Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27461 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2887-2016 proposto da:

L.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PIERLUIGI ALFIERI, MICHELE FRANCO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE SAN GIUSEPPE VESUVIANO, in persona del Sindaco p.t.

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANGELO EMO 106 presso lo studio dell’avvocato CASTALDO CIRO, rappresentato e difeso dall’avvocato BOCCIA MICHELE giusta procura speciale a margine del controricorso;

GENERALI ITALIA SPA, ***** in persona dei legali rappresentanti pro tempore CO.PI. e P.M. procuratori speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato CASTALDO CIRO, rappresentata e difesa dall’avvocato BOCCIA MICHELE giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

NEAPOLIS SRL IN LIQUIDAZIONE, N.D., CA.IV.PA., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 417/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

L.A. conveniva in giudizio il comune di San Giuseppe Vesuviano e in proprio il suo sindaco Ca.Iv.Pa., la F.C. Sangiuseppese e in proprio il suo legale rappresentante N.D. quale responsabile dell’ente per la sicurezza, esponendo che mentre si trovava nel campo sportivo comunale per assistere a una partita di calcio del campionato nazionale dilettanti, tra la F.C. Sangiuseppese e la F.C. Terzigno, veniva colpito all’occhio sinistro, poco prima dell’inizio della competizione, da una scheggia di ceramica proiettata in aria da un petardo lanciato da un ignoto spettatore, con conseguenti lesioni consistenti nella perdita del “visus” oculare coinvolto. Premesso che erano presenti circa 2000 spettatori invece dei 700 consentiti, e che l’impianto non era idoneamente preparato, e infatti non era dotato della prevista agibilità della commissione provinciale di vigilanza, chiedeva il ristoro dei danni non patrimoniali.

Il tribunale, davanti al quale resistevano i convenuti e le chiamate in causa a titolo di garanzia, Ina Assitalia s.p.a. e Fondiaria Sai s.p.a., accoglieva la domanda nei soli confronti della F.C. Sangiuseppese.

La corte di appello, riformando la decisione. di prime cure, rigettava la domanda attorea, rilevando che, seppure la F.C. Neapolis Mugnano s.r.l., già F.C. Sangiuseppese, aveva consentito la vendita fino a 1300 biglietti a fronte dell’ordinaria capacità di 700 propria della struttura, al contempo la stessa aveva richiesto uno specifico intervento delle forze dell’ordine in relazione alla prevista affluenza, aveva ottenuto l’agibilità comunale della struttura, aveva infine aperto i cancelli per evitare incidenti, sicchè l’incremento del rischio così determinato, in tesi concausa dell’incidente, non poteva fondare la responsabilità dell’organizzatrice, non solo perchè la società non aveva consentito l’ingresso degli spettatori nel numero poi concretizzatosi fino a 2000, ma anche perchè non era dimostrato nè dimostrabile che un minor numero di persone avrebbe evitato l’incidente. Infatti, la società organizzatrice e il suo responsabile per la sicurezza non avevano il potere di perquisizione degli spettatori, nè il potere di garantire l’ordine pubblico, e pertanto la condotta dello spettatore che aveva lanciato il petardo aveva costituito un fattore causale autonomo. In ogni caso, l’ingresso degli spettatori oltre il consentito nello stadio, era stato permesso per evitare incidenti ancora più gravi e, quindi, indotto da una situazione contingente di necessità.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione L.A. formulando nove motivi e depositando memoria.

Resistono con controricorso il comune di San Giuseppe Vesuviano e, depositando altresì memoria, le Generali s.p.a., già Ina Assitalia s.p.a..

Non hanno svolto difese gli altri intimati.

Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7, art. 132 c.p.c., n. 4, poichè la corte di appello avrebbe motivato con irresolubile contraddizione, affermando da una parte che la condotta della società sportiva – permettendo, sia pure di concerto con le autorità, l’ingresso di un numero spettatori maggiore rispetto al consentito – aveva incrementato il rischio di eventi quale quello occorso integrando un fattore concausale, e dall’altra che era mancata la dimostrazione dell’efficienza eziologica imputabile alla stessa.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1218,1225,1226,1228,1375,2697, cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe omesso di rilevare che, trattandosi dell’inadempimento dell’obbligazione sorta con l’acquisto del biglietto e quindi di responsabilità contrattuale, sarebbe stata l’organizzatrice a dove dimostrare, come non aveva fatto, l’esatto adempimento comprensivo della sicurezza dell’evento, tenuto conto della prevedibilità di accadimenti quale quello in parola in occasione di manifestazioni sportive con un tale afflusso di persone, e del fatto che la società sportiva stessa avrebbe dovuto ritenersi rispondere anche dell’operato degli agenti delle forze dell’ordine, in quanto ausiliari.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41, cod. pen., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di applicare il principio causale del “più probabile che non” alla ricostruzione fatta nella medesima sentenza in cui era stato affermato l’incremento del rischio in misura proporzionale al numero degli spettatori.

Con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2045 cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’affermare che l’apertura dei cancelli, con conseguente ingresso del maggior numero di spettatori, era stata comunque dettata dallo stato inerente alla necessità di evitare incidenti ancora più gravi, poichè la scriminante sarebbe stata invocabile solo in materia extracontrattuale e solo rispetto a pericoli non volontariamente causati, mentre nel caso si sarebbe trattato di una fattispecie opposta.

Con il quinto e sesto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, nonchè la violazione dell’art. 2043 cod. civ., artt. 40,41 cod. pen., R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 80 (TULPS), poichè la corte di appello, con riguardo alla responsabilità aquiliana del comune, avrebbe omesso di vagliare la condotta di autorizzazione all’uso dell’impianto a fronte dell’omesso rilascio del visto di agibilità della competente commissione provinciale di vigilanza, comprovante l’inidoneità della struttura, risultando così integrato un fattore causale probabilistico decisivo in relazione alle misure di sicurezza che avrebbero potuto ridurre i rischi sia d’ingresso di spettatori in esubero sia, comunque, di condotte pericolose. Di tale omesso rilascio era stato dato atto nella convenzione tra comune e società sportiva prodotta in primo grado e posta a base dell’appello incidentale, facendosi carico della sicurezza, proprio perciò, alla società medesima.

Con il settimo motivo si prospetta la violazione dell’art. 2051 cod. civ., artt. 40 e 41 cod. pen., poichè la corte territoriale avrebbe omesso di rilevare che il comune, anche per espressa indicazione nella convenzione menzionata con riguardo alla quinta censura, manteneva il potere di revocare l’affidamento della struttura sportiva e la sua concessione per l’evento, sicchè avrebbe dovuto rispondere della sua inidoneità.

Con l’ottavo motivo si prospetta la violazione dell’art. 2043 cod. civ., artt. 40 e 41 cod. pen., in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che N.D., quale responsabile della sicurezza della società sportiva, aveva assunto una specifica posizione di garanzia, comprensiva, come testualmente riportato nella ricordata convenzione, del limite d’ingresso degli spettatori entro le 700 unità di capienza massima dell’impianto. Tale violazione avrebbe dovuto rilevare nella prospettiva probabilistica prima ricostruita.

Con il nono motivo si prospetta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe omesso del tutto di pronunciare sulla prospettata responsabilità in proprio, per complessiva condotta omissiva, del sindaco Ca.Iv.Pa..

2. I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono complessivamente fondati per quanto di ragione.

La corte territoriale ha spiegato in motivazione la sua ricostruzione affermando che:

a) la società sportiva aveva permesso l’ingresso degli spettatori in esubero rispetto alla capienza di 700, fino al limite di 1300 biglietti venduti, “sia pure di concerto con le forze dell’ordine impegnate nei controlli e con le altre autorità interessate” (pag. 9 della sentenza impugnata);

b) quanto sub a) aveva “presumibilmente incrementato il rischio di verificazione di eventi dannosi e, quindi, concausato l’incidente, aumentando il rischio in misura proporzionale agli spettatori” (pag.

