Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27439 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI ALESSIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCHESI GIANFRANCO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.I., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAISSONI PIERANTONIO giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1096/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 16/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott.ssa MOSCARINI ANNA.

FATTI DI CAUSA

A.F. in qualità di proprietario di alcune unità immobiliari site in località *****, premesso di aver concesso nel 2009 in comodato al figlio I., in ragione e quale compenso dell’opera da lui prestata nella conduzione dell’azienda agricola e dell’attività di agriturismo, un immobile occupato da lui e dalla sua famiglia, avendo egli necessità di aiuto da parte di altra famiglia nelle attività svolte nell’azienda agricola, poichè il figlio, dal 2011, aveva cessato ogni collaborazione ed egli era anziano e non in buona salute, gli intimò in data 27/9/2013, il rilascio dell’immobile. In via subordinata invocò l’applicazione dell’art. 1809 c.c., comma 2, in relazione a detta esigenza.

A.I., costituendosi in giudizio, chiese accertarsi che quello stipulato era un contratto di comodato con vincolo di destinazione ad esigenze abitative familiari e che non sussisteva alcun urgente ed imprevedibile bisogno del comodante di rientrare in possesso dell’immobile, essendo compatibile l’ausilio lavorativo con la permanenza del figlio nell’immobile. Chiese altresì, in via riconvenzionale, l’accertamento dei costi sostenuti per la parziale ristrutturazione di una porzione dell’immobile, quantificabile nella somma di Euro 250.000 e di condannarsi il comodante al pagamento di una indennità pari alla minor somma tra l’importo speso e l’incremento di valore.

Il Tribunale di Bergamo accertò, con sentenza del 2015, che tra le parti era intercorso un contratto di comodato con vincolo di destinazione alle esigenze abitative del nucleo familiare di A.I., e che non sussisteva l’urgente ed imprevisto bisogno del comodante di rientrare in possesso dell’immobile, essendo compatibile l’ausilio lavorativo con la permanenza del figlio nell’immobile stesso. Rigettò conseguentemente la domanda.

A.F. propose appello, si costituì il figlio I. e la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 16/11/2016, escluse (pag. 6, sentenza impugnata) l’esistenza di un comodato modale, connesso alla collaborazione nell’esercizio e nella gestione delle attività agricola e di agriturismo e ritenne che, proprio il venir meno del peculiare collegamento tra compendio immobiliare ed attività svolta nell’impresa, comportasse la configurabilità della costituzione di una società o di un’impresa familiare, di guisa da escludere l’applicabilità dell’art. 1809 c.c. non essendo configurabile un comodato.

Quanto ai presupposti per l’esercizio da parte del comodante del diritto di recesso dal contratto – art. 1809 c.c., comma 2 – la Corte d’Appello ritenne che l’esigenza di trovare una famiglia che potesse subentrare al figlio nello svolgimento delle attività connesse con quella agricola – tra cui l’agriturismo – fosse rimasta indimostrata. Per configurare l’urgente bisogno di rientrare in possesso dell’immobile, ad avviso dei giudici d’appello, l’ A. avrebbe dovuto allegare e dimostrare la ricorrenza della concreta disponibilità di una certa ed individuata persona a subentrare nell’attività di impresa – le cui caratteristiche neppure erano state provate (dimensioni e necessità di altra famiglia in loco) e la necessità di sistemazione sul posto. In assenza di tali prove la Corte d’Appello ritenne indimostrato il presupposto invocato dall’attore, e cioè il bisogno urgente e sopravvenuto per ottenere il rilascio ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2.

Avverso la sentenza A.F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato da memoria. Resiste con controricorso A.I..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1803 c.c., e segg., art. 1809 c.c., art. 1362 c.c., e segg. e art. 116 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 2699 c.c., comma 1) censura la sentenza per non avere, il giudice di secondo grado, applicato alla fattispecie la normativa che disciplina il contratto di comodato e le disposizioni che regolano l’interpretazione della volontà contrattuale delle parti, con violazione dei principi sull’onere della prova e sul ricorso alle presunzioni semplici, soprattutto se in contrasto con le risultanze probatorie direttamente acquisite nel corso del giudizio.

