Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27475 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato SPINOSO ANTONINO V.E., che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VIOLA ANDREA MICHELE giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIACOBBE GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ACQUAVIVA CARLO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6287/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2018 dal Consigliere Dott. DI FLORIO ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’improcedibilità in subordine rigetto;

udito l’Avvocato SPINOSO ANTONINO;

udito l’Avvocato GIACOBBE GIOVANNI;

udito l’Avvocato ACQUAVIVA CARLO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. V.G., affidandosi a cinque motivi, ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, decidendo il giudizio di riassunzione seguente alla pronuncia che aveva cassato con rinvio la prima sentenza della stessa Corte territoriale, aveva respinto la domanda avanzata per ottenere dal collega M.S. (all’epoca Presidente di Sezione del Tribunale penale di *****) il risarcimento dei danni subiti a seguito della diffamazione che assumeva fosse stata posta in essere attraverso dichiarazioni insinuanti ed offensive da lui rese nei suoi confronti (nel periodo in cui aveva svolto le funzioni di Presidente della Corte d’Appello reggina) dinanzi ad un gruppo di lavoro del Consiglio Superiore della Magistratura, costituito per intervenire nelle zone più colpite dalla criminalità organizzata del distretto.

2. L’intimato ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo, secondo e terzo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 4:

a. l’inosservanza e la disapplicazione delle indicazioni e prescrizioni di rinvio fissate da questa Corte con la sentenza n. 13668/2012 e la conseguente violazione della regola iuris sulla vincolatività delle stesse: lamenta, in particolare, che la pronuncia che aveva accolto il terzo e, parzialmente, l’ottavo motivo di ricorso (dichiarando assorbiti tutti gli altri) aveva ritenuto che la Corte territoriale non avesse contestualizzato le dichiarazioni rese dal M. dinanzi al gruppo di lavoro del Consiglio Superiore della Magistratura, perchè aveva omesso di valutare tutti i brani delle dichiarazioni contestate; e che, nonostante la strada interpretativa tracciata, la Corte di rinvio se ne era discostata, disattendendo il controllo che gli era stato rimesso;

b. la violazione del giudicato e la manifesta illogicità, contraddittorietà ed apparenza della motivazione, con riferimento alla nuova lettura della copia del verbale da lui prodotto contenente la trascrizione delle dichiarazioni rese dinanzi al CSM che doveva essere preclusa nel giudizio rescissorio in quanto il relativo motivo di ricorso era stato respinto;

c. la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 con riferimento al travisamento della prova e del quadro probatorio relativo al contesto descritto, in cui la sua posizione era stata indicata come “non estranea a fortissimi contrasti”, con lettura ed interpretazione travisante che ignorava, oltretutto, un’altra fonte documentale (in particolare, la relazione dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia del 14.10.1994) in cui egli era stato indicato “come il principale obiettivo della strategia destabilizzante e non come il fautore di essa”, con rappresentazione, dunque, di una realtà ben diversa da quella ricostruita dalla Corte territoriale.

1.1. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p., nonchè dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova; la violazione dell’art. 115 c.p.p. e art. 132 c.p.p., n. 4 per travisamento della prova con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4: lamenta che non erano stati esaminati gli eventi in ordine cronologico (in particolare, non era stato considerato che il suo rapporto con la società sportiva di basket si era concluso subito dopo la sua nomina come Presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria) e, conseguentemente, era stata falsamente ravvisata, nelle dichiarazioni del M., la scriminante dell’adempimento di un dovere, nonostante l’erroneo collegamento delle affermazioni da lui rese.

1.2. Con il quinto motivo,infine, viene dedotta la violazione degli artt. 91,92 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: il ricorrente assume che non era stata motivata la decisione sulle spese con la quale era stato applicato, rigidamente, il principio della soccombenza, senza alcun esame della possibilità di derogarvi.

2. Preliminarmente, deve esaminarsi la questione relativa all’improcedibilità del ricorso, sotto il duplice profilo della mancata attestazione di conformità all’originale della copia della sentenza impugnata; e dell’assenza di deposito della asseverazione, con sottoscrizione autografa del difensore, della documentazione informatica relativa alla notifica a mezzo PEC della sentenza. Sul primo punto.

Questa Corte ha chiarito, con orientamento ormai consolidato, che ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis convertito nella L. n. 221 del 2012, introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52 convertito – con modificazioni – nella L. n. 114 del 2014 (che ha integrato la L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9) il procuratore è tenuto ad attestare la conformità all’originale digitale dei documenti prodotti in formato analogico, non essendo operative nel giudizio di cassazione le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali: in ragione di ciò, per ciò che interessa in questa sede, ove la conformità non venga attestata dalla cancelleria dell’ufficio presso il quale il provvedimento oggetto di impugnazione è stato depositato, può provvedere il difensore mediante la sottoscrizione, necessariamente autografa (manuale) e non digitale, della dichiarazione allegata alla sentenza o in calce ad essa, depositata presso la cancelleria della Corte (cfr. Cass. n. 7443/2017 nonchè Cass. n. 17450/2017 e Cass. 28473/2017).

La sentenza oggetto di impugnazione è stata depositata in formato cartaceo (v. sottoscrizione autografa del Presidente e del Consigliere estensore ed attestazione di deposito della Cancelleria della Corte d’appello): come rilevato dal controricorrente, manca, tuttavia, l’attestazione di conformità all’originale, essendo stata versata in atti una mera riproduzione analogica di essa.

2.4. Ciò comporta, l’inidoneità della copia depositata a tener luogo della copia autentica prevista dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), incombente previsto dalla norma a pena di improcedibilità del ricorso.

Sulla seconda questione.

Questa Corte ha recentemente affermato che “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio.” (cfr. Cass. 30765/2017 alla cui motivazione si rimanda per intero).

Nel caso in esame, manca l’attestazione di conformità dei documenti informatici comprovanti la notifica a mezzo PEC della sentenza impugnata, come di evince dall’esame del fascicolo del ricorrente nel quale è presente soltanto la fotocopia non autenticata del messaggio di invio della notifica a mezzo PEC della sentenza, senza la documentazione informatica asseverata relativa alla ricevuta di avvenuta spedizione ed avvenuta consegna (RAC e RDAC) del messaggio e dell’allegato. Nè si rinvengono produzioni della parte controricorrente idonee a sanare, ai fini della procedibilità del ricorso, tale omissione.

2.2. Inoltre, si osserva che il ricorso per cassazione è stato notificato (in data 8.2.2016) oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (12.11.2015): quindi, in assenza dell’unica ipotesi in cui perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (cfr. Cass. 10 luglio 2013, n. 17066, richiamata nel par. 22) di Cass. 30765/2017), era necessario che la ricorrente osservasse rigorosamente le formalità imposte dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, declinate nel giudizio di Cassazione, non ancora telematico, alla luce della normativa sulle notifiche a mezzo PEC (L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter) che impone la autenticazione, con sottoscrizione autografa del difensore, della copia analogica delle ricevute di trasmissione ed avvenuta consegna.

Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato, in limine, improcedibile sotto il duplice profilo sopra esaminato.

Alla soccombenza segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte, dichiara l’improcedibilità del ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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