9);

c) “tuttavia, l’introduzione, occulta e non autorizzata del petardo” non poteva essere imputata “ad un inadempimento della società…ai propri doveri di tutela e sicurezza nei confronti degli spettatori, non solo perchè detta società ne aveva espressamente vietato l’introduzione… ma vieppiù ove si consideri che non è dimostrato, nè altrimenti dimostrabile, che un minor numero di spettatori avrebbe impedito l’introduzione di materiale illegale” (pag. 10);

d) l’evento lesivo era perciò riferibile a una condotta, quella dell’ignoto spettatore che aveva lanciato il petardo, integrante un fattore causale autonomo, imprevedibile e inevitabile posto che la società non aveva il potere di perquisire gli spettatori;

e) “in ogni caso”, anche ammesso che l’ingresso di un maggior numero di spettatori rispetto al consentito nello stadio, avesse avuto “un’incidenza causale nella produzione dell’incidente”, la responsabilità andava esclusa poichè l’iniziativa era stata dettata dalla necessità di “evitare eventi dannosi ancora più gravi” (pag. 10).

Va ora rilevato che alla fattispecie è applicabile la nuova previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione resta denunciabile – con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, che rimane integrata, tra le altre ipotesi sicuramente eccezionali, dal “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ovvero dall’omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 e succ. conf.).

Deve al contempo specificarsi sin d’ora che, nel caso, diversamente da quanto invocato dalla difesa del comune per quanto di suo interesse, non è applicabile il divieto processuale di deducibilità del suddetto vizio motivazionale, per l’ipotesi di doppio accertamento di merito, in fatto conforme, ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, poichè l’appello è stato introdotto nel 2009 (Cass., 11/05/2018, n. 11439).

Ciò posto, risulta evidente l’irresolubile contraddizione in cui è incorsa la corte territoriale affermando che:

1) la società sportiva aveva permesso l’ingresso di 1300 spettatori paganti (pag. 7 della sentenza impugnata), sia pure di concerto con autorità pubbliche, incrementando il rischio in misura proporzionale alle persone in eccesso, e costituendo fattore concausale; ma:

2) non era dimostrato nè dimostrabile che il minor numero di persone avrebbe evitato l’incidente, sicchè la condotta societaria indicata non era imputabile alla convenuta; e:

3) la condotta del terzo (l’ignoto autore del lancio del petardo) aveva costituito fattore causale autonomo, ovvero, in tesi, interruttivo del nesso causale.

Delle due l’una: o il maggior numero di spettatori, in esubero rispetto alla capienza dello stadio e quindi alle condizioni di sicurezza anche preventiva in termini di controlli, aveva proporzionalmente incrementato il rischio di incidenti come quello in parola, e allora la condotta stessa concretante l’illecito non può essere fattore causale autonomo; oppure tale condotta è causalmente autonoma rispetto alla serie causale imputabile e consistente nel consentito ingresso degli spettatori in eccesso, e allora non può darsi l’incremento del rischio quale affermato.

Questa indecifrabilità razionale è resa ancor più manifesta dai contestuali vizi di sussunzione, pure oggetto delle censure.

Infatti, l’incremento del rischio, da valutare in fatto ad opera del giudice di merito secondo il parametro civilistico del “più probabile del non”, corrisponde alla corretta collocazione della fattispecie nella sua propria cornice normativa, data, sul punto, sia dall’art. 1218 cod. civ., venendo in gioco l’adempimento di una specifica obbligazione assunta con la vendita del biglietto al danneggiato; sia dagli artt. 40,41 cod. pen., e quindi art. 1223 cod. civ., dovendosi applicare il criterio della causalità adeguata declinato con la menzionata preponderanza probabilistica.

In tale prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 19/12/2014, n. 26901, pagg. 8-9) ha chiarito che chi organizzi una manifestazione sportiva è tenuto ad attribuire al pubblico – quale corrispettivo del biglietto d’ingresso – non solo il diritto di assistere alla partita, ma anche la garanzia di condizioni minime di agibilità del luogo e di protezione dell’incolumità personale, in specie rispetto ai rischi più gravi di violenze, vandalismi o comunque eccessi, trattandosi di eventi frequenti e prevedibili. Donde l’obbligo di adottare le misure idonee a prevenire tali rischi, a cominciare da adeguati controlli all’ingresso, anch’essi da vagliare, nel delibare il profilo oggettivo della responsabilità, secondo il parametro probabilistico. Si tratta di misure la cui adozione grava in primo luogo sulla società organizzatrice dell’incontro, e che, se omesse, giustificano l’addebito di responsabilità, sia a titolo contrattuale, per la vendita del biglietto, sia a titolo extracontrattuale, in tal caso ai sensi dell’art. 2049 cod. civ.. Fra di esse rientrano i controlli all’ingresso delle forze dell’ordine, titolari di poteri di perquisizione, che, essendo per l’occasione ausiliari dell’organizzatore, nei confronti dei terzi impegnano quest’ultimo ex art. 1228 cod. civ., ovvero ex art. 2049 cod. civ..

