Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27468 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI N. 281, presso lo studio dell’avvocato SCAPELLATO LORENZO, rappresentata e difesa dall’avvocato PABIS TICCI NICOLA giusta procura speciale con autentica consolare del 12/7/17;

– ricorrente –

contro

M.A.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MACHETTA MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato GAVIRAGHI FRANCESCO giusta procura speciale in calce al controricorso;

M.A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE FURIO CAMILLO, 99, presso lo studio dell’avvocato GUERRERA WALTER, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SEGHI LUIGI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1125/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

Che:

D.M., figlia di M.A.M.L. e nipote di M.A.A. aveva proposto opposizione in data 12 novembre 2009 avverso il decreto ingiuntivo con il quale la madre e la zia le avevano ingiunto, con decreto del Tribunale di Firenze del 10 agosto 2009, il pagamento della somma di Euro 44.000 in favore di ciascuna di esse a titolo di penale per il ritardato rilascio di un immobile sito in Firenze ed oggetto di un verbale di conciliazione che aveva definito una controversia possessoria;

con separata domanda D.M. aveva preventivamente chiesto, con atto di citazione del 2 luglio 2009, la riduzione ad equità della predetta penale. Il Tribunale di Firenze aveva disposto la riunione dei giudizi che traevano origine da una pregressa controversia ereditaria sulla titolarità dell’immobile, già appartenente ad Ma.Ad.An., nonno di D.M. e padre delle ingiungenti. D.M. lamentava di essere stata indotta a sottoscrivere l’accordo dalle congiunte, che avevano approfittato della sua inesperienza. Si costituivano quest’ultime contestando l’opposizione e deducendo che era stata M. ad indicare l’ammontare della penale al fine di definire la lite. L’importo della stessa non era iniquo, perchè corrispondente al canone di locazione presumibile, maggiorato del 50%;

il Tribunale di Firenze con sentenza del 17 febbraio 2014 revocava il decreto ingiuntivo e condannava D.M. a versare in favore della controparte la somma di Euro 26.400 ciascuna rilevando che in considerazione dell’interesse delle parti appariva equo ridurre la penale nella predetta misura;

avverso tale decisione proponeva appello D.M. ritenendo errata la decisione del Tribunale, tra l’altro, perchè aveva parametrato la penale ad un canone mensile di Euro 3700 senza tenere conto che una stanza dell’immobile non era fruibile e senza considerare la quota di proprietà dell’appellante, pari a 4/9 e non ad 1/3 del totale. Si costituiva M.A.A. che spiegava appello incidentale relativamente alla regolamentazione delle spese di lite;

la Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 28 giugno 2016, emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. respingeva l’appello principale e quello incidentale provvedendo sulle spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.M. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso M.A.A.. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo lamenta la violazione dell’articolo 1384 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e omessa valutazione ed insufficiente, contraddittoria o apparente motivazione riguardo circostanze decisive per la determinazione della misura equa della penale. In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato nel fare riferimento solo al valore locativo dell’immobile senza tenere conto che, per l’esecuzione dei lavori necessari ad adeguare l’immobile era stato previsto uno scomputo di canoni sino all’importo di Euro 20.000, poichè ciò era previsto in un accordo successivo alla transazione per il rilascio dell’immobile. Al contrario, la pattuizione del canone nella misura di Euro 3700 mensili era coeva alla decisione di compensare una parte degli oneri necessari all’adeguamento dell’immobile, sino alla misura di Euro 20.000 (il contratto di locazione del 3 novembre 2009 stipulato con il nuovo conduttore, successivo al verbale di conciliazione del 3 dicembre 2007, prevedeva che sarebbe stata decurtata la somma di Euro 1000 al mese per 20 mensilità a partire dal mese di febbraio 2010);

il motivo è inammissibile sotto due profili. In primo luogo perchè si richiede alla Corte di valutare la congruità della motivazione ipotizzando che l’importo relativo alla compensazione nella misura di Euro 20.000 rispetto alla durata del contratto di locazione (non indicata) che prevede un canone mensile di Euro 3700 possa avere avuto un valore significativo nella determinazione della misura della penale. In secondo luogo, perchè la doglianza non è specifica in quanto la Corte territoriale non ha affermato che l’accordo relativo alla compensazione dell’importo di Euro 20.000 era successivo rispetto al nuovo contratto di locazione, concluso dopo la transazione. Ha correttamente evidenziato che il contratto di locazione concluso con un terzo (nuovo conduttore) in data 3 novembre 2009 è successivo alla transazione. Nell’ambito di tale contratto è prevista la decurtazione di una parte delle spese di adeguamento dell’immobile, nella misura di Euro 20.000 con individuazione esatta dell’ammontare mensile e del periodo nel quale operare tale compensazione;

