Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27474 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

F.F., N.A.G., MINISTERO ECONOMIA FINANZE *****, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA *****, MINISTERO DELLA SALUTE *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2177/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 6/4/2016, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato lo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, al risarcimento dei danni subiti da F.F. e N.A.G. a seguito del mancato recepimento, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie 75/363/CEE e 82/76/CEE, avendo gli istanti, dopo il conseguimento della laurea in medicina, frequentato i corsi di specializzazione, rispettivamente, in nefrologia medica e in oftalmologia (il primo dal 1983 al 1986, il secondo dal 1990 al 1994), senza percepire l’equa remunerazione al riguardo prevista dalla disciplina comunitaria a carico di ciascuno Stato nazionale;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto infondata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla difesa erariale, in considerazione del difetto di adeguata prova sul punto;

che, avverso la sentenza d’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che nessun intimato ha svolto difese in questa sede.

CONSIDERATO

che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), per avere la corte territoriale totalmente omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente il rigetto, da parte del giudice di primo grado, dell’eccezione di litispendenza sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, essendosi la corte d’appello unicamente limitata a rilevare l’infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno, mai sollevata dalla difesa erariale;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

che siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;

che è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);

che nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente il rigetto, da parte del giudice di primo grado, dell’eccezione di litispendenza sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (essendosi la corte d’appello unicamente limitata a rilevare l’infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno, mai sollevata dalla difesa erariale), ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione circa gli atti e i documenti (con particolare riguardo all’atto d’appello e al relativo contenuto) dai quali sarebbe stato possibile desumere l’effettiva proposizione di uno specifico motivo d’impugnazione avverso il rigetto, da parte del primo giudice, dell’eccezione di litispendenza sollevata in primo grado dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;

che, pertanto, sulla base delle argomentazioni sin qui illustrate, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

che non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione, in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto alcuna difesa in questa sede;

che non vi è altresì luogo – in ragione della natura statale dell’amministrazione ricorrente – per l’attestazione della sussistenza dei presupposti relativi al versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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