L’impugnativa va, dunque, rigettata e, non risultando dal ricorso per cassazione (neppure come necessaria riproduzione della eventuale dichiarazione resa in gradi precedenti: Cass. 9 luglio 2015, n. 17935) alcuna dichiarazione di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c., le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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