La corte territoriale, affermando che la società organizzatrice non aveva alcuna responsabilità in ordine alla sicurezza pubblica, ha dunque violato, in chiave di sussunzione, anche l’art. 1228 cod. civ., come correttamente dedotto nella seconda censura.

Nè, pertanto, risulta invocabile l’art. 2045 cod. civ., sia perchè si tratta di norma applicabile solo nell’ambito della disciplina inerente alla responsabilità extracontrattuale in cui è collocata (Cass., 28/09/1971, n. 2660), sia – è opportuno rilevare per completezza – posto che la corte territoriale riferisce lo stato di contingente necessità all’ingresso di spettatori in esubero rispetto “al numero consentito nello stadio”, laddove il medesimo collegio ha accertato che era stata la medesima organizzatrice a vendere fino a 1300 biglietti, in misura circa doppia rispetto a quella, di 700 posti, verificata come limite proprio dell’impianto (pagg. 7 e 10 della sentenza impugnata), con conseguente vizio di sussunzione anche sotto il censurato profilo della volontarietà.

La corte di appello dovrà dunque procedere a un nuovo esame in fatto, in particolare in ordine al nesso causale, secondo le corrette sussunzioni normative ricostruite.

2.1. Il quinto, sesto e settimo motivo, da esaminare anch’essi congiuntamente per connessione, sono parimenti fondati per quanto di ragione.

E’ vero che la stessa giurisprudenza sopra richiamata (Cass., n. 26901 del 2014, pag. 7) ha osservato che, in generale, non è ravvisabile, in fattispecie simili, una responsabilità del proprietario o gestore dell’impianto per colpa, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., trattandosi di evento non controllabile, a fronte delle migliaia di spettatori delle partite e della natura degli oggetti pericolosi che siano facilmente occultabili. Così come dev’essere esclusa la responsabilità per custodia, trattandosi di danni riconducibili non al bene custodito, nè all’uso che ne è stato fatto dal custode, bensì al comportamento illecito di un terzo, rispetto al quale lo stadio viene a rappresentare esclusivamente il contesto in cui matura la vicenda.

E’ vero però che, nella concreta fattispecie sottesa al precedente in parola, la società lì convenuta non era chiaro se fosse l’organizzatrice della partita e dello spettacolo sportivo, o invece solo proprietaria o titolare dei diritti di gestione dello stadio. E l’arresto spiega che l’evento di danno maturò per ragioni “attinenti all’esagitazione del pubblico” e “non per effetto della peculiare conformazione o delle modalità di gestione del luogo” (pag. 9 della sentenza citata).

Nel caso di specie invece la corte territoriale, quanto al comune, ha accertato che l’ente locale aveva autorizzato la manifestazione sportiva aperta al pubblico dando atto, in una specifica convenzione con la società sportiva organizzante, della mancanza del visto di agibilità di cui all’art. 80 TULPS.

Il suddetto visto è diretto proprio a vagliare le condizioni di agibile sicurezza dell’impianto, con eventuali prescrizioni atte ad escludere i rischi ovvero a contenere idoneamente quelli non del tutto evitabili, e afferisce, pertanto, alle modalità di gestione in sicurezza del luogo.

Di conseguenza anche tale fatto andava esaminato nella delibazione del nesso eziologico da sussumere secondo i prima indicati parametri probabilistici, vagliando se la mancanza delle presumibili limitazioni o prescrizioni che, con quel visto, avrebbero potuto essere adottate, avessero incrementato in misura rilevante il rischio di eventi quale quello oggetto del giudizio (in ipotesi rendendo più efficaci fino a tal punto gli stessi controlli, anche a mezzo di perquisizioni, eseguibili dalle forze dell’ordine riguardo a un numero di spettatori inferiore).

