Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27452 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

COOPERATIVA SOCIALE QUADRIFOGLIO SC ONLUS in persona del Presidente del c.d.a. pro tempore sig. C.E., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SCOLA MICHELE giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEULADA 38/A, presso lo studio dell’avvocato MECHELLI GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELONI FERNANDO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 811/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. CIGNA MARIO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 11/17-5-2016 la Corte d’appello di Torino, nel rigettare il gravame proposto da Cooperativa Sociale Quadrifoglio S.C. Onlus, ha confermato la sentenza 2/6-2-2015 con la quale il Tribunale di Torino, in accoglimento dell’opposizione proposta da P.S., aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pinerolo ed avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 5.946,16, dovuta a titolo di pagamento del residuo non versato concernente alcune rette (che l’opponente si era impegnato a versare) relative al soggiorno della madre Ca.Gi. in ***** presso la Casa di riposo “*****”, di proprietà e gestita dalla detta Cooperativa.

Avverso detta sentenza la Cooperativa Sociale Quadrifoglio S.C. Onlus propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria, cui resiste P.S. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 5 nonchè del D.P.C.M. 8 agosto 1985, art. 6 e dell’art. 1363 c.c., con riferimento all’art. 12 della Convenzione.

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: distinzione tra prestazioni sanitarie a rilievo socio-assistenziale e prestazioni alberghiere”.

Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2.

I motivi, da valutare unitariamente in quanto tra loro connessi, sono fondati.

Anche la presente controversia, come quella analoga trattata e decisa da questa S.C. con sentenza 28321/2017, verte in ordine alla individuazione dei soggetti pubblici e privati sui quali debbono gravare, in tutto od in parte, le spese per prestazioni sanitarie in senso stretto, per prestazioni socio-assistenziali e per prestazioni socio-sanitarie integrate, essendo dibattuto tra le parti se sia o meno consentito distinguere, per le prestazioni erogate in regime residenziale o semiresidenziale, la quota di spesa a carico del Servizio sanitario pubblico da quella a carico degli enti territoriali locali e degli assistiti, nonchè se nell’ambito della retta possano individuarsi quote di spesa distinte in relazione a prestazioni di natura diversa, quali la quota per prestazioni “alberghiere” erogate da strutture accreditate (originariamente convenzionate); in particolare, anche nel caso di specie, la questione sottoposta alla Corte può riassumersi nel quesito se le tariffe indicate nella delibera della Giunta della regione Abruzzo 1.8.2002 n. 662 (recte: le quote di partecipazione alla spesa ripartite in misura giornaliera in Euro 37,95 a carico del Fondo sanitario regionale, ed Euro 32,80 a carico dei Comuni e dei privati chiamati a compartecipare) costituiscano limiti inderogabili del corrispettivo del servizio prestato per lungo-assistenza in regime residenziale ad anziani non autosufficienti, con conseguente invalidità o validità del contratto di servizio stipulato dalla Cooperativa con il Danesi (contratto in cui il corrispettivo per la quota concernente la prestazione socioassistenziale era stato determinato prevedendo anche l’importo maggiorato giornaliero di Euro 3,26 per “quota alberghiera”, con impegno assunto dalla stessa contraente ad accettare eventuali variazioni in aumento della retta; a decorrere dall’1.9.2010 la “quota alberghiera” era stata in effetti incrementata ad Euro 13,20 giornaliere).

Questo Collegio condivide le conclusioni cui è giunta la citata sentenza.

