LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. PORRECA Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
D.P.M.R., D.P.V., D.P.G., P.R.G., D.P.F., elettivamente domiciliati in ROMA, V. DI TORRE MORENA 54, presso lo studio dell’avvocato PERULLI ANNA MARIA, rappresentati e difesi dagli avvocati FINA GIUSEPPE, DEL PRETE VINCENZO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE *****, in persona del suo Direttore Generale e legale rappresentante p.t. Dott.ssa M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato BRUDAGLIO VINCENZO giusta procura in calce al controricorso;
V.G., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MACRI’ ANTONIO VINCENZO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
COMPAGNIA ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 149/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 16/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO;
FATTI DI CAUSA
D.P.O. conveniva in giudizio l’ASL ***** nonchè i Dottori V.G. e G.G. esponendo che, in occasione di un ricovero ospedaliero, seguito a una caduta accidentale, con diagnosi di disturbi cerebrali correlati a un “ictus” subito l’anno precedente, era stato sottoposto a un controllo radiografico per sospetta frattura del collo femorale, ma era stato dimesso con diagnosi di esiti emiparetici. Lamentando il persistere della situazione patologica, con incremento del dolore e impossibilità di deambulazione, era stato di nuovo ricoverato presso lo stesso presidio, con medesima diagnosi, fino alla decisione di ricoverarsi presso l’azienda ospedaliera della città di *****, in cui venivano per la prima volta accertati gli esiti della frattura del collo femorale di cui i medici salentini non si erano avveduti. Premesso di aver pertanto perso in modo irreversibile la capacità deambulatoria e quella del mantenimento della posizione eretta, nonostante il successivo intervento chirurgico di endoprotesi, chiedeva il risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali. Il tribunale riteneva esente da responsabilità il dottor G., assente dal servizio all’epoca dei fatti, e accoglieva la domanda nei confronti degli altri due convenuti e di Assitalia Le assicurazioni d’Italia s.p.a. chiamata in garanzia, disattendendo invece quella del radiologo, Dottor V., nei confronti della Liguria Assicurazioni s.p.a., anch’essa convenuta in manleva, per carenza di copertura. Il giudice di primo grado, per quanto qui ancora rileva, limitava il risarcimento all’inabilità temporanea tra la data del primo ricovero fino a quella dell’intervento di endoprotesi, ritenuta cagionata dall’imperizia del radiologo, concludendo che l’incapacità deambulatoria e di mantenimento della posizione eretta fossero invece imputabili all'”ictus cerebri” precedente. La corte di appello riformava parzialmente la decisione a seguito di un approfondimento peritale officioso, statuendo che un tempestiva e corretta diagnosi, con conseguente immediato intervento chirurgico, sarebbero stati idonei, con ampio margine di probabilità, a determinare un esito funzionale migliore, sicchè doveva imputarsi alla descritta imperizia la perdita del cascame di validità, quantificabile nei termini del 15 per cento di danno biologico permanente, che andava quindi liquidato. La corte territoriale, infine, rigettava la pretesa inerente ai danni patrimoniali, in specie per spese mediche, in difetto di prova. Avverso questa decisione ricorrono per cassazione P.R.G., D.P.V., G., F. e M.R., quali eredi di D.P.O., deceduto nelle more, formulando tre motivi. Resistono con controricorso G. V. e la ASL di *****.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., e art. 32 Cost., poichè la corte di appello avrebbe errato nella liquidazione del danno differenziale parametrandolo, pur in corretta applicazione delle tabelle milanesi, al 15 per cento d’invalidità permanente e non alla quantificazione, di molto diversa, conseguente alla differenza tra il 100 per cento d’invalidità permanente e l’85 per cento della stessa, come avrebbe dovuto ritenersi trattandosi della perdita del cascame di validità biologica, relativa alla capacità deambulatoria e di mantenimento della posizione eretta. Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2059 cod. civ., in uno al vizio motivazionale, poichè la corte di appello avrebbe errato nel ritenere il danno morale parte integrante del danno biologico personalizzato, senza considerazione dei concreti aspetti anche dinamico relazionali, e soprattutto senza considerazione della perdita della “chance” di deambulare, costituente un distinto profilo di pregiudizio. Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli artt. 1223,1226 cod. civ., art. 32 Cost., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere la liquidazione delle spese mediche, cui avrebbe dovuto procedere in applicazione del regime legale delle presunzioni oltre che di quello inerente alla liquidazione equitativa. 