Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27409 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14219-2014 proposto da:

F.G., rappresentato e difeso dall’avv. ROBERTO ALFREDO FONTE e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

C.M.T., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Gracchi n.189, presso lo studio dell’avv. EMANUELE GATTI, rappresentata e difesa dall’avv. BARTOLO ARENA;

– controricorrente –

e contro

M.R., C.E. e CONDOMINIO di *****;

– intimati –

avverso la sentenza n.697/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 25/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 18.8.1996 F.G. evocava innanzi il Tribunale di Catania il Condominio di *****, premettendo di essere proprietario di uno stabile posto all’interno dell’edificio condominiale ed invocando la declaratoria della nullità della Delib. assembleare 16 luglio 1996, con la quale era stato deliberato di restituire a C.M.T. alcuni locali precedentemente adibiti al servizio di portineria dello stabile. L’attore assumeva che la decisione, assunta a maggioranza semplice, si poneva in contrasto con quanto previsto dall’art. 1120 c.c., comma 2.

Si costituiva il condominio chiedendo il rigetto della domanda. Intervenivano volontariamente C.M.T., M.R. e C.E., nella loro veste di comproprietarie dei locali oggetto della restituzione, aderendo alla tesi del condominio.

Il Tribunale di Catania respingeva la domanda; interponeva appello il F. e spiegavano appello incidentale le intervenute; la Corte di Appello rigettava sia il gravame principale che quello incidentale; il F. proponeva ricorso per la cassazione della relativa decisione e la Corte di Cassazione, con sentenza n.17397/2004, accoglieva il terzo motivo del ricorso principale dichiarando assorbite tutte le altre censure, tanto contenute nel ricorso principale che in quello incidentale spiegato delle intervenute e rinviava la causa innanzi la Corte di Appello di Messina. In particolare, la S.C. affermava la necessità che il giudice di merito verificasse, in concreto, l’esistenza o meno di un titolo idoneo a superare la presunzione di proprietà comune dei locali adibiti a servizio di portineria.

Con atto di citazione dell’8.2.2005 F.G. riassumeva la causa innanzi la Corte di Appello di Messina che, con la sentenza oggi impugnata n.679/2013, respingeva l’appello del riassumente, compensando le spese del grado di appello e di quello di cassazione, ma condannando il predetto alle spese del grado di rinvio. A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale riteneva che in base agli atti depositati nel fascicolo d’ufficio (in particolare, atto di divisione tra i fratelli C.F. e Ci.Fr. a rogito del notaio L.R. del 30.4.1949; atto di vendita con permuta tra Ci.Fr. e F.P. a rogito del notaio P. del 13.5.1949; vendita con riserva di usufrutto tra C.F. e Ci.Fr. di cui alla nota di trascrizione dell’11.4.1957; regolamento del condominio di via *****, approvato dall’assemblea generale nella seduta del 27.2.1959) potesse essere desunto che i locali adibiti al servizio di portineria, essendo rimasti di proprietà comune tra i fratelli C.F. e Ci.Fr. ed essendo stati espressamente esclusi dall’atto di vendita del 1949 in favore del F.P., che poi aveva dato vita al condominio di *****, non erano mai divenuti parti comuni del condominio predetto. Sui detti locali, pertanto, esisteva un vincolo di destinazione a servizio della portineria, che tuttavia la Corte di Appello riteneva esser venuto meno in conseguenza della soppressione del servizio predetto, disposta con apposita delibera dell’assemblea del condominio di *****. Infine, la Corte territoriale riteneva che i locali oggetto del giudizio fossero pervenuti (giusta la divisione del 1949 e la vendita del 1957 intervenute tra i due fratelli C.) a Ci.Fr.; che essi non fossero stati alienati a terzi dal fallimento di quest’ultimo; che pertanto essi fossero pervenuti per successione alle eredi legittime del C., dopo la morte di questi, occorsa nel 1987; che pertanto attuali proprietarie dei detti beni erano M.R., vedova di Ci.Fr., nonchè C.M.T. e C.E., figlie del defunto.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza il F. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso C.M.T., spiegando tre diverse eccezioni di inammissibilità, rispettivamente dei motivi di ricorso perchè inerenti al merito; delle domande di restituzione al condominio dei locali già adibiti a portineria, di ripristino dello stato dei luoghi e di risarcimento del danno, perchè formulate dal F. solo in appello e quindi da considerare nuove; dei documenti da 5 a 18, prodotti dal F. solo con la conclusionale in prime cure, nonchè degli ulteriori documenti prodotti in appello.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione, sia su un fatto decisivo per la controversia che sulle risultanze istruttorie. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe considerato che la clausola contenuta nella vendita con permuta del 1949 intercorsa tra Ci.Fr. e F.P., secondo cui “I locali di portineria dovranno rimanere sempre per tale uso e per tutti i corpi di proprietà di Ci.Fr. e F., pur rimanendo sempre in proprietà dei germani C.”, era stata superata tanto dagli effetti del fallimento di Ci.Fr., che dalla circostanza che i locali destinati a portineria erano stati trasferiti in proprietà ai condomini D.- Fe., giusta atto di vendita a rogito del notaio T. del 20.12.1966.