in secondo luogo la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha considerato che, per un periodo di 20 mesi, il canone di locazione sarebbe stato ridotto ad Euro 2700 mensili e che, avendo fatto riferimento al contratto di locazione al fine di valutare la congruità della penale, avrebbe dovuto tenere conto, anche di ciò;

la doglianza è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quale omessa valutazione di un fatto storico. In realtà, la circostanza è espressamente presa in esame dalla Corte che esclude di dover scorporare l’importo relativo ai lavori di ristrutturazione i e ciò sulla base di una specifica motivazione (la clausola penale si configura come mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale che opera su un piano diverso e successivo rispetto all’eventuale inadempimento costituendo una liquidazione anticipata e concordata del danno, indipendentemente dalla prova dello stesso). La Corte ha ritenuto ragionevole la valutazione del Tribunale fondata sulla funzione di garanzia della clausola penale e sul valore locativo del bene immobile e ciò indipendentemente dalla circostanza che, con i conduttori successivamente reperiti, le parti siano state costrette a stabilire particolari condizioni relative all’esecuzione di lavori di adeguamento e successivo parziale scomputo dai canoni da pagare. Anche sotto tale profilo la censura non coglie nel segno, poichè il giudice di merito ha fatto riferimento al valore locativo del bene e non al contratto di locazione del 3 novembre 2009;

in terzo luogo la ricorrente deduce che i giudici di merito non hanno considerato che una stanza dell’immobile, che rappresentava il 15% della superficie utile e che costituiva il vano di maggiore pregio, perchè si affacciava sul fiume *****, era chiusa per accordo comune tra le parti. Tale esclusione ha certamente inciso sull’appetibilità commerciale dell’immobile, ma tale profilo non è stato valutato dalla Corte;

il motivo è inammissibile poichè ha ad oggetto esclusivamente valutazioni in fatto, come quelle relative alle caratteristiche del vano chiuso, all’appetibilità, al pregio, alla vista sul fiume *****. Tutte considerazioni che non possono formare oggetto di sindacato di legittimità;

in quarto luogo secondo la ricorrente la decisione della Corte d’Appello è giuridicamente errata nella parte in cui ha valutato la congruità della riduzione della penale non sulla base delle quote di proprietà esistenti al momento dell’introduzione del giudizio (rispettivamente 4/9 per D. e 5/18 per ciascuna delle due controparti), ma tenendo conto di astratte quote paritarie (1/3 per ciascuna delle parti). Ciò in quanto il Tribunale di Firenze aveva già rigettato la domanda di riduzione testamentaria proposta dalle odierne intimate. Pertanto, a queste ultime sarebbe stata assegnata una quota del canone di locazione pari, al massimo, a 5/9 dell’importo e non 2/3, come ritenuto dal Tribunale e dalla Corte territoriale;

la Corte territoriale (pagina 4) ha affermato correttamente che il potere di riduzione della penale (art. 1384 c.c.) è oggetto di un giudizio secondo equità, svincolato dalla osservanza rigorosa delle regole del diritto soggettivo, ma ispirato a principi di prudenza. All’epoca in cui è stata conclusa la transazione e la relativa clausola penale erano pendenti le azioni di impugnazione del testamento di riduzione di legittima per cui la decisione impugnata è stata ritenuta ragionevole perchè ha tenuto conto anche dell’interesse delle M.A. sulla base delle aspettative del contenzioso in corso. La ricorrente non contrasta l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui la facoltà di riduzione della penale ex art. 1384 c.c.costituisce un giudizio secondo equità in cui non rileva la diversa quota assegnata alle M.A.;

in secondo luogo la doglianza esula dal perimetro dell’art. 360 c.p.c., n. 5 perchè non riguarda un fatto storico, ma una valutazione giuridica (rilevanza della differente quota ed effetti della decisione del Tribunale di Firenze sulla causa di lesione di legittima), non riguarda un punto decisivo (non chiarendo l’incidenza della percentuale di 2/3 ritenuta dal Tribunale, rispetto a quella di 5/9 sostenuta dalla ricorrente) e attiene alla congruità della motivazione, riproponendo le medesime questioni già esaminate dalla Corte territoriale;

