Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27448 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25840-2016 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE 38, presso lo studio dell’avvocato CARMINE FARACE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA già INA ASSITALIA SPA, in persona del legale rappresentante Dott. C.P., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO MONTEFUSCO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

CENTRO OCULISTICO DOTT. M.O. SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1373/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto che ha concluso per l’improcedibilità in subordine rigetto.

FATTI DI CAUSA

I.A. conveniva in giudizio il dottor M.P. e la s.a.s. Centro Oculistico di M.O. chiedendo la loro condanna, in solido o singolarmente, al risarcimento dei danni per le lesioni subite a causa di un intervento di fotocheratomia eseguito dal convenuto, dipendente della suddetta società.

Il tribunale, nel contraddittorio con i convenuti che resistevano insieme all’Ina Assitalia s.p.a. chiamata in garanzia dagli stessi, rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla corte di appello.

Il giudice di secondo grado, in particolare, rilevava che non era risultata la notificazione a M.P. sicchè, non sussistendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario attesa la solidarietà dell’ipotizzata responsabilità, il processo era proseguibile limitatamente alla posizione della società convenuta. Nel merito, per quanto ancora qui rileva, riteneva provato documentalmente il consenso informato, e inammissibili per irrilevanza o genericità le richieste di prova orale contrarie alla suddetta risultanza.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione I.A. articolando tre motivi.

Resiste con controricorso la s.p.a. Generali Italia, già Ina Assitalia s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la falsa applicazione delle norme sul litisconsorzio necessario, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che era stata prospettata la responsabilità del dottor M. quale ausiliario della società ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., risultando così implicato un litisconsorzio processuale necessario in ragione del rapporto di pregiudizialità per dipendenza tra le posizioni dei due convenuti, avvinti da solidarietà passiva c.d. verticale.

Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’obbligo di informazione non soddisfatto ai fini del consenso al trattamento medico, atteso che sarebbe stato inammissibilmente evaso a mezzo di un mero modulo prestampato, e in modo inadeguato relativamente alla fase post operatoria, che aveva rappresentato il momento determinante delle lesioni, correlate al processo cicatriziale successivo all’intervento, suscettibile di ancora maggiore attenzione in quanto la deducente era precedentemente affetta da ulcera corneale, nota al medico curante.

Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi su un capo della domanda, disattendendo le richieste di prova testimoniale dirette a dimostrare l’inadeguatezza dell’informazione funzionale al consenso al trattamento medico, avendo esse ad oggetto la rassicurazione del dottor M. in ordine all’assenza di rischi, e l’invito a sottoscrivere il modulo informativo prestampato perchè richiesto dalla prassi, senza alcuna ulteriore spiegazione riguardo ai rischi connesso all’intervento.

2. Preliminarmente si osserva che Generali Italia s.p.a. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per irrituale formulazione dei motivi privi della formulazione del quesito di diritto; per carenza di firma digitale del ricorso notificato via pec; per carenza della firma digitale anche sulla procura; e per mancanza dell’attestazione di conformità dei documenti oggetto della stessa notificazione.

Rileva la Corte che l’impugnazione in parola risulta sottoscritta digitalmente e notificata via pec in uno alla copia digitale della procura autografa, con successivo deposito di copia cartacea del ricorso, unitamente alla procura, e dell’attestazione di conformità del ricorso e della relata agli originali telematici, a sua volta non sottoscritta in modo autografo da parte dell’avvocato. Ciò si desume:

a) dalla indicazione di firma digitale risultante sul margine sinistro della copia cartacea del ricorso depositata;

b) dalla procura autografa che la relata di notifica, effettuata per posta elettronica certificata, indica allegata alla stessa, pertanto in copia digitale, con ciò finendo con l’essere integrata una fattispecie equipollente a quella della materiale congiunzione di cui all’art. 83, cod. proc. civ.;

c) dall’attestazione di conformità degli atti depositati agli originali telematici (ricorso e relata).

Ciò posto, sebbene tali risultanze siano state ritenute comportare, come pure evidenziato dal pubblico ministero, l’improcedibilità del ricorso, secondo la recente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 22/12/2017, n. 30918, Cass., Sez. U., 27/04/2018, n. 10266), deve darsi atto che la questione è stata nuovamente rimessa alle Sezioni Unite (all’udienza del 17 luglio 2018).

Nondimeno, non è necessario attendere la suddetta pronuncia, posto che emerge un’assorbente ragione d’inammissibilità del gravame qui in scrutinio.

Il ricorso non rispetta, infatti, il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non a un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di intendere compiutamente il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U., 20/02/2003, n. 2602). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Poichè il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti, è inammissibile.

Fermo quanto appena evidenziato, il primo motivo di ricorso risultava attinto da un’ulteriore e assorbente ragione di manifesta inammissibilità.

Infatti, la parte si duole del mancato rilievo del litisconsorzio necessario con il dottor M.P. ma:

a) non ha indirizzato il ricorso anche avverso tale intimato, quale parte passiva della sua domanda;

b) non ha censurato l’ulteriore rilievo della corte territoriale per cui nei confronti di tale originario convenuto non effettuò il rinnovo della notificazione nel termine perentorio accordato, senza che potesse ipotizzarsi alcuna causa di rimessione in termini per causa non imputabile (pagg. 6-7 della sentenza impugnata). Ne discende che l’intero processo avrebbe comunque dovuto esser considerato improcedibile, con la conseguenza che la deducente difettava in ogni caso d’interesse alle censure.

3. Spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali della controricorrente Generali Italia s.p.a. liquidate in Euro 5.000,00, oltre a 200,00 Euro per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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