La censura è inammissibile in quanto si risolve in una richiesta di rivalutazione del giudizio di merito proposto dalla Corte territoriale. Il ricorrente invoca infatti una ricostruzione dei dati di fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale, senza considerare che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4916 del 15/04/2000, Rv. 535737).

Infatti, in continuità con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa Corte n. 24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790), va riaffermato che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.

Nè rileva, a contrario, la circostanza che il giudice del rinvio non abbia valorizzato l’atto del 20.12.1966 indicato dal ricorrente nel corpo del motivo in esame, posto che l’apprezzamento delle risultanze istruttorie rientra nel sindacato riservato al giudice di merito. Peraltro, sotto questo profilo il motivo appare anche carente della necessaria specificità, visto che il ricorrente non riporta le clausole del richiamato atto di vendita del 20.12.1966 che dimostrerebbero il dedotto trasferimento della proprietà dei locali adibiti a portineria in favore dei condomini D.- Fe..

La doglianza è ulteriormente inammissibile anche per quanto attiene al dedotto vizio di motivazione, poichè quest’ultimo va interpretato, secondo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n.8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Restano quindi esclusi dal sindacato di questa Corte da un lato qualunque diverso vizio della motivazione e, dall’altro lato, l’omesso esame di elementi istruttori che non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632914; Cass. Sez. 63, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv. 637781; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente affrontato e deciso il tema indicato dalla sentenza di rinvio, consistente nell’accertamento dell’esistenza o meno, in concreto, di un titolo idoneo a superare la presunzione di proprietà comune dei locali adibiti a servizio di portineria. Nel condurre detto sindacato, la Corte messinese ha esaminato le risultanze documentali acquisite agli atti del giudizio valorizzando in particolare l’atto di divisione intervenuto tra i fratelli C.F. e Ci.Fr. a rogito del notaio L.R. in data 30.4.1949 ed il coevo atto di vendita con permuta intercorso tra Ci.Fr. e F.P. a rogito del notaio P. in data 13.5.1949, nel quale era contenuta la clausola secondo cui “I locali di portineria dovranno rimanere sempre per tale uso e per tutti i corpi di proprietà di Ci.Fr. e F., pur rimanendo sempre in proprietà dei germani C.”.

In base a detti titoli, la Corte di Appello ha ritenuto che i locali adibiti a portineria non fossero mai stati ceduti dai germani C. al F. (il quale aveva in seguito realizzato il condominio di *****).

Inoltre la Corte territoriale ha valorizzato l’atto di vendita con riserva di usufrutto intervenuto tra C.F. e Ci.Fr., di cui alla nota di trascrizione dell’11.4.1957, in virtù del quale i locali di cui è causa, insieme all’appartamento del cedente, erano pervenuti nell’esclusiva proprietà del Ci.Fr.. Ha quindi considerato che i beni in questione, non essendo stati ceduti a terzi dal fallimento del Ci.Fr., dichiarato nel 1967, fossero pervenuti dopo la morte di costui alle eredi legittime, ovverosia alla vedova M.R. ed alle due figlie C.M.T. e C.E..

In base a detta successione di titoli, la Corte messinese ha concluso che i locali adibiti al servizio di portineria, essendo rimasti di proprietà comune tra i fratelli C.F. e Ci.Fr. ed essendo stati espressamente esclusi dall’atto di vendita del 1949 in favore del F.P., non erano mai divenuti parti comuni del condominio di *****.

L’accertamento condotto dal giudice di secondo grado si fonda sulla valutazione delle risultanze istruttorie, la quale rientra pacificamente nell’ambito riservato al giudice di merito.

Sotto i vari, concorrenti profili esposti, pertanto, la prima censura è inammissibile.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, perchè la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le risultanze di taluni atti pubblici, ed in particolare dell’atto a rogito del notaio Pi. del 29.1.1053 e dell’atto a rogito del notaio T. del 20.1.1966, già richiamato con riferimento al primo motivo del ricorso. Anche in questo caso, la doglianza si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del merito della controversia e difetta di specificità, non avendo il ricorrente riprodotto testualmente le clausole dei predetti contratti che, a suo avviso, dimostrerebbero l’esistenza della proprietà comune dei locali adibiti a portineria.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta il vizio della motivazione per carenza di elementi che consentono di identificare il criterio posto a base della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura è inammissibile in quanto non si confronta con gli attuali limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 per la deducibilità in cassazione del vizio motivazionale.

In definitiva il ricorso va rigettato, e ciò comporta l’assorbimento delle eccezioni di inammissibilità proposte dalla controricorrente, la quale – pur avendo notificato un atto rubricato come “controricorso con ricorso incidentale” non ha, in concreto, proposto alcun gravame incidentale, concludendo sic et simpliciter per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso principale.

Le spese del grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 che ha aggiunto il al Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 2.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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