LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12150-2014 proposto da:
MEDICAL SERVICE SNC, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO n. 41, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BARGIACCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato SANDRO LUNGARINI;
– ricorrente –
e contro
S.S.;
– intimata –
avverso la sentenza n.6576/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato Medical Service Snc proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1261/2010 emesso dal Tribunale di Roma in favore di S.S. per la somma di Euro 25.302,10 oltre accessori, a fronte di prestazioni professionali rese dall’opposta in favore dell’opponente. Nella narrativa dell’atto di citazione, la Medical Service Snc deduceva di non aver mai ricevuto le 10 fatture poste a base della richiesta monitoria; riconosceva che la S. aveva prestato la sua opera professionale nel 2008 in favore della società; allegava tuttavia che la stessa era stata totalmente retribuita in base agli accordi preventivamente raggiunti dalle parti; e produceva, a conforto, la prova documentale di un pagamento di Euro 1.700, concludendo per la revoca del decreto opposto con vittoria di spese.
Si costituiva la S. resistendo all’opposizione ed invocando la conferma del decreto ingiuntivo.
Il Tribunale di Roma accoglieva in parte l’opposizione condannando Medical Service Snc al pagamento della minor somma di Euro 23.602,10. In particolare, il primo giudice riteneva provato il pagamento di Euro 1.700 e riduceva la pretesa di parte opposta del corrispondente importo.
Interponeva appello avverso detta decisione Medical Service Snc, invocando tra l’altro l’ammissione di giuramento decisorio, articolato su tre capitoli. Si costituiva la S., resistendo all’impugnazione.
Con la sentenza impugnata n. 6576/2013, la Corte di Appello di Roma non ammetteva il giuramento decisorio, ritenendolo inidoneo ad esaurire la controversia; accoglieva il terzo motivo di gravame concernente gli interessi, riconosciuti dal Tribunale a decorrere dalla messa in mora in assenza di specifica domanda della S.; accoglieva altresì il quarto motivo, relativo alla liquidazione delle spese generali, ritenendole non dovute; respingeva nel resto l’impugnazione.
Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza Medical Service Snc, affidandosi a quattro motivi.
S.S. non ha svolto attività difensiva in questo grado di giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per assenza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto di non ammettere il giuramento decisorio dedotto per la prima volta in grado di appello considerandolo non decisivo, senza fornire al riguardo alcun riscontro motivazionale.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame e l’errato convincimento della Corte territoriale circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il giudice di appello sarebbe incorso in insanabile contraddizione, avendo da un lato ritenuto provato il diritto al compenso della S. per mancata dimostrazione dell’avvenuto pagamento da parte della società appellante, e dall’altro lato escluso il giuramento, tendente proprio alla dimostrazione della predetta circostanza.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2736 c.c., nonchè degli artt. 233 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere ammissibile il giuramento, posto che esso era idoneo a definire almeno in parte il giudizio.
Le tre censure, intimamente connesse tra loro in quanto vertenti sul medesimo punto della decisione impugnata, possono essere esaminate congiuntamente.
Il primo e il secondo motivo introducono, sotto diverse ma convergenti prospettazioni, un vizio motivazionale, senza tuttavia confrontarsi con i limiti previsti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012. In argomento, va ribadito che il vizio di motivazione dev’essere interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n.8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Restano quindi esclusi da un lato qualunque diverso vizio della motivazione e, dall’altro lato, l’omesso esame di elementi istruttori che non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632914; Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv.637781; Cass. Sez. 3, Sentenza n.23940 del 12/10/2017, Rv.645828).
Nè può essere utilmente contestata in questa sede la valutazione del giudice di merito circa la decisività della formula del giuramento decisorio, posto innanzitutto il principio generale per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328; conformi, Cass. Sez. 1, Ordinanza n.19011 del 31/07/2017, Rv. 645841 e Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976).
E considerato, inoltre, che “In tema di giuramento, l’accertamento, in concreto, della decisorietà della formula adottata rientra nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici e giuridici, così come è incensurabile in tale sede il mancato esercizio, da parte del medesimo giudice, della facoltà di modificare la formula del giuramento, facoltà, peraltro, consentita solo per quanto attiene ad aspetti formali della formula stessa, al fine di renderne più chiaro il contenuto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10574 del 25/06/2012, Rv.622874; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n.24025 del 13/11/2009, Rv.610117).
Da tanto deriva l’inammissibilità delle due prime censure in esame.
