LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.A.A., C.A., considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VIDEA RITA GABRIELLA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
RELEASE SPA, in persona del Presidente del C.d.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato LOLLINI SUSANNA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DALPIAZ STEFANO, CAMERINI RUGGERO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1222/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2018 dal Consigliere Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato VIDEA RITA GABRIELLA;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24/2/2016 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dai sigg. C.A. e M.A.A. in relazione alla pronunzia Trib. Latina n. 13/2013, di accoglimento della domanda in origine monitoriamente azionata dalla società RELEASE s.p.a. di pagamento di scaduti canoni di leasing relativi a contratto avente ad oggetto l'”imbarcazione *****, oggetto di furto, non indennizzato dalla compagnia assicuratrice”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il C. e la M. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.
Resiste con controricorso la società Release s.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione/erronea applicazione” degli artt. 33,36 cod. consumo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto “non vessatoria la clausola 12.3”, laddove l'”applicazione della disciplina del consumatore… discende da una espressa pattuizione contrattuale, testualmente riportata nell’allegato al contratto di locazione finanziaria unilateralmente predisposto dalla concedente, in calce al quale si legge “Con decorrenza dal 1/5/2007 il suesteso contratto di locazione finanziaria è ceduto al sottoscritto che dichiara di accettare la cessione del contratto e di approvare integralmente le soprascritte clausole contrattuali che non sono modificate da quelle del testo della locazione finanziaria a privato, a seguito del subentro l’avv. C. che intende utilizzare l’imbarcazione per fini esclusivamente personali e quindi non strumentali all’esercizio della sua attuale o futura attività… ” (cfr. allegato contratto di locazione finanziaria)”.
Lamentano che la corte di merito ha al riguardo “omesso di indagare sull’intero complesso tenore della clausola 12.3, soffermandosi solo sull’obbligo di furto… Dalla clausola 12.3 emerge che in caso di furto perdita o distruzione del macchinario “la conduttrice è tenuta al pagamento, entro il termine che a tal fine le sarà assegnato dalla locatrice, di una somma pari ai canoni dovuti in forza del contratto… nonchè del corrispettivo per l’esercizio della facoltà di acquisto (cfr. condizioni generali di contratto clausola 12.3)”.
Lamentano, ancora, che “a fronte di un furto – evento non previsto nè prevedibile nè tantomeno voluto dall’utilizzatore – mentre la concedente mantiene la proprietà del bene, il diritto di ottenere dall’utilizzatore tutti i canoni a scadere maggiorati di interesse e penale e, nel contempo, l’esclusiva legittimazione ad agire nei confronti della compagnia assicurativa per l’indennità dovuta, all’utilizzatore viene accordato il poter subentrare nei diritti della concedente in seno alla polizza assicurativa solo dopo aver pagato, restando a suo carico i rischi del ritardo e della prescrizione e il diritto di un recupero solo parziale”.
Con il 2^ motivo denunziano “omessa valutazione di un elemento decisivo risultante dagli atti processuali”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamentano che “risulta… per tabulas che il consumatore fu immesso nel possesso del contratto di locazione finanziaria e delle condizioni generali solo dopo aver accettato di subentrarvi. Ne consegue che la dichiarazione di approvazione della clausola 12.3, in quanto contenente un mero richiamo alle condizioni generali di contratto, è nulla a mente dell’art. 33 c.d.c., lett. l) e art. 36 codice del consumo, lett. c)”.
Con il 3° motivo denunziano “violazione/erronea applicazione” dell’art. 1341 c.c., art. 33 cod. consumo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto non vessatoria “la clausola 12.3” in ragione della specifica approvazione, laddove “la stessa Cassazione richiamata dal giudice di prime cure (cfr. Cass. 2970/2012) ha chiarito che la sottoscrizione del consumatore non produce l’effetto di obbligarlo alla clausola vessatoria, quando nel richiamo operato siano state inserite anche clausole non vessatorie (conforme Cass. 3386 del 2016)”.
