Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27483 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

N.J., NI.RA., domiciliati in ROMA, PIAZZA SS.

APOSTOLI, 66, presso lo studio dell’avvocato FELICETTI TERESA, rappresentati e difesi dall’avvocato MASTALIA ROBERTO giuste procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.C., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO GIUSEPPE MARIA NINO, LA FRANCESCHINA MAURO AMEDEO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12134/2016 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 04/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO.

FATTI DI CAUSA

In riforma della decisione impugnata il Tribunale Ordinario di Milano, adito in grado di appello, con sentenza in data 4.11.2016 n. 12134, riconosceva la responsabilità esclusiva di Ni.Ra., conducente della vettura di proprietà di N.J. che risultava priva di copertura assicurativa RCA, per i danni materiali cagionati a causa del tamponamento al veicolo condotto e di proprietà di B.C., e, rigettate le eccezioni di improcedibilità per mancato esperimento del procedimento di mediazione nonchè di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., e ritenuta la legittimazione passiva esclusiva di Assicurazioni GENERALI s.p.a. n.q. di impresa designata da IVASS per conto del FGVS, condannava quest’ultima al risarcimento dei danni liquidati in Euro 12.946,30 oltre accessori, nonchè il conducente e la proprietaria del veicolo investitore a tenere indenne la impresa designata delle somme pagate al danneggiato.

La sentenza di appello, notificata a Ni.Ra., in data 16.2.2016 ed a N.J., in data 23.12.2016, è stata impugnata per cassazione da entrambi con un unico ricorso, con il quale sono stati dedotti sette motivi di censura.

Resiste con controricorso B.C..

Non ha resistito Assicurazioni Generali s.p.a. n.q. di impresa designata, cui il ricorso è stato notificato a mezzo posta e spedito in data 13.2.2017.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre rilevare che non risulta depositata la cartolina AR attestante la notifica del ricorso eseguita a mezzo posta nei confronti della società assicurativa.

Tuttavia la questione pregiudiziale – che imporrebbe il rinvio della causa a nuovo ruolo per la integrazione necessaria del contraddittorio – deve ritenersi recessiva rispetto alla decisione del ricorso, in quanto ragione più liquida, dovendo confermarsi l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di una manifesta infondatezza dello stesso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013).

Esame dei motivi di ricorso.

Primo motivo: violazione o errata applicazione dell’art. 219 c.c. (recte: 1219) in ordine alla mancata messa in mora del debitore, nonchè dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 2 Cost. e conseguente omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – motivazione assente od omessa.

Il motivo è manifestamente inammissibile già nella sua prospettazione in rubrica ove si cumulano in relazione alla medesima statuizione impugnata vizi di legittimità incompatibili (l’errore di diritto suppone la corretta rilevazione della fattispecie concreta e quindi l’assenza di errori di fatto); si denuncia un vizio per errore di fatto estraneo al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012); si denuncia un vizio di nullità processuale per carenza assoluta della motivazione – requisito di validità della sentenza – che non può logicamente coesistere con gli altri vizi di legittimità dedotti.

In ogni caso gli argomenti svolti nella esposizione, incentrati sulla riferita abusiva alterazione da parte del B. del modulo CAI, sulla omessa comunicazione ai responsabili del danno di atto di messa in mora, e sulla mancata convocazione degli stessi alla mediazione, condotte tutte violative del principio di buona fede in quanto messe in atto, secondo i ricorrenti, al fine esclusivo di aumentare artatamente la entità dei danni, si risolve in questioni che richiedono accertamenti in fatto, peraltro indimostrate, sottratte al sindacato di legittimità.

Secondo motivo: errata applicazione D.Lgs. n. 26 del 2010 ed art. 24 Cost. per mancata convocazione dei responsabili nel procedimento di mediazione obbligatoria e conseguente omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Sostengono i ricorrenti che il tribunale ha errato nel ritenere applicabile alla fattispecie la disciplina della “negoziazione assistita” introdotta per le controversie in materia di risarcimento danni da circolazione di veicoli e natanti dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132 conv. con modificazioni in L. 10 novembre 2014, n. 162, poichè il sinistro si era verificato in data 29.4.2012 e dunque rimaneva assoggettato alla disciplina della mediazione obbligatoria prevista dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 1: non avendo il B. adempiuto a tale onere la causa doveva ritenersi improcedibile.

Ribaditi i rilievi di inammissibilità formulati in relazione alle modalità di denuncia di plurimi vizi di legittimità incompatibili, il motivo non accede all’esame del fondo, difettando del requisito di specificità quanto alla descrizione dei fatti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non essendo neppure specificato se, quando e con chi si sia svolta la procedura di risoluzione alternativa della controversia ed eventualmente in che data sia stata proposta la domanda di mediazione.

Premesso che la tesi difensiva si fonda su un presupposto errato in diritto (ed è dunque anche infondata), in quanto la verifica della condizione di procedibilità va compiuta alla stregua della disciplina normativa vigente non alla data del sinistro ma alla data della proposizione della domanda di mediazione (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, comma 1), si rende infatti indispensabile verificare quale sia la disciplina applicabile “ratione temporis”, tenuto conto che il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1, norma che originariamente assoggettava alla mediazione obbligatoria anche le controversie in materia di risarcimento danni derivati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, e – per conseguente estensione – l’art. 24 del medesimo D.Lgs. (norma che fissava la entrata in vigore della norma “dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” – prorogati di ulteriori dodici mesi relativamente alle controversie risarcitorie da circolazione di veicoli e natanti, dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 16 decies, conv. in L. 26 febbraio 2011, n. 10 – limitandone la applicazione “ai processi successivamente iniziati”) sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., con sentenza 6 dicembre 2012 n. 672, e che – successivamente – il Legislatore è nuovamente intervenuto nella materia, sia con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”) convertito con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 98, entrata in vigore il 22.6.2013 che, all’art. 84 ha emendato le parti del D.Lgs. n. 28 del 2010 colpite dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, escludendo dalle materie sottoposte alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria le controversie risarcitorie; sia con il D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (“Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”) conv. in L. 10 novembre 2014, n. 162, assoggettando le predette controversie alla condizione di procedibilità dell’esperimento obbligatorio della cd. “negoziazione assistita” (art. 3: la norma ha acquistato efficacia 90 giorni dopo la entrata in vigore in data 11.11.2014 – comma 8 -).

Orbene, atteso l’effetto demolitorio “ex tunc” dell’art. 5, comma 1, e delle altre norme del D.Lgs. n. 28 del 2010 prodotto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, e tenuto conto della “vacatio legis” dell’istituto della mediazione obbligatoria, determinata dalla predetta pronuncia di incostituzionalità e proseguita ininterrottamente – per quanto concerne le controversie di risarcimento danni derivati dalla circolazione stradale – fino alla entrata in vigore della norma del D.L. n. 132 del 2014, che ha introdotto l’istituto della negoziazione assistita a far data dall’11.11.2014, risulta evidente come la presente lite, instaurata con atto di citazione notificato in data 26.3.2013, non fosse soggetta alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria, espunta dall’ordinamento giuridico, nè fosse – ancora – assoggettabile alla condizione di procedibilità della negoziazione assistita.

Terzo motivo: violazione degli artt. 156,157,163,164,165,167,318,319,320 c.p.c., in ordine alla illegittima rimessione in termini della parte attrice e conseguente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è inammissibile in quanto non assistito da adeguata descrizione del “fatto processuale”, non essendo specificato dai ricorrenti se la mancata notificazione della citazione sia da imputarsi ad omissione della stessa attività materiale ovvero a mancato perfezionamento del procedimento notificatorio eseguito dal difensore, a mezzo posta, ex lege n. 53 del 1994 o dall’Ufficiale giudiziario, in quanto inficiato da vizi di nullità, come sembrerebbe emergere dalla lettura della sentenza impugnata. Neppure viene esplicitata nel motivo di ricorso l’affermazione per cui l’attore avrebbe richiesto ed il Giudice di Pace avrebbe accordato una “rimessione in termini”, non avendo individuato i ricorrenti quale fosse il termine di decadenza in cui sarebbe incorso l’attore (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).

La carente descrizione del fatto processuale impedisce a questa Corte di effettuare la richiesta verifica di legittimità in ordine alla statuizione del Giudice di appello.

Del tutto priva di fondamento normativo è poi la tesi difensiva secondo cui la procura ad litem rilasciata a margine dell’atto di citazione la cui notifica non è stata perfezionata perderebbe efficacia a seguito della notifica dell’atto di citazione in rinnovazione: se infatti il vizio di nullità della procura ad litem, incidendo sulla regolare costituzione del rapporto processuale, si comunica ai successivi atti del processo ed alla sentenza che definisce il giudizio (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4020 del 23/02/2006), non vale l’ipotesi reciproca, atteso che la nullità della citazione non investe il distinto negozio giuridico di conferimento del “jus postulandi” al difensore, che permane quindi integro e pienamente valido anche in caso di integrazione o rinnovazione della citazione ex art. 164 c.p.c., comma 5 (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 15498 del 11/08/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 10231 del 28/04/2010).

Quarto motivo: violazione dell’art. 291 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. in relazione alla mancata trascrizione nell’atto in rinnovazione del contenuto della citazione originaria; conseguente vizio di fatto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è inammissibile.

Indipendentemente dalla contestazione, esaminata nel motivo precedente, della allegata illegittimità del provvedimento adottato dal Giudice di Pace alla udienza 6.3.2013, con il quale l’attore veniva autorizzare al “rinnovo” della notifica dell’atto di citazione, i ricorrenti censurano la ulteriore “ratio decidendi” della sentenza del Tribunale secondo cui la costituzione dei convenuti (attuali ricorrenti) in primo grado – con comparsa in data 1.5.2013: vedi ricorso pag. 5 – aveva sanato i vizi dell’atto introduttivo (nel quale non era stato trascritto il contenuto della originaria citazione nell’atto di citazione in rinnovazione) e della originaria notifica, essendosi i convenuti difesi su tutte le questioni di merito, dimostrando di avere piena contezza della domanda, e dunque non evidenziandosi alcun pregiudizio al diritto di difesa ed al principio del contraddittorio.

I ricorrenti infatti omettono del tutto di trascrivere, anche per riassunto: a) il contenuto dell’atto di citazione in rinnovazione; b) il contenuto della comparsa di risposta in primo grado (non risultando, peraltro, “aliunde” che i convenuti, in difetto del rilievo di ufficio, abbiano eccepito la nullità dell’atto di citazione in rinnovazione). Rimane quindi impedito alla Corte di verificare se e quale pregiudizio al diritto di difesa sia stato loro effettivamente arrecato in ordine alla possibilità di controdedurre efficacemente sui fatti allegati e sulle pretese formulate dalla parte attrice.

Non è dubbio che i vizi attinenti la “editio actionis” non consentano sanatoria in base alla mera costituzione del convenuto (art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4, ed art. 164 c.p.c., commi 4 e 5). Ma il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui in materia di nullità dell’atto di citazione, i vizi riguardanti la “editio actionis” sono rilevabili d’ufficio dal giudice, nè sono sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo questa inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono il suo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale, non potendo farsi applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, e art. 157 cod. proc. civ. essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 17495 del 23/08/2011; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 6673 del 19/03/2018), non si attaglia alla vicenda in esame nella quale il Giudice di appello ha ritenuto di escludere il vizio di nullità della citazione, sul presupposto che il contenuto dell’originario atto di citazione, poi rinnovato, fosse pienamente cognito ai convenuti, alla stregua della complete difese svolte nel merito nella comparsa di risposta depositata in primo grado: in sostanza il Giudice di appello ha ritenuto che l’oggetto del giudizio fosse stato definito nei suoi elementi essenziali (causa petendi, petitum, eccezioni).

Ne segue che la censura non supera pertanto il rilievo per cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione: pertanto è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 6330 del 19/03/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 26831 del 18/12/2014).

Quinto motivo: violazione artt. 320 e 194 c.p.c., art. 24 Cost. mancata produzione probatoria da parte dell’attore; illegittima ammissione c.t.u. esplorativa; autorizzazione al CTU del primo giudice ad acquisire materiale probatorio non prodotto dalle parti; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I ricorrenti lamentano che: 1 – l’attore non aveva articolato la prova nella prima udienza avanti il Giudice di Pace come prescritto dall’art. 320 c.p.c.; 2 – che il Giudice di Pace aveva illegittimamente ammesso una c.t.u. meramente esplorativa per sopperire alle lacune probatorie dell’attore che aveva prodotto in giudizio soltanto una fattura attestante le riparazioni dei danni al veicolo; 3 – che il Giudice di Pace dopo aver rigettato l’istanza di parte attrice volta a consentire la produzione documentale oltre la udienza ex art. 320 c.p.c., aveva poi accolto, in violazione delle preclusioni istruttorie, la istanza del CTU intesa ad acquisire direttamente dalle parti i documenti (foto del veicolo incidentato) necessari all’espletamento dell’incarico.

Il motivo è palesemente inammissibile in quanto i vizi processuali denunciati afferiscono tutti allo svolgimento del giudizio di primo grado ed in tale sede avrebbero dovuto essere fatti tempestivamente valere, reiterando le eccezioni alla udienza di precisazione delle conclusioni e, convertendosi tali vizi di nullità in motivi di gravame della sentenza di prime cure, avrebbero dovuto allora essere dedotti con atto di appello incidentale che non risulta sia stato proposto: alcuna indicazione in contrario potendo essere tratta dalla intestazione della sentenza del Tribunale di Milano (da cui emerge che gli appellati avevano “precisato conclusioni”, in via subordinata, volte a riformare la decisione di prime cure, ma non anche che avessero ritualmente proposto appello incidentale), nè tanto meno dal ricorso per cassazione nel quale è riferito soltanto che gli appellati si costituivano in giudizio, con comparsa in data 16.4.2015, “contestando integralmente il contenuto dell’atto di citazione in appello”, ma senza proporre