LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO presso lo studio dell’avvocato VILLA PIERGIORGIO, rappresentato e difeso dagli avvocati MARANGONI CRISTINA, PRINCIPI FIORENZO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
R.E.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MAGLIANA 872/B, presso lo studio dell’avvocato RINALDI DANIELA, rappresentata e difesa dall’avvocato BRIZI GIANLUCA giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 961/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott.ssa MOSCARINI ANNA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO MAURO che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso o, in via subordinata il rigetto per infondatezza.
FATTI DI CAUSA
G.G., in qualità di comodante di un immobile sito in *****, concesso in comodato al figlio L., chiese, con ricorso ex art. 447 bis c.c. del 29/10/2012, al Tribunale di Macerata, che venisse pronunciato il rilascio in proprio favore dell’immobile detenuto dalla ex compagna del figlio R.E.E., all’epoca della stipulazione del contratto di comodato (1/1/2006) convivente con il comodatario e successivamente, a seguito della cessazione della convivenza, rimasta nella detenzione dell’immobile.
Il ricorrente chiese anche che la R. fosse condannata al pagamento dell’indennità di occupazione complessivamente quantificata in Euro 17.000, oltre interessi dal gennaio 2010.
La R. si costituì in giudizio resistendo alla domanda e svolse domanda riconvenzionale per sentir pronunciare la destinazione dell’immobile ad uso abitativo quale residenza familiare per sè e per la figlia N., nata dalla relazione con G.L..
Sia il Tribunale di Macerata, sia la Corte d’Appello di Ancona rigettarono la domanda di rilascio, accertando la destinazione ad uso familiare dell’immobile.
In particolare la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza del 15/4/2015, pur limitandosi a confermare l’accertamento svolto dal giudice di prime cure, ha applicato i principi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, in materia di comodato familiare, escludendo l’ammissibilità di una restituzione ad nutum in presenza del permanere delle esigenze familiari che avevano conformato la destinazione dell’immobile, attenuate dal venire meno del rapporto di convivenza tra il comodatario e la compagna, ma ancora attuali in virtù della presenza di una figlia minorenne.
Il giudice ha dunque ricondotto il comodato familiare nell’ambito dell’art. 1809 c.c., il quale prevede la restituzione anticipata dell’immobile solo alle condizioni dell’urgente ed imprevedibile bisogno sopravvenuto del comodante, nella fattispecie mai allegato nè provato. Avverso la sentenza G.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso R.E.E.. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte nel senso nella declaratoria di inammissibilità o, in subordine di infondatezza, del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c.) il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non ha ricondotto la fattispecie alla figura del comodato ad uso precario di cui all’art. 1810 c.c. e non ha affermato il diritto del comodante alla restituzione ad nutum dell’immobile. Ad avviso del ricorrente la disciplina del comodato familiare sarebbe stata illegittimamente applicata poichè nel caso di specie si era in presenza di un rapporto di convivenza poi interrottosi e non anche di una separazione assistita da un provvedimento di assegnazione della casa familiare.
2. Con il secondo motivo il ricorrente si limita a negare apoditticamente la destinazione a casa familiare dell’immobile.
3. I motivi, pur non immuni da profili di inammissibilità sotto più versanti tra loro concorrenti, sono comunque manifestamente infondati. L’inammissibilità rileva sotto un duplice profilo: d’un lato perchè il ricorrente pretende riproporre a questa Corte un accertamento insindacabile di merito quale il collegamento del comodato con le esigenze familiari e l’esclusione delle condizioni di urgente ed imprevisto bisogno legittimanti la richiesta di restituzione del comodante; dall’altro in quanto, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, la sentenza ha deciso la questione di diritto in modo pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di esclusione della natura di comodato precario.
Il principio del quale la sentenza impugnata ha inteso fare applicazione è quello secondo il quale, qualora il comodato sia stato convenuto, o si sia successivamente consolidato per il soddisfacimento delle esigenze abitative della famiglia, dovendosi contemperare le ragioni del proprietario comodante con quelle del comodatario, il rilascio dell’immobile è possibile esclusivamente nell’ipotesi in cui ricorra un urgente ed imprevisto bisogno del comodante, secondo quanto previsto dalla norma di cui all’art. 1809 c.c., comma 2 (Cass. S.U. 29/9/2014 n. 20448; Cass., S.U. n. 13603 del 2004; Cass., 3, 10/2/2017n. 3553).
Pur volendo prescindere dai segnalati profili di inammissibilità, i motivi sono manifestamente infondati in quanto il giudice ha correttamente operato la sussunzione della fattispecie concreta nell’ipotesi normativa di cui all’art. 1809 c.c., comma 2, escludendo la natura instabile del rapporto e mostrando di aderire all’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla equiparazione, ai fini della tutela e del mantenimento della destinazione dell’immobile a residenza familiare, della cessazione del rapporto di stabile convivenza tra persone non unite in matrimonio rispetto all’ipotesi di assegnazione dell’immobile, nell’ambito dei procedimenti di separazione personale dei coniugi e di divorzio.
Conclusivamente il ricorso va rigettato, con le conseguenze sulle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e sul raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018