LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. PORRECA Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
C.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANGELETTI MARCO FRANCESCO, PUGLIESE PATRIZIA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
D.C., A.M.P., D.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato GOBBI LUISA, rappresentati e difesi dagli avvocati AMICI FABIO, MARIANI MARINI ALARICO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 586/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 06/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. PORRECA PAOLO.
FATTI DI CAUSA
Il professore D.S. conveniva in giudizio la Gestione liquidatoria della soppressa ULSS ***** e il professor C.O. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per il mancato conferimento dell’incarico di direzione del reparto di Oculistica dell’Ospedale di *****, esponendo che, a seguito di convenzione tra l’Università di Perugia e la suddetta ULSS, era stato designato per tali funzioni ma, non essendo gradito agli organi dell’unità sanitaria il cui amministratore straordinario era il secondo convenuto, la nomina, prima era stata ritardata, e poi non era stata effettuata, procedendosi, invece, alla sospensione della convenzione e all’indizione di un concorso pubblico che, prevedendo requisiti di cui il deducente era sprovvisto, aveva portato a incaricare altro soggetto.
Il tribunale, per quanto qui ancora rileva, dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, con pronuncia riformata dalla Corte di appello che, nella contumacia di C.O. dichiarata a seguito della notifica effettuata il 2 febbraio 2008, riconosceva la sussistenza della giurisdizione ordinaria limitatamente alla domanda nei confronti di C., rigettata nel merito.
A.M.P., D.M. e C., quali successori dell’attore, nelle more deceduto, interponevano ricorso per cassazione, con notifica inizialmente recante esito negativo per irreperibilità del destinatario e poi rinnovata, con autorizzazione della Suprema Corte, nei confronti di C.A. indicato unico erede di C.O. di cui era stato accertato l’intervenuto decesso il *****. La rinnovazione della notifica era effettuata il 18 giugno 2012 e si perfezionava per compiuta giacenza, senza che l’intimato svolgesse difese nel giudizio di legittimità.
La Suprema Corte, con sentenza a Sezioni Unite del 19 gennaio 2015 n. 739, confermava la giurisdizione del giudice amministrativo, mentre con sentenza della Terza Sezione del 31 luglio 2015 n. 16276, cassava la decisione di merito impugnata.
Gli eredi di D.S. riassumevano, con atto notificato il 30 novembre 2015 ad C.A., quale erede di C.O.. La notifica era ricevuta da C.A. a “mani proprie”, “tale qualificatosi”.
La Corte di appello, in diversa composizione, nella contumacia dell’appellato, accoglieva parzialmente la domanda.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione C.A. formulando tre motivi.
Resistono con controricorso A.M.P., D.M. e C., quali eredi di D.S..
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 110 c.p.c., art. 137 c.p.c., e segg., artt. 286,328,330 cod. proc. civ., per nullità e/o inefficacia della notifica del primo ricorso per cassazione e del successivo atto di citazione in riassunzione ex art. 329 cod. proc. civ., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza. Ad avviso del deducente le notifiche effettuate al chiamato all’eredità – non accettante e poi rinunciante il 12 dicembre 2016, con atto ricevuto dal Cancelliere del tribunale di Perugia, prodotto in questa sede ex art. 372 cod. proc. civ. – sarebbero da considerarsi nulle, stante la mancanza della qualità presupposta nel destinatario.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 110 cod. proc. civ., poichè la sentenza emessa nei confronti del deducente sull’erroneo presupposto della sua qualità di erede, sarebbe per tale motivo nulla.
Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 110 cod. proc. civ., poichè la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto pronunciata senza il necessario litisconsorzio nei confronti di tutti gli altri eredi, individuati nei figli del “de cuius”, E., L. e An., come da estratti di nascita prodotti anch’essi ex art. 372 cod. proc. civ..
2. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.
In primo luogo va dichiarata inammissibile la produzione della documentazione inerente alla rinuncia all’eredità.
Ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione non è consentito il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata quale vizio proprio dell’atto, e le ipotesi non ricorrono nel caso di specie, trattandosi della dedotta carenza di legittimazione passiva che, quale mero chiamato non accettante l’eredità, il ricorrente avrebbe potuto allegare costituendosi e dimostrare (cfr., Cass., 08/10/2014, n. 21227, pag. 2, proprio in una ipotesi di mancata produzione della rinuncia all’eredità funzionale alla dimostrazione della carenza di legittimazione).
In tal senso, non muta quindi alcunchè la circostanza della definitiva rinuncia datata alcuni giorni dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, nonostante l’efficacia retroattiva della rinuncia stessa ex art. 521 cod. civ..
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti chiarito che i chiamati all’eredità, pur non assumendo, per il solo fatto di aver ricevuto e accettato la notifica ricevuta come eredi, la suddetta qualità, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale condizione soggettiva, chiarendo la propria posizione, e il conseguente difetto di legittimazione (Cass., 10/11/2015, n. 22870, pagg. 12-14, in un caso di riassunzione nei confronti di chiamati rinuncianti, con rinuncia non resa pubblica prima della riassunzione). Ciò in quanto dopo la morte della parte, la legittimazione passiva, che non si trasmette per mera delazione, dev’essere individuata dall’istante allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta, o, conoscibile con l’ordinaria diligenza, alcuna circostanza idonea a dimostrare la mancanza del titolo (Cass., 29/03/2017, n. 8051, pagg. 3-4, in una ipotesi di rinuncia ritenuta ragionevolmente rilevabile prima della riassunzione).
Per queste ragioni, ricondotte costituzionalmente al principio di giusta e sollecita definizione dei processi ex art. 111 Cost., questa Corte ha ritenuto nulla la notificazione del gravame o dell’atto di integrazione del contraddittorio o della riassunzione, all’erede che abbia rinunciato, nel solo caso in cui la rinuncia sia avvenuta prima della notifica stessa (Cass., 14/10/2011, n. 21287, pagg. 5-9, specie terzo capoverso di pag. 9).
Quanto poi alle sentenze di questa Corte la censura è anche inammissibile, posto che non solo neppure in quella sede l’odierno ricorrente ebbe a contestare la qualità di erede, ma, in tesi, la questione avrebbe dovuto farsi valere con la revocazione.
2.1. Il terzo motivo è inammissibile.
Anche in questo caso va dichiarata l’inammissibilità della produzione documentazione consistente negli estratti degli atti di nascita di cui in narrativa.
Deve ribadirsi ancor più diffusamente che nel giudizio di cassazione non è ammissibile la produzione di nuovi documenti al fine di dimostrare la necessità d’integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, poichè le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 cod. proc. civ., tale produzione, sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, e non estendendosi, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento, quantunque idonei, in astratto, a spiegare effetti invalidanti sulla sentenza (Cass., 12/10/2017, n. 24048).
Dunque, il vizio processuale derivante dall’omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato interno (Cass., 28/02/2012, n. 3024).
Per completezza si può osservare che gli estratti in parola neppure avrebbero potuto provare quanto allegato dal deducente, non attestando l’accettazione dell’eredità, in mancanza di altri elementi quale, quanto meno, il registro delle successioni ex art. 52 disp att. cod. proc. civ., da cui rilevare la mancanza di (altre) rinunce.
4. Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti liquidate in Euro 7.200,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Il Collegio ha deliberato la motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018