Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27411 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17611-2014 proposto da:

L.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIULIO ROMEO, rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMILIANO PEZZANI, PIER ALDO PEZZANI;

– ricorrente –

contro

L.C., rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO PANUCCIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 200/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 23/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO chiede il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L.C., quale erede di L.R. deceduta nel *****, ebbe ad evocare in causa nanti il Tribunale di Palmi, la germana L.R. deducendo che la convenuta, quale procuratrice generale della zia de cujus, ebbe a vender a se stessa l’immobile in signoria della sua dante causa, sicchè chiedeva la declaratoria di nullità del contratto di compera-vendita, concorrendo conflitto d’interesse e l’accertamento che la res era caduta in successione tra le nipoti della de cujus.

Resistette L.R. producendo testamento olografo della zia defunta, in forza del quale risultava costituita erede universale, sicchè deduceva la carenza di legittimazione della sorella – non erede della zia – a svolger le domande proposte in causa e, comunque, contestando la fondatezza delle stesse.

Il Tribunale di Palmi ebbe a dichiarare inammissibile la domanda attorea per carenza di legittimazione non risultando l’attrice erede della zia.

Attinta dal gravame di L.C., che depositava anche documento nuovo – atto di revoca del testamento a favore della sola L.R. -, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ebbe ad accogliere il gravame, annullando il contratto di compra-vendita per conflitto d’interesse del procuratore che vendette a se stesso e dichiarando che l’immobile di causa è pervenuto per successione alle due germane L..

Osservava la Corte calabrese come il difetto di legittimazione, ritenuto dal Tribunale in forza del compendio probatorio esaminato, risultava superato dalla produzione dell’atto di revoca del testamento con apertura della successione ab intestato, avvenuta in sede di giudizio d’appello, e come la procura ricevuta non abilitasse in concreto il procuratore a vender a se stesso, con conseguente annullamento del contratto così concluso.

Avverso detta sentenza proponeva impugnazione per cassazione L.R. articolando tre motivi.

Resisteva con controricorso L.C. ed ambedue le parti depositavano memoria difensiva in prossimità di questa adunanza.

Interveniva anche il P.G. nella persona del dott. Capasso che instava per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da L.R. è privo di pregio giuridico e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione L.R. lamenta violazione delle norme in artt. 100 e 345 cod. proc. civ. in quanto la Corte di prossimità non aveva rilevato che il documento ben poteva esser depositato in prime cure, sicchè s’era consolidata preclusione al riguardo anche nella vigenza della norma ante riforma del 1990.

La censura non coglie nel segno posto che la norma ex art. 345 cod. proc. civ. consentiva appositamente la produzione in sede d’appello di documenti nuovi e la possibilità dì depositare detto elemento probatorio già in prime cure configurava esclusivamente una condotta significativa al fine della liquidazione delle spese di lite.

Inoltre, attinendo alla legittimazione ad esser parte del procedimento, lo specifico documento di causa poteva esser comunque depositato anche in sede d’appello – Cass. sez. 2 n. 4893/1987 – poichè detta questione rilevabile ex officio in ogni grado e stato del procedimento.

Dunque la ricostruzione giuridica dell’istituto operata dalla parte impugnante non risulta conforme alla lettera della norma applicabile ed all’insegnamento di questa Suprema Corte.

Con la seconda doglianza L.R. lamenta violazione del disposto ex art 102 cod. proc. civ. poichè nei gradi di merito non risultava esser stato ritualmente costituito il contraddittorio con l’evocazione di tutti i litis consorti necessari ossia gli eredi ab intestato della de cujus, la cui esistenza risultava dalla documentazione anagrafica depositata in causa.

La censura appare inammissibile posto che la Corte di merito, non già, ha accertato che il bene immobile oggetto del contratto annullato era in comunione esclusivamente tra le due parti in causa, bensì che era “in coeredità” alle germane L. senza indicazione di quota e così non escludendo altri soggetti eredi ab intestato.

