LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22069/2015 proposto da:
B.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati LUCIANO TOTTI, ALESSANDRO TOTTI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Z.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI STUDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVAMBATTISTA MURANO giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 474/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso o in via subordinata il rigetto per infondatezza.
FATTI DI CAUSA
B.M. agì con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., nei confronti di Z.M.C. al fine di ottenerne la condanna alla restituzione dell’appartamento detenuto in forza di provvedimento di assegnazione, emesso in sede di separazione personale della stessa, quale coniuge del figlio della B., cui l’immobile era stato concesso in comodato precario prima della convivenza e del matrimonio con la Z..
La B. dedusse il bisogno imprevedibile ed urgente di rientrare in possesso dell’immobile ai sensi dell’art. 1809 c.c., connesso ad una difficoltà economica della società di cui era accomandante.
La convenuta rappresentò che il comodato era destinato a soddisfacimento di esigenze familiari e che la comodante, in quanto proprietaria di numerose altre unità immobiliari, non vantava un idoneo titolo alla restituzione del bene. Il Tribunale di Forlì rigettò il ricorso. La B. propose appello, lamentando l’erronea qualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 1809, comma 2, anzichè dell’art. 1810 c.c., dolendosi del mancato riconoscimento del bisogno legittimante la richiesta di restituzione.
La Corte d’Appello di Bologna, accertata la destinazione del bene immobile a casa familiare, con la sentenza del 16/3/2015, rigettò l’appello, motivando in ragione della necessità di tener conto degli sviluppi modificativi dell’iniziale intento delle parti, apparendo illogico riferirsi all’iniziale condizione personale del figlio comodatario ignorando il radicale mutamento intervenuto a seguito del matrimonio e della nascita della figlia della coppia.
L’accettazione da parte della B. del diverso utilizzo dell’immobile comodato dopo il matrimonio del figlio integrerebbe, secondo il giudice, da quel momento, il vincolo di destinazione a casa familiare con una nuova qualificazione del rapporto (Quando un terzo (nella specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o convivente con figlio maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica nè la natura nè il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o post-coniugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2, Cass., 3, n. 13592 del 21/6/2011, Cass., 1, n. 16769 del 2/10/2012).
Avverso la sentenza B.M. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso Z.M.C.. Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità, o in subordine, per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c., censurando l’impugnata sentenza nella parte in cui ha statuito che un contratto sorto come precario, ai sensi dell’art. 1810 c.c., si sia trasformato, per mera volontà del comodatario, in comodato a termine, correlato cioè, quanto alla durata, alle esigenze del nucleo familiare. Questa Corte ha, in più occasioni, affermato il principio secondo cui la tolleranza del creditore non può comportare modificazioni alla disciplina contrattuale, non potendosi presumere un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco come è quello di non aver preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che dalla volontà di modificare il contratto (Cass., n. 466 del 20/1/1994.) Ne consegue che la sentenza ha erroneamente ritenuto avvenuta la trasformazione di un comodato precario in comodato a termine, ha individuato una fantomatica accettazione della comodante alla modifica del tipo contrattuale ed ha giudicato sulla base di eccezioni di merito tardive, laddove invece gli elementi tipici della fattispecie avrebbero dovuto far propendere per l’assenza del vincolo di destinazione a casa familiare. La giurisprudenza di questa Corte mostra amplia flessibilità laddove statuisce che quando un terzo (nella specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perchè sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o convivente con figlio maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica nè la natura nè il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2. Ad avviso della ricorrente, rispetto alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, mancherebbe la contestualità del perfezionamento del comodato con la costituzione del nucleo familiare, mancherebbe cioè il vincolo di destinazione dell’immobile a casa familiare.
2. Con il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione di legge sotto il profilo della riconduzione della fattispecie all’operatività dell’art. 1809 c.c.. Secondo la ricorrente la sentenza avrebbe violato il principio in base al quale si può opporre al comodante l’esistenza di una destinazione del bene a casa familiare purchè si provi che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento. Nel caso di specie essendo il comodato sorto prima dell’inizio della convivenza e del conseguente matrimonio non vi sarebbero stati i presupposti per indicarne la destinazione a casa familiare.
3. Con il quarto motivo, connesso anch’esso, denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente non considerato la necessità della B. di vendere la propria abitazione, occupata dalla nuora, per far fronte alla propria gravosa situazione di esposizione debitoria e per poter rinvenire la liquidità necessaria.
4. I motivi sono infondati. La Corte di merito, con motivazione congrua, ha accertato che, pur essendo il comodato iniziato come precario, si è modificato, dal 22/9/2004, mediante la concessione della comodante, in comodato destinato alle esigenze, prima derivate dalle convicenza more uxono, e quindi della famiglia, tant’è che, le stata assegnata, in sede di separazione, dal P. alla Z.. Perciò l’immobile è stato, da detta data, adibito ad esigenze della famiglia senza limiti o pattuizioni particolari, sicchè il contratto può cessare soltanto se sopravviene un urgente ed imprevedibile bisogno del comodante (Cass., U, n. 20448 del 29/9/2014; Cass., 3, n. 24618 del 3/12/2015, Cass., 3, n. 20892 del 17/10/2016: “Ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2, il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, nè concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto, ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorchè la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante”).
Quindi, in relazione a detta esigenza, la Corte di merito ha argomentato rilevando che la ricorrente è titolare del diritto di proprietà esclusiva su altri sette immobili di guisa da avere la disponibilità di una sufficiente capienza patrimoniale per far fronte ai debiti della società, nè era giustificato la scelta di alienare l’immobile abitato dalla Z. anzichè uno degli altri, così correttamente escludendo la ricorrenza dei presupposti per la restituzione ai sensi del secondo comma dell’art. 1809 c.c..
5. Con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112,416 e 447 bis c.p.c., – tardività della costituzione del convenuto ex art. 416 c.p.c., comma 2 – conseguente decadenza da eccezioni di merito non rilevabili d’ufficio. La sentenza avrebbe pronunziato ultra petita laddove ha posto a fondamento della decisione fatti, quali quelli dedotti, tardivamente allegati e dunque inammissibili. Il motivo è infondato in quanto la preclusione di cui all’art. 416 c.p.c., comma 2, ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della propria pretesa, le quali trovano la loro disciplina nel comma terzo dello stesso art. 416 c.p.c., la cui disposizione, malgrado il fatto che dette deduzioni non vengano proposte nella memoria di costituzione, non commina comunque la sanzione della decadenza (Cass., L, 9 ottobre 2007 n. 21073; Cass., L, n. 28703 del 23/12/2011).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo e con declaratoria di sussistenza per il raddoppio contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.000 (più Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15 %. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018