Con il 4^ motivo denunziano “violazione/erronea applicazione” dell’art. 124, n. 2, lett. c), T.U.B. e dell’art. 124, n. 5, lett. a), nella previgente formulazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente rigettato, senza esaminarla, l’eccezione di omessa indicazione del TAEG, laddove trattasi di eccezione rilevabile d’ufficio.
Con il 5^ motivo denunziano “violazione/erronea applicazione” degli artt. 117,124,127 T.U.B., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito erroneamente non abbia esaminato l’eccezione di nullità del contratto per difetto di forma scritta, atteso che trattasi di nullità rilevabile d’ufficio.
Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto osservato che gli odierni ricorrenti si limitano a riproporre censure già sottoposte al vaglio del giudice del gravame e dal medesimo ritenute infondate.
In particolare, in ordine alla natura asseritamente vessatoria della clausola 12.3 del contratto (oggetto di cessione in favore dell’odierno ricorrente C. da parte dell’originaria conduttrice *****) in base alla quale “in caso di furto perdita o distruzione del macchinario “la conduttrice è tenuta al pagamento, entro il termine che a tal fine le sarà assegnato dalla locatrice, di una somma pari ai canoni dovuti in forza del contratto attualizzati, quelli a scadere, al tasso sostitutivo del tasso ufficiale di sconto (TUS) nonchè del corrispettivo per l’esercizio della facoltà di acquisto””.
Risulta a tale stregua dai ricorrenti non idoneamente censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui “l’art. 1523 c.c. in via d’eccezione rispetto al principio che res perit domino, pone a carico dell’utilizzatore i rischi del perimento del bene”, non avendo “carattere vessatorio poichè si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1523 cod. civ. sulla vendita a rate con riserva di proprietà (vedi Cass. n. 21301/2011)”.
Del pari non idoneamente censurata si appalesa a tale stregua altresì la ratio decidendi, logicamente prioritaria e di rilievo dirimente, in base alla quale “Nel caso in esame, peraltro, il pregiudizio per l’utilizzatore è derivato non tanto dall’applicazione della clausola, ma dal fatto che la compagnia assicuratrice non ha corrisposto l’indennizzo previsto in polizza, ritenendo indimostrato il furto per le sue poco chiare modalità e ciò ha suscitato l’azione della società finanziatrice verso l’utilizzatore per il pagamento dei canoni”.
A tale stregua, come questa Corte – anche a Sezioni Unite (v. Cass., Sez. Un., 19/7/2016, n. 5302) ha già avuto modo di affermare, non risulta dai ricorrenti osservato il consolidato principio in base al quale allorquando come nella specie la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità anche del gravame proposto avverso le altre, non potendo le singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, quand’anche fondate, comunque condurre all’annullamento della decisione stessa (v. Cass., 11/1/2007, n. 389) in quanto l’eventuale relativo accoglimento non incide sulla ratio decidendi non censurata, su cui la sentenza impugnata resta pur sempre fondata (v. Cass., 23/4/2002, n. 5902); è dunque sufficiente che, come nel caso, anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., 14/7/2011, n. 15449; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602).
Un tanto non già per carenza di interesse (come pure si è da questa Corte sovente affermato: v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensì per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., Sez. Un., 19/7/2016, n. 5302; Cass., 13/7/2005, n. 14740. V. altresì Cass., 11/1/2007, n. 1658; Cass., 14/7/2011, n. 15449).
Il suindicato rilievo esime dal porre in rilievo gli ulteriori profili di inammissibilità del ricorso per mancata osservanza dei requisiti ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.
Non può peraltro sottacersi che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta infatti soddisfatto allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) atti e documenti del giudizio di merito (nel caso, la sentenza impugnata), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con l’eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/9/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698) il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).
La soluzione di fare rinvio per la sommaria esposizione del fatto all’impugnata sentenza in ogni caso non esime i ricorrenti dall’osservanza del requisito – richiesto a pena di inammissibilità – ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene operato il riferimento de relato ad atti o documenti del giudizio di merito (in particolare il contratto di leasing, la clausola 12.3 del medesimo, la “espressa pattuizione contrattuale, testualmente riportata nell’allegato al contratto di locazione finanziaria”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018