Peraltro la questione – sollevata solo in questo giudizio di legittimità – appare supporta solamente dalle asserzioni della ricorrente con generico richiamo agli atti di causa lumeggianti esclusivamente la delazione ereditaria ab intestato al ***** – data dell’apertura della successione -, ma non anche la necessaria accettazione degli eredi delati, sicchè il motivo si appalesa privo di specificità.

E’, poi, insegnamento di questo Supremo Collegio – Cass. sez. 3 n. 21288/11 – cui questo Collegio aderisce, che la domanda di annullamento di contratto di alienazione di bene, – in potenza ereditario – per sua natura non importa litis consortio necessario ed, inoltre, il risultato giova alla massa ereditaria agendo l’erede in forza di azione spettante al de cujus.

Infine la questione dell’integrità del contraddittorio non ha formato oggetto nè di esame in prime cure nè oggetto di censura portata con il gravame, come sottolineato anche dal P.G., sicchè – Cass. Sez. 3 n. 3024/12, Cass. Sez. 2 n. 25305/08 – la sua rilevabilità in sede di legittimità rimane condizionata – emergere chiaramente dagli atti e non essersi formato il giudicato implicito – a precise condizioni, relativamente alle quali nulla di specifico viene dedotto in ricorso.

Con il terzo mezzo d’impugnazione L.R. deduce violazione della norma in art. 1395 cod. civ. poichè concorrevano i presupposti fattuali, cui la giurisprudenza correla la validità della vendita da parte del procuratore a se stesso, in quanto il mandato ammetteva detta eventualità ed, inoltre, disponeva già la ratifica dell’operato del mandatario.

La Corte calabrese, ai fini dell’individuazione della specificità del mandato a vendere anche a se stessa, non ha considerato che la mandante era titolare esclusivamente dell’immobile oggetto del contratto di causa ed ebbe ad incassare il prezzo della vendita, nonchè a rilasciare all’acquirente il bene.

La censura risulta compendiarsi in apodittica contrapposizione della propria tesi difensiva rispetto all’elaborazione giuridico-fattuale della questione di causa siccome operata dalla Corte di merito.

Difatti i Giudici calabresi ebbero a, puntualmente, rilevare come non vi sono in causa elementi per poter ritenere che, in vita, la de cujus avesse ratificato espressamente ovvero tacitamente, con propri inequivoci comportamenti, la vendita a se stessa operata dalla sua mandataria.

Per superare detto espresso accertamento, fissato dai Giudici di merito, l’impugnante si limita ad affermare l’esistenza di dati fattuali ” notori lumeggianti la consapevolezza da parte delle defunta zia dell’avvenuta vendita – rilascio del bene immobile, unica in sua proprietà -.

Tuttavia non solo detta ricostruzione non supera, poichè meramente vi si contrappone, l’opposto accertamento fissato dalla Corte territoriale, ma all’evidenza il “notorio” è situazione logicamente incompatibile con le specifiche condizioni patrimoniali e condotte particolari afferenti specifica persona.

La Corte calabrese poi, in conformità all’insegnamento di questo Supremo Collegio – anche ricordato dall’impugnante – ha escluso che il mandato fosse specifico circa la facoltà assegnata al procuratore di vendere a se stesso, poichè le relative clausole apparivano di mero stile in assenza di alcuna limitazione ovvero specificazione circa l’esercizio di detta facoltà.

Anche con riguardo allo specifico accertamento di fatto, su ricordato, operato dal Collegio calabrese, la ricorrente si limita a contrapporre propria diversa valutazione dei medesimi elementi fattuali, sicchè non appare configurarsi il vizio di legittimità denunziato.

Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 cod. proc. civ., la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di questa lite di legittimità in favore di L.C., tassate in Euro 3.200,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario siccome precisato in dispositivo.

Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore della resistente delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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