La stessa, infatti, dopo avere compiutamente esaminato lo sviluppo normativo della nozione e della disciplina riservata alle “prestazioni socio-assistenziali” erogate a favore di persone disabili o anziane o comunque non autosufficienti, ha evidenziato che con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 era stato definitivamente chiarito che, accanto alle “prestazioni sanitarie” in senso stretto, interamente a carico del Servizio sanitario pubblico, si collocano -in quanto ricomprese nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)- le “prestazioni sanitarie di rilevanza sociale”, tali dovendo intendersi “le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale” (rimanendo fissato, in Tabella, il tetto di partecipazione alla spesa del Servizio sanitario regionale nella misura del 50% del costo complessivo); siffatta disciplina introdotta dal D.P.C.M. 29 novembre 2001 ha quindi abbandonato la precedente classificazione, riconducendo nell’ambito del servizio sanitario le prestazioni cd. integrate (di natura sanitaria e socioassistenziale), con la limitazione dell’intervento della spesa pubblica alla sola parte sanitaria della prestazione, che, in quanto non distinguibile sul piano dei singoli servizi erogati, è stata individuata “forfettariamente” – secondo una valutazione legale presuntiva – in termini percentuali pari alla metà dell’importo della retta; esulano, invece, dalla indicata disciplina quelle prestazioni aventi natura socio-assistenziale, chiaramente individuabili per il loro contenuto esclusivamente come tali, e che rimangono affidate alla competenza dei Comuni ed alla eventuale partecipazione dei privati alla relativa spesa.

Ciò posto, questa Corte, nella su richiamata sentenza, in ordine alla dedotta nullità per contrarietà a norma imperativa della clausola determinativa della variazione del corrispettivo delle prestazioni rese nella esecuzione del contratto di ricovero residenziale, ha richiamato i principi seguiti dalla giurisprudenza di legittimità in materia, e, in particolare, aveva che:

– se vengono erogate “prestazioni sanitarie”, ogni pattuizione tra la struttura convenzionata/accreditata e l’assistito volta a stabilire un corrispettivo per le prestazioni di cura è affetta da nullità per difetto di causa;

– se vengono erogate prestazioni aventi “natura non sanitaria”, ossia prestazioni esclusivamente di “natura sociale-assistenziale”, eventuali limiti previsti da norme di fonte primaria o secondaria o da provvedimenti amministrativi generali per le quote di partecipazione alla spesa degli enti pubblici territoriali od istituzionali, non escludono la autonoma determinazione del corrispettivo tra strutture erogatrici dei servizi ed utenti (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 19642 del 18/09/2014; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 17234 del 13/07/2017);

– nel caso, invece, in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite “se non congiuntamente” alla attività di natura socioassistenziale, talchè non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni – di natura diversa – debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette a consentire la cura della salute dell’assistito, e dunque la “complessiva prestazione” deve essere erogata a titolo gratuito (Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 4558 del 22/03/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 22776 del 09/11/2016).