Il fatto era stato dedotto nel primo e secondo grado (la corte di appello lo specifica a pag. 3 della sentenza), come dimostrato dalla parte che ha anche trascritto o riportato indirettamente il contenuto della convenzione, di cui indica luogo e tempo di produzione, con cui il comune affidava la gestione della sicurezza alla società sportiva dando però atto, entrambi, della carenza del visto (cfr., in specie, alle pagg. 23 e 31 del ricorso).

Questo fatto non è esaminato dal collegio di merito, tale esame non potendo essere integrato dal rilievo per cui il comune avrebbe comunque concesso l’agibilità alla società organizzatrice (pag. 8 della sentenza impugnata, citata a pag. 6 del controricorso del comune), posto che si tratta di condotte distinte, e anzi quest’ultima atta a confermare l’accertata autorizzazione comunale in difetto del visto, la cui mancanza, afferente a una circostanza come visto potenzialmente decisiva oltre che discussa, non è stata vagliata.

Il comune, nel controricorso (pag. 8), deduce che, stanti le sue competenze “ex lege”, spettava solo ad esso dare l’agibilità senza chiedere il previo visto, ma – al pari delle deduzioni inerenti alle sopravvenute normative di sicurezza degli stadi (pag. 10 del controricorso), peraltro irrilevanti rispetto ai persistenti obblighi di “neminem laedere” – si tratta di questioni nuove che non si indicano essere state dedotte nelle fasi di merito e che, comunque, non sono state oggetto di ricorso incidentale condizionato. Fermo restando che nessuna autorizzazione comunale temporanea può sopperire alla prevista verifica dell’autorità preposta al rilascio dello specifico visto di cui al citato art. 80 TULPS (Cass. pen., 22 giugno 2005, n. 25519, pagg. 3-4).

Al riguardo va difatti sottolineato che non sarebbe neppure stato sufficiente riportare tale questione nel controricorso, non essendo applicabile, al giudizio a struttura cassatoria, l’art. 346 cod. proc. civ., infatti assente nella relativa disciplina (Cass., Sez. U., 12/05/2017, n. 11799, pag. 30, terzo capoverso).

Non si tratta di una responsabilità per custodia, afferendo l’evento di danno in parola (le lesioni a seguito del lancio del petardo) non alla cosa come tale considerata (come la sicurezza statica, o di accessi e uscite), bensì, ex art. 2043 cod. civ., alla gestione della sicurezza delle persone (prevenzione di condotte violente) che nel contesto di quel luogo affluiscono. E alla luce di tale corretta sussunzione la corte territoriale dovrà al riguardo compiere l’esame omesso.

2.2. L’ottavo motivo è fondato per quanto di ragione.

La corte territoriale ha escluso l’ipotizzabilità di una responsabilità per N.D., per “l’insussistenza di un suo obbligo di garanzia e sicurezza nei confronti degli spettatori”.

Pure in tal caso il collegio di merito ha omesso l’esame della sopra indicata convenzione che lo costituiva responsabile della sicurezza, con specifica assunzione di una posizione di garanzia ex art. 40 cod. pen. e art. 2043 cod. civ., titolo per una eventuale responsabilità solidale, fermi gli accertamenti del nesso causale con idonea motivazione secondo quanto sopra anticipato.

Parte ricorrente, anche in tal caso, ha riportato il contenuto della convenzione nella misura rilevante per la censura, e ha dimostrato di aver dedotto e coltivato nel merito la questione.

2.3. Il nono motivo è fondato.

Non risulta infatti scrutinio della domanda svolta nei confronti del sindaco in proprio. Domanda proposta e coltivata nel merito secondo quanto riportato in ricorso in ossequio al requisito di autosufficienza e quindi specificità della censura.

2.4. Restano assorbite le questioni sollevate da Generali Italia s.p.a., che, in particolare, eccepisce infondatamente il passaggio in giudicato della statuizione, originariamente del tribunale, sull’inoperatività della polizza, mentre su di essa la corte di appello ha espressamente indicato esservi assorbimento (pag. 11, punto 4, della sentenza impugnata), quindi senza alcuna pronuncia che ne potesse integrare il presupposto prospettato per mancato ricorso per cassazione.

3. Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi di ricorso per quanto di ragione, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli perchè, in altra composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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