Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27438 del 30/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 57, presso lo studio dell’avvocato MARINO LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato LARUSSA ADOLFO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.F.;

– intimato-

nonchè da:

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO RUBINI 48 PAL D, presso lo studio dell’avvocato GULLO RAFFAELE, rappresentato e difeso dall’avvocato SORACE DOMENICO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

contro

F.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1440/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott.ssa MOSCARINI ANNA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO MAURO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto conseguentemente del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

L.F. convenne in giudizio F.M.R. esponendo di essere proprietario di un appartamento concesso in uso al figlio L.G. e alla F. nel 1997 per consentire agli stessi, prossimi al matrimonio, di ovviare alla mancanza di un alloggio.

Decorsi nove anni il L. chiese la restituzione dell’appartamento per poter rientrare in Italia dalla Germania ma la F. (che nelle more si era separata dal figlio) non restituì l’immobile, precludendogli la possibilità di rientrare in Italia e causandogli notevoli disagi.

Chiese pertanto di dichiarare l’illiceità della detenzione del bene da parte della convenuta, di ordinare, ai sensi dell’art. 948 c.c., il rilascio immediato dell’appartamento, di condannare la convenuta al risarcimento dei danni quantificati in Euro 130.000.

La F. si costituì in giudizio specificando di abitare la casa coniugale e di essere affidataria della figlia minore, come disposto dal Tribunale di Catanzaro in sede di omologazione della separazione consensuale. Propose domanda riconvenzionale con cui chiese la condanna del L. al pagamento della somma di Euro 25.000, corrispondente alla metà dei costi sostenuti per l’acquisto dei materiali e per la manodopera impiegata per il completamento dell’appartamento, consegnato allo stato rustico.

Il Tribunale di Catanzaro nel 2013 accolse le domande di L.F., sia quanto al rilascio dell’immobile sia quanto alla condanna ai danni, ed accolse anche la domanda riconvenzionale della F., di condanna del L. al pagamento in suo favore della somma di Euro 25.000.

La Corte d’Appello di Catanzaro, adita con appello principale del L. ed incidentale della F., con sentenza del 24/11/2015, premesso che il coniuge affidatario della prole, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in sede di separazione o divorzio, solo se, tra il comodante e almeno uno dei coniugi, il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare, con la conseguente applicazione degli artt. 1803 e 1809 c.c. con durata determinabile per relationem, e che il comodante può chiedere la restituzione sul presupposto di un sopravvenuto urgente bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., sussunse il caso nella predetta fattispecie, riconoscendo l’obbligo della F. di restituire il bene dalla data dell’8/6/2004 – data di ricezione della richiesta restituzione – ed il diritto del L. di ottenere una somma, a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima occupazione, da tale data e fino al 20/12/201, data di riconsegna dell’immobile. Statuì pertanto che al L., spettasse, oltre la somma indicata dal CTU e già percepita, l’importo ulteriore di circa Euro 10.438,00, più accessori a titolo di canoni di locazione non percepiti e che alla F. spettasse la somma di Euro 29.864,09, oltre accessori, pari alla metà dell’importo speso per effettuare lavori sull’immobile.

Avverso quest’ultima sentenza F.M.R. propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. L.F. resiste con controricorso e con ricorso incidentale affidato a cinque motivi. Il P.G. ha depositato le proprie conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del ricorso principale e del rigetto di quello incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorso principale (art. 360 c.p.c., punto 3, violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 1803 c.c. e art. 1809 c.c., commi 1 e 2) censura la sentenza nella parte in cui la stessa avrebbe, erroneamente, ritenuto che il presupposto per l’applicazione dell’art. 1809 c.c., comma 2 risieda in un’esigenza abitativa saltuaria, non sopravvenuta e non imprevista del comodante (pp. 8 e 10 del ricorso) che, risiedendo a *****, rientrava in Italia occasionalmente. Ad avviso della ricorrente non ricorrerebbero i presupposti dell’art. 1809 c.c., alla luce delle testimonianze escusse, dalle quali non sarebbe emerso alcun imprevisto, urgente, e sopravvenuto bisogno del comodante, con conseguente astrattezza ed inattualità del medesimo, e sarebbe piuttosto evidente la doglianza del L. di non aver potuto fruire del reddito ricavabile dall’utilizzazione commerciale del bene.

1.1 Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Inammissibile in quanto si traduce in una richiesta di rivisitazione degli elementi di fatto e delle testimonianze in base alle quali la Corte d’Appello ha confermato l’accertata esigenza del L. di disporre dell’abitazione.