Ed invero, come ribadito da Cass. 28321/2017, nel caso di prestazione socio-assistenziale “inscindibile” dalla prestazione sanitaria, l’intervento “sanitario-socio assistenziale” rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all’assistito dal SSR, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed è quindi inserita a pieno titolo nell’ambito organizzativo e funzionale del Servizio sanitario pubblico, regolato da tariffe imposte che possono prevedere anche la compartecipazione alla spesa di altri enti o degli utenti, ma che non sono oggetto di libera pattuizione, in quanto la struttura convenzionata/accreditata eroga una prestazione di servizio (assistenza sanitaria obbligatoria), di contenuto predeterminato, in favore del soggetto cui è assicurata ex lege la tutela della salute, affidata al Servizio sanitario pubblico, alle condizioni quali-quantitative ed anche tariffarie determinate dal Piano sanitario nazionale e dai Piani sanitari regionali in base alle risorse finanziarie disponibili, condizioni e tariffe che detta struttura è tenuta ad accettare se intende svolgere tale attività. Ne segue che, ove ricorra la ipotesi predetta (prestazioni congiunte ed indissociabili necessarie ad assicurare la cura e la tutela della salute della persona), il frazionamento “forfettario” della spesa tra Fondo sanitario nazionale e regionale, da un lato, ed intervento economico integrativo dei Comuni o dei privati, dall’altro -, determinato “in proporzione della incidenza” che rivestono le prestazioni di differente natura, opera pur sempre nell’ambito delle “competenze del Servizio sanitario nazionale materia di integrazione socio-sanitaria di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”, e dunque rimane assoggettato ai limiti tariffari previsti per la spesa sanitaria (comprensiva nel caso di specie anche delle prestazioni socio-assistenziali integrate), non essendo pertanto ipotizzabili elementi di costo aggiuntivi, variabili a discrezione della struttura convenzionata/accreditata, non ricompresi nella determinazione tariffaria della prestazione sanitaria-socio assistenziale integrata; risulta, quindi, in palese contrasto con la previsione legale della “assistenza sanitaria obbligatoria” l’esercizio della facoltà, rimessa all’ente erogatore del servizio, di subordinare la “prestazione di cura integrata” ad un previo accordo di natura privatistica con l’utente avente ad oggetto la determinazione in tutto od in parte del corrispettivo; nel caso di specie la previsione della Delib. G.R. 1 agosto 2002, n. 662, determinativa delle rispettive quote “sanitarie” e “sociali”, in quanto reiterativa del criterio di ripartizione percentuale della spesa individuato nella Tabella, punto 1.0 del D.P.C.M. 29 novembre 2001, concerne evidentemente le “prestazioni sanitarie integrate inscindibilmente alle prestazioni socioassistenziali in regime residenziale”, e dunque viene a realizzare una ripartizione interna (tra più centri di spesa) del costo dell'”unica prestazione integrata” che in quanto necessaria alla somministrazione della terapia di cura o conservativa della salute della persona, rientra nell’ambito delle prestazioni i cui oneri gravano sul Servizio sanitario pubblico.

Qualora la prestazione socio-assistenziale prescinda, invece, del tutto dalla congiunta realizzazione dello scopo terapeutico (ossia nel caso in cui il ricovero nella struttura residenziale non sia accompagnato da un “piano di cura personalizzato”), la prestazione rimane certamente estranea all’ambito dell’assistenza sanitaria obbligatoria, ricadendo nella disciplina generale delle prestazioni sociali di cui alla L. n. 328 del 2000, che prevede soltanto una “integrazione economica” della relativa spesa a carico degli enti pubblici locali (Comuni), senza per ciò prescindere dalla conclusione del contratto di ricovero tra l’utente (od altra persona che contrae in favore dell’utente-terzo) e la struttura residenziale, soggetti tra i quali viene a costituirsi il rapporto obbligatorio le cui condizioni possono essere oggetto di libera contrattazione, in difetto di norme imperative ostative all’esercizio della autonomia negoziale dei privati, ben potendo pertanto essere pattuito un diverso corrispettivo commisurato alla differente qualità dei servizi offerti dalla struttura residenziale.

A tale riguardo poi questa S.C., sempre nella su indicata sentenza 28321/2017, sulla base anche del disposto della L. n. 328 del 2000, ha condivisibilmente evidenziato che l’elemento differenziale tra prestazione socio-assistenziale “inscindibile” dalla prestazione sanitaria, da un lato, e prestazione socio-assistenziale “pura”, dall’altro, non sta nella situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale, ma sta invece nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socioassistenziale.

Erroneamente, pertanto, la Corte, discostandosi da detti principi, e in particolare senza in alcun modo valutare, nella distinzione tra prestazione sociale “inscindibile” e prestazione socio-assistenziale “pura”, il percorso terapeutico in concreto adottato dal soggetto ricoverato nella struttura residenziale e gli eventuali trattamenti in corso, ha confermato l’impugnata sentenza di primo grado, che, a prescindere da siffatta valutazione, aveva di per sè dichiarato nullo il contratto intercorso tra le parti (denominato “dichiarazione di impegno) nella parte in cui lo stesso consentiva l’adeguamento della retta ordinaria in assenza di delibera della Regione Puglia che tale aumento avesse autorizzato.

In conclusione, pertanto, in accoglimento del ricorso, va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso; cassa l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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