sotto tale profilo le valutazioni relative all’entità della clausola penale ed alla misura equitativa della riduzione rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, con la conseguenza che tali profili sono incensurabili in sede di legittimità se correttamente motivati, come nel caso di specie, sulla considerazione dell’interesse del creditore all’adempimento e con riguardo alla effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale all’epoca della determinazione della clausola, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno (Cass. 20 dicembre 2012 n. 23621; Cass. 7180/12; Cass. n. 2231/12 ed altre);

pertanto, la ricorrente censura come violazioni di legge o omissioni motivazionali, valutazioni di merito espresse dalla Corte territoriale sui criteri di determinazione della penale;

in quinto luogo (pagina 23 e seguenti) la ricorrente lamenta la motivazione apparente della Corte territoriale che attribuisce rilevanza al verosimile esito negativo della causa possessoria, definita con transazione;

la doglianza è inammissibile poichè si pone al di fuori delle ipotesi previste dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non ricorrendo alcuna motivazione apparente i poichè il riferimento alle ragioni che hanno determinato la conclusione dell’atto di transazione e l’inserimento della clausola sono profili certamente pertinenti, mentre ogni ulteriore censura relativa alla adeguatezza della motivazione esula dalla norma indicata;

sotto altro profilo la decisione di ritenere equa (o non iniqua) la maggiorazione del 50% del guadagno che si riteneva di conseguire dall’adempimento dell’obbligazione appare in contrasto con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza in casi analoghi, che si assestano sulla misura del 20%;

la censura è inammissibile poichè assolutamente generica non potendosi fondare l’argomentazione sulla base di due decisioni, rispettivamente di legittimità e di merito, relative ad una casistica certamente non sovrapponibile a quella in esame;

la ricorrente lamenta, altresì, la carenza motivazionale della sentenza impugnata relativamente al profilo dell’interesse patrimoniale che le intimate avevano alla liberazione dell’immobile, non esaminando tutte le censure sottoposte al giudice di appello;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza facendo riferimento a specifiche considerazioni che avrebbero formato oggetto dell’atto di impugnazione e che non sono menzionate nella decisione gravata. In ogni caso, si tratta di rilievi che riguardano esclusivamente il merito rispetto ai quali, da un lato, il giudice di appello non è tenuto a contestare ogni singola argomentazione oggetto di impugnazione, dall’altro, si tratta di valutazioni che non possono essere oggetto di sindacato in questa sede;

con il secondo motivo lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 112 c.p.c. per mancata pronunzia su una domanda e comunque per violazione, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 91 e 92 c.p.c. riguardo alla liquidazione delle spese di lite del giudizio di primo grado. Poichè il Tribunale aveva esaminato, sia il giudizio avente ad oggetto la richiesta di riduzione della penale, sia quello di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto la richiesta di pagamento dell’importo relativo alla penale, il primo giudice ha omesso di pronunziarsi sulle spese di lite del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nell’ambito del quale era stata disposta la revoca del decreto e l’accoglimento della domanda in misura ridotta, pari al nuovo importo della penale. Nonostante la riunione dei procedimenti ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia poichè il Tribunale si riferisce, nell’individuare il parametro di liquidazione delle spese, al “limitato accoglimento della domanda attorea”, evidentemente riferendosi al primo giudizio relativo alla richiesta di riduzione della penale. In ogni caso, nel giudizio di opposizione, l’odierna ricorrente, quale parte opponente, sarebbe totalmente vittoriosa;

il motivo è infondato: la tesi della ricorrente muove dal presupposto che nell’ipotesi di riunione dei giudizi il giudice di merito avrebbe dovuto operare due autonome liquidazioni delle spese processuali. Tale tesi è assolutamente destituita di fondamento. A seguito della riunione dei procedimenti il Tribunale ha operato una valutazione complessiva, tenendo conto che, rispetto alla domanda di D.M. di riduzione della penale, vi è stato un parziale accoglimento; rispetto alla domanda di pagamento della penale, oggetto di procedimento monitorio e successiva opposizione a decreto ingiuntivo, a seguito della riduzione della penale, è stato revocato il decreto ingiuntivo, ma egualmente disposta la condanna al pagamento della somma inferiore;

parte ricorrente non argomenta la censura ex artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) relativa alla valutazione operata dal primo giudice e confermata in appello, per l’ipotesi di soccombenza reciproca. Invece, censura (erroneamente) la violazione di legge sotto il profilo dell’omessa pronunzia riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Sotto tale profilo la doglianza è destituita di fondamento;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo ed in favore di ciascuna delle controricorrenti – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, in favore di ciascuna delle controricorrenti, liquidandole in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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