E’ invece in parte fondato il terzo motivo, in quanto “Il giuramento deferito da una parte all’altra è decisorio anche quando da esso può dipendere la decisione soltanto parziale della causa, cioè quando venga deferito per decidere un punto particolare della controversia, dotato di una propria autonomia, perchè relativo ad uno dei capi della domanda ovvero ad uno dei momenti necessari dell’iter da seguire per la decisione, rispetto al quale il giuramento esaurisca ogni indagine” (Cass. Sez. 2, Sentenza n.4275 del 14/04/1995, Rv.491825).
Nel caso di specie, il punto fondamentale del giudizio è rappresentato dall’accertamento dell’avvenuto pagamento delle competenze rivendicate dalla S.. Il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata sul punto dalla società opponente, anche perchè quest’ultima non aveva reiterato la relativa istanza in sede di precisazione delle conclusioni. In atto di appello la società ha formulato istanza di ammissione del giuramento decisorio, articolando tre capitoli che la Corte di Appello non ha ritenuto idonei a definire la lite. In proposito va preliminarmente osservato che tutti e tre i capitoli indicati dall’odierna ricorrente in atto di appello sono introdotti con la formula di stile “Giuro e giurando affermo o nego”, che pur essendo ritenuta pacificamente idonea ai fini della rituale introduzione del mezzo di prova in esame, non rappresenta, ad avviso di questa Corte, la migliore soluzione tecnico-giuridica possibile. Ed invero, posta la necessaria decisorietà del giuramento, esso dovrebbe piuttosto essere articolato in una proposta tesa a “… confermare o meno, col giuramento, la verità del suo assunto di lite, positivo o negativo, mediante la più semplice formula “affermo che” ovvero “nego che”. Infatti la possibilità d’invertire in senso contrario una delle formule innanzi indicate, sostituendo rispettivamente quella “nego che” ovvero “affermo che”, è implicita nella stessa natura del giuramento (decisorio o suppletorio) diretto a confermare in modo solenne, in senso positivo o negativo, la verità o meno di un fatto decisivo ai fini della risoluzione della lite; per cui il giurare in senso negativo, se la formula è espressa soltanto in senso positivo, o all’inverso il giurare in senso positivo, se la formula è espressa soltanto in senso negativo, non costituisce in realtà una modificazione della formula stessa, ma soltanto la scelta della alternativa che si e inteso porre al giurante quale particolare sistema di risoluzione della lite” (Cass. Sez. 3, Sentenza n.2337 del 09/08/1973, Rv.365665; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n.1417 del 08/05/1968, Rv.333057 e Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n.26027 del 10/12/2014, Rv. 633795).
Il giudice di merito, al quale la causa va rinviata per quanto si dirà in fra, assicurerà di conseguenza l’opportuna correzione della formula di deferimento del mezzo di prova in esame.
Tanto premesso, il primo capitolo articolato da Medical Service Sas è diretto a dimostrare l’avvenuto pagamento delle fatture nn. ***** emesse dalla S.. Esso non è idoneo ad esaurire la controversia, in virtù del principio secondo cui “E’ inammissibile il deferimento del giuramento decisorio ove la formulazione delle circostanze non porti, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, automaticante all’accoglimento della domanda ma richieda una valutazione di tali fatti da parte del giudice di merito” (Cass. Sez. L, Sentenza n.39 del 03/01/2011, Rv.616026). Ed invero, la circostanza che il capitolo tende a dimostrare – ovverosia l’avvenuto pagamento delle suelencate fatture – imporrebbe al giudice di merito un apprezzamento ulteriore, consistente in particolare nella verifica che le fatture predette costituiscano l’unico titolo su cui la S. fondava la sua pretesa creditoria.
Il secondo capitolo articolato dalla società, invece, è rivolto a dimostrare che la S., all’esito del pagamento di Euro 1.700 da lei pacificamente ricevuto in data 6.7.2009, aveva dichiarato di essere soddisfatta e di nulla avere a pretendere. Anche in tal caso, la circostanza non è in ogni caso idonea ad esaurire la controversia, posto il principio, varie volte ribadito da questa Corte, secondo cui “… la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale, laddove nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto soltanto quando, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti” (Cass. Sez. 3, Sentenza n.729 del 20/01/2003, Rv.559860; conf. Cass. Sez. L, Sentenza n.2146 del 31/01/2011, Rv.615885; Cass. Sez. L, Sentenza n.9120 del 06/05/2015, Rv.635291; Cass. Sez. L, Sentenza n. 18094 del 15/09/2015, Rv. 637023). Di conseguenza, anche ammettendo – per ipotesi – che la S. si fosse effettivamente dichiarata soddisfatta del bonifico di Euro 1.700 da lei ricevuto il 6.7.2009, tale dichiarazione non integrerebbe – di per sè – una quietanza liberatoria, ma dovrebbe essere interpretata dal giudice del merito, unitamente agli altri elementi risultanti dall’istruttoria, per ricostruire l’effettiva volontà della parte interessata. L’esigenza di un ulteriore apprezzamento del giudice di merito esclude la decisività, e quindi l’ammissibilità, del capitolo.