Infondato in quanto la sentenza fa buon uso dell’art. 1809 c.c., respingendo una serie di questioni nuove ed inammissibili proposte dalla ricorrente al fine di sostenere la tesi del comodato precario (quali la necessità di mantenere la destinazione dell’immobile ad uso della famiglia della F. fino al raggiungimento della maggiore età della figlia, la disponibilità per il L. di altro alloggio in proprietà, il trasferimento della dimora in altro luogo) e sussumendo il caso nella fattispecie dell’art. 1809 c.c., comodato per il quale era stabilito un termine, corrispondente all’uso specifico a cui la cosa doveva essere destinata, determinabile per relationem, e con diritto del L. ad esigere la restituzione del bene per soddisfare un sopravvenuto bisogno abitativo. Il motivo va, pertanto, rigettato.

Passando ad esaminare i motivi del ricorso incidentale si rileva che il ricorrente ha svolto una serie di motivi inammissibili in quanto volti, ciascuno per suo conto, e complessivamente considerati, a sollecitare questa Corte ad una rivisitazione del merito per giungere ad una più appagante ricostruzione dei fatti e qualificazione della fattispecie.

1. Con il primo motivo di ricorso incidentale il L. censura la sentenza nella parte in cui non ha qualificato il comodato quale “precario” ai sensi dell’art. 1810 c.c., con la conseguente esistenza di un obbligo di restituzione del bene ad nutum.

1.2 Il motivo è inammissibile in quanto si risolve nella richiesta di una più appagante ricostruzione negoziale (comodato precario) sulla base di accertamenti di fatto rimessi alla esclusiva conoscenza del giudice del merito (Cass., L, n. 12052 del 23/5/2007; Cass., L n. 7394 del 26/3/2010).

2. Con il secondo motivo chiede la cassazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui considera, quale parametro del danno, in applicazione dell’art. 1223 c.c., il minor valore locativo, per come motivato dal C.T.U. (delocalizzazione, assenza di servizi prossimi, assenza di servizi scolastici) e non quello maggiore proposto dall’appellante (pregio dell’area, panoramicità, isolamento dal contesto urbano, ricchezza ambientale etc.) in violazione degli artt. 2727 e 1226 c.c., art. 1223 c.c. e artt. 112,115,116 c.c..

Il L. censura specificamente il capo di sentenza che, respingendo il motivo di appello principale, ha considerato corretto il parametro locativo (Euro 250) assunto per qualificare il danno pur prescindendo dalle osservazioni del CTP che aveva offerto e documentato indicazioni in melius.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè sollecita questa Corte ad una diversa valutazione delle caratteristiche morfologiche dei luoghi, rimesse all’insindacabile valutazione del giudice di merito.

3. Con un terzo motivo censura l’impugnata sentenza per aver considerato, quale unico elemento da cui rilevare il danno procurato, il valore locativo dell’immobile, senza valutare, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il danno riferito al lucro cessante, generato dal potenziale di utilizzo, gestione e disposizione incardinato nel bene.

3.1 Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni esposte con riguardo ai precedenti motivi. La rivalutazione in fatto circa il bisogno del L. di abitare personalmente l’immobile (e non di venderlo o metterlo a reddito diversamente essendo inapplicabile l’art. 1809 c.c.) e circa la mancata prova di aver subito esborsi per non aver potuto godere dell’immobile – avendo la Corte d’Appello accertato che era ospitato dal fratello (p. 7 della impugnata sentenza) – non può essere svolta da questa Corte.

4. Con un quarto motivo censura la sentenza nella parte in cui, accogliendo la domanda riconvenzionale della F. sulle spese sostenute per rendere l’immobile abitabile, ha ritenuto sia la sua legittimazione ad agire (anzichè quella dei genitori che avevano sborsato le relative somme) sia l’intempestività della relativa eccezione da parte del L..

4.1 Il motivo è inammissibile perchè non censura adeguatamente la ratio decidendi della impugnata sentenza che ha ritenuto la questione non afferente al difetto di legittimazione ad agire della F. ma alla titolarità del diritto, con la conseguente operatività delle preclusioni processuali in ordine alla relativa eccezione tempestivamente contestata in appello.

5. Conclusivamente il ricorso principale è rigettato, il ricorso incidentale dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione sono compensate; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato sia per la ricorrente principale, sia per il ricorrente incidentale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale, compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione e dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia della ricorrente principale sia di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472