2. Il primo motivo è fondato. La corte di appello ha affermato di aver liquidato il danno differenziale in base non a “un mero calcolo aritmetico” bensì in ragione di una “valutazione complessiva” che tenesse “conto del fatto che attualmente il soggetto non riesce neanche a tenere la stazione eretta” (pag. 5 della sentenza impugnata). Fatta questa premessa, il collegio di merito ha d’altra parte proceduto ad applicare le c.d. tabelle milanesi, riferite all’età del danneggiato e al punto d’invalidità permanente del 15 per cento. In tal modo non ha rispettato il regime legale della liquidazione del danno non patrimoniale alla salute. In tema di responsabilità medica questa corte ha chiarito che, quando un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposto a un trattamento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione del trattamento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare deve assumersi come percentuale d’invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente risultante dalle c.d. tabelle per la percentuale d’invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario (Cass., 19/03/2014, n. 6341). Parte ricorrente ha evidenziato la maggior somma che risulterebbe, con le tabelle applicabili al momento, da questo differente procedimento liquidatorio. Differenza correlata alla struttura progressiva del sistema di punto tabellare. Sul punto la sentenza va dunque cassata. 2.1. Il secondo motivo è in parte assorbito, in parte inammissibile, in parte infondato. Deve premettersi che nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass., 20/09/2013, n. 21611). La suddetta inammissibilità può dirsi sussistente, logicamente, a patto che la descritta mescolanza di motivi sia inestricabile (cfr. anche Cass., 17/03/2017, n. 7009). Infatti deve al contempo farsi applicazione del principio per cui la circostanza che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi distinti (Cass., Sez. U., 06/05/2015, n. 9100). L’esame del motivo ora in scrutinio – che richiama in modo cumulativo disposizioni correlate a violazioni di legge e il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – avverrà nei suddetti limiti, al di fuori dei quali residua l’inammissibilità della censura. Quanto al vizio motivazionale, alla fattispecie è applicabile la nuova previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940). E’ evidente che nessuno dei profili appena ricostruiti risulta dalla censura in scrutinio, posto che, sotto il profilo motivazionale, si limita alla deduzione d’insufficienza, come tale dunque inammissibile. 2.1.1. Quanto alla personalizzazione del danno e al danno morale soggettivo, la corte territoriale ha indicato che: a) personalizzava il danno in relazione alla liquidazione cui aveva proceduto erroneamente (pag. 5, terzultimo capoverso, della sentenza impugnata), secondo quanto indicato sub 2; b) il danno morale era stato già liquidato dalla sentenza di prime cure (pag. 5, penultimo capoverso, ultimo rigo). Ne consegue, innanzi tutto, che la c.d. “personalizzazione” non è mancata ima la questione risulta assorbita dall’accoglimento del primo motivo, poichè ad essa consegue la caduta del metodo liquidatorio cui quella individualizzazione del danno è stata legata in sede di merito. Alla stessa dovrà pertanto riprocedersi, se del caso, all’esito del vaglio delle diverse risultanze del metodo liquidatorio sopra indicato, tenendo conto che il punto tabellare d’invalidità permanente, correttamente applicato, è funzionale alla riparazione delle conseguenze ordinarie inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe, mentre i fattori individualizzanti, rispetto a quella, devono risultare concretamente correlati all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata (Cass., 21/09/2017, n. 21939). 2.1.2. In secondo luogo, il danno morale è stato indicato, nella decisione qui gravata, come già liquidato dalla pronuncia di prime cure. E’ vero dunque, che il danno morale deve avere distinta considerazione, sia pur confluendo nell’unitaria liquidazione del danno non patrimoniale alla persona, afferendo a profilo diverso seppure congiunto a quello dinamico relazionale – con traduzione in termini monetari attraverso il criterio del punto tabellare, se del caso da personalizzare – (Cass., 27/03/2018, n. 7513) ma è anche vero che non vi è stato al riguardo alcun errore di giudizio, proprio perchè la sentenza di appello ha dato atto della sua intervenuta liquidazione distinta da quella e non “parte integrante” di ciò che nella censura è indicato come “danno biologico personalizzato” (pag. 9, terzo capoverso, primi due righi, del ricorso). 2.1.3. Quanto al danno da perdita della “chance”, la censura è infondata, poichè essa confonde il pregiudizio da perdita della possibilità di un risultato, con il mancato risultato stesso (nel caso, la conservazione del cascame di validità fisica del 15 per cento) in cui si è già tradotta la percentuale d’invalidità permanente. Qualora, cioè, l’evento di danno sia costituito non da una possibilità sinonimo d’incertezza del risultato sperato, ma dal mancato risultato stesso, non è lecito discorrere di “chance” perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l’equivoco lessicale costituito dalla sua ricostruzione in termini di “possibilità” possa indurre a conclusioni diverse (Cass., 09/03/2018, n. 5641, punto 3.9.1., pag. 19). 2.2. Il terzo motivo è inammissibile. La censura, infatti, non indica nè riporta in che termini e in quale momento processuale siano stati allegati quali specifici fatti, di cui in tesi sia stato anche omesso l’esame, con riferimento ai quali, anche in assenza di altri elementi di prova, avrebbe dovuto procedersi alla correlativa sussunzione nel regime legale delle presunzioni. In tal senso la censura difetta di autosufficienza e quindi specificità. 3. Spese al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Lecce perchè, in altra composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018