Al contrario, il terzo capitolo articolato dalla Medical Service Snc in atto di appello va ritenuto decisivo, posto che con esso l’odierna ricorrente mira a dimostrare l’avvenuta esecuzione di una serie di pagamenti in favore della S.. Trattasi di circostanza che non implica alcun accertamento ulteriore da parte del giudice di merito e che appare idonea ad esaurire la lite, quantomeno per la porzione corrispondente ai pagamenti indicati nel capitolo.
La Corte di Appello ha di conseguenza errato nel non ritenere ammissibile il terzo capitolo, dedotto a pag.10 dell’atto di appello; la sentenza va quindi cassata per quanto di ragione.
Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 281 sexies, 101,112,113 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto il primo motivo di appello (con il quale la società aveva impugnato la sentenza di prime cure nella parte in cui essa aveva dichiarato l’inammissibilità delle prove orali articolate dalla società, in quanto non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni), ritenendo che la procedura prevista dall’art. 281 sexies c.p.c. non precludesse affatto la precisazione delle conclusioni. Il giudice di appello avrebbe infatti dovuto avvedersi del fatto che, in concreto, il Tribunale non aveva invitato le parti a concludere ed aveva quindi deciso in assenza di formale precisazione delle conclusioni; di talchè la società non aveva avuto modo di riproporre le istanze istruttorie di cui si discute.
La doglianza è inammissibile per difetto di specificità, posto che la ricorrente non fornisce alcun elemento atto a dimostrare che il primo giudice non avesse invitato le parti alla precisazione delle conclusioni. Inoltre, a pag. 2 del ricorso si legge che “Il giudice, all’udienza del 14.6.2012, ritenne inammissibile il cap. 8, generici i cap. 1-2, ininfluenti gli altri, poi testualmente così motivando “rinvia la causa per la decisione ex art.281 sexies c.p.c. con termine per note difensive sino al 30.10.2012”: da ciò si ricava che il Tribunale aveva concesso alle parti un termine per depositare scritti conclusivi, sicchè le parti avevano avuto comunque la possibilità di rassegnare le loro rispettive conclusioni, sia pure in forma scritta.
Va altresì rilevato che questa Corte ha in varie occasioni ribadito il principio per cui le nullità del procedimento sono sanate per effetto della mancata tempestiva eccezione della parte che ha interesse a rilevarle (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7104 del 09/04/2015, Rv. 635107, relativa al caso della sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. la cui pronuncia, sebbene avvenuta all’esito di udienza all’uopo appositamente fissata, non sia stata preceduta dalla discussione orale delle parti, bensì dallo scambio di comparse conclusionali; nonchè Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21216 del 13/10/2011, Rv. 620165, afferente all’ipotesi in cui la Corte di Appello abbia applicato l’art. 281 sexies c.p.c. anzichè l’art. 352 c.p.c., comma 2 e le parti non si siano opposte, nè abbiano richiesto il termine per il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica, “… in tal modo omettendo di tenere il comportamento processuale necessario per indurre il Collegio a procedere nelle forme ordinarie”).
Il richiamato principio generale di sanatoria può essere applicato anche al caso di specie, posto che la ricorrente non dimostra di aver invitato il Tribunale a consentire alle parti la precisazione delle conclusioni, nè deduce di averle comunque precisate nel proprio scritto conclusivo autorizzato dal primo giudice; di conseguenza, non si ravvisano elementi atti a dimostrare l’impossibilità della ricorrente di svolgere appieno le difese e va esclusa qualsiasi ipotetica violazione dei principi regolatori del giusto processo.
In definitiva, va dichiarata l’inammissibilità del primo, secondo e quarto motivo, mentre va parzialmente accolto il terzo, nei limiti di cui in motivazione. Va di conseguenza disposto il rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, per il prosieguo del giudizio, nei limiti della censura accolta nonchè per la regolamentazione delle spese del presente grado.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibili il primo, secondo e quarto motivo; accoglie il terzo nei limiti di cui in motivazione e rinvia la causa, in riferimento alla censura accolta, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese del presente grado.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018
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