Il ricorrente insiste nella tesi dello stretto legame tra l’occupazione dell’immobile e la collaborazione nell’esercizio delle attività ivi svolte, legame comprovato anche dall’offerta rivolta al figlio di trasferirsi in altro immobile di proprietà della famiglia e di rifondere al medesimo le spese sostenute per gli interventi di ristrutturazione dell’immobile al momento del suo unilaterale recesso.

Sussistendo questo legame, l’immobile rilasciato dal figlio sarebbe dovuto rientrare nella disponibilità del proprietario in quanto oggetto di un comodato, vincolato allo svolgimento dell’attività.

La destinazione dell’immobile al soddisfacimento dei bisogni della famiglia non sarebbe provato, al punto che il giudice di appello ha escluso detto vincolo e dunque l’applicabilità dell’art. 1809 c.c., e tuttavia non ha dichiarato la cessazione del contratto. Avendo confermato la sentenza di primo grado, ha vincolato l’immobile alle esigenze della famiglia, in contrasto con la diversa, provata volontà delle parti, ed ha impedito qualsiasi altra azione per la restituzione dell’immobile. Ad ogni modo, nella prospettiva del ricorrente, il contratto voluto era un comodato modale, ossia la collaborazione nell’azienda agricola, presupposto della concessione in uso dell’immobile.

1.1 Il motivo è infondato.

Correttamente la Corte d’Appello ha escluso la configurabilità del contratto di comodato, avendo configurato nella prospettazione attorea – ribadita nell’esposizione dei fatti contenuta in ricorso (p. 17) – una causa onerosa costitutiva del vincolo sinallagmatico tra il godimento dell’immobile concesso dall’ A. a suo figlio e le prestazioni di gestione dell’azienda agraria e agrituristica da parte di costui e di sua moglie, e perciò lo ha qualificato quale contratto oneroso atipico o di impresa familiare o di società, cessato con il recesso di A.I. (Cass., n. 19683/2003), in tal modo sostituendo questa ratio decidendi a quella del Tribunale – comodato con vincolo di destinazione ad abitazione familiare – ferma la decisione di rigetto della domanda, non avendo l’attore chiesto la restituzione dell’immobile per scioglimento dell’impresa o della società per volontà del figlio (Cass., n. 5876/1979), ma avendo proposto altra causa petendi – comodato – infondata (perciò la statuizione non è di riconoscimento della destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia bensì di insussistenza del vincolo all’esercizio dell’azienda).

2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo il giudice di appello affrontato la questione delle effettive motivazioni che hanno indotto il comodante a concedere l’uso dell’immobile al comodatario, quale corrispettivo dell’attività svolta presso l’azienda agricola e agrituristica del ricorrente e di aver omesso di valutare compiutamente la necessità, manifestata dal comodante, di ottenere la restituzione dell’immobile ex art. 1809 c.c., comma 2.

Ad avviso del ricorrente la sentenza non avrebbe adeguatamente motivato in ordine a due aspetti importanti della vicenda: il primo, attinente al presupposto che ha indotto il comodante a concedere la disponibilità gratuita dell’immobile ed il secondo relativo alla necessità, manifestata dal proprietario, di rientrare nella disponibilità dell’immobile, onde garantire il necessario apporto all’attività dell’azienda da parte di altro soggetto in sostituzione del figlio che, dopo aver dato la propria disponibilità, si era, dopo un breve periodo, inopinatamente rifiutato di proseguire nell’attività, pur continuando a godere di un immobile a lui concesso per finalità ben precise e per un tempo connesso a dette finalità.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè ripropone le prospettazioni di merito senza censurare le articolate rationes decidendi di rigetto della domanda ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2, riassunte in motivazione (p. 4 della (Ndr: testo originale non comprensibile) dell’ordinanza).

3. Conclusivamente il ricorso va respinto con le conseguenze sulle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e sul raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.100 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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