Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27431 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4028-2017 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato MARIELLA CONSOLE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. *****) – Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1304/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore ACIERNO Maria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1304/2016 la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione proposta da S.B., cittadino gambiano, avverso l’ordinanza del Tribunale della medesima città che aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Il richiedente aveva dedotto di essersi iscritto nel proprio Paese al partito United Democratic Party (UDP) e di aver organizzato nel 2012 una manifestazione di protesta contro il leader nazionale del suo partito, durante la quale sarebbe stato picchiato dalla polizia, che in seguito l’avrebbe ricercato, presso la sua abitazione al fine di arrestarlo.

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha affermato:

– il racconto del richiedente è caratterizzato da inequivoche illogicità e contraddittorietà, rilevabili da precisi elementi, per cui non sussistono rischi di persecuzione o di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b);

i rapporti internazionali più aggiornati sono inoltre concordi nel negare che in Gambia sia stato raggiunto un grado di violenza indiscriminata ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c);

quanto, infine, alla protezione umanitaria, non sussiste alcun motivo di carattere umanitario per giustificarè la permanenza del richiedente in Italia, non avendo qui alcun legame affettivo o familiare ma, anzi, avendo mantenuto buoni rapporti con la madre e la sorella, sicuro elemento di supporto per il reinserimento in patria.

Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione S.B. sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Con il primo motivo viene censurato, sotto il profilo della violenza di legge, il giudizio negativo sulla credibilità e l’attendibilità del richiedente, in considerazione del principio secondo cui, se egli ha rispettato i criteri sanciti dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 3, comma 5, gli elementi addotti, pur sforniti di prova, sono considerati veritieri.

Con il secondo motivo viene censurato il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, essendo stato allegato che in Gambia il fatto stesso di militare in un partito di opposizione e di partecipare pubblicamente alle sue attività espone al rischio individuale di subire persecuzioni da parte delle autorità governative.

Con il terzo motivo (rubricato anch’esso come secondo) viene censurato il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo la Corte d’appello adeguatamente valutato la situazione di elevata violenza e violazione dei diritti umani che caratterizzano il contesto gambiano.

Con il quarto motivo viene censurato il mancato riconoscimento della protezione umanitaria in relazione al fatto che in Gambia non viene garantito l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite nello Stato italiano (art. 111 Cost., comma 3).

I primi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili, perchè si risolvono nella contestazione dell’accertamento di fatto della Corte di merito, che con motivazione ampia e ancorata a puntuali elementi ha ritenuto complessivamente non credibile quanto narrato dal richiedente.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile per la medesima ragione, avendo il giudice di merito rilevato l’insussistenza di una situazione oggettiva di violenza indiscriminata giustificante il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il quarto motivo è manifestamente infondato, oltre che generico in quanto limitato a un astratto richiamo della normativa in tema di protezione umanitaria e diritto costituzionale d’asilo. In primo luogo, occorre ribadire che anche con riguardo a siffatta misura di protezione non può prescindersi dalla credibilità soggettiva del richiedente in relazione alla misura richiesta, analogamente a quanto è previsto per lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria (Cass. n. 26641/2016, n. 26249/2017), perchè il contesto generale di violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza, pur costituendo un necessario elemento da valutare nell’esame della domanda, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente (Cass. n. 7492/2012, par. 3; Cass. n. 4455/2018, par. 7).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 2.100 per compensi, in Euro 100,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Sussistono le condizioni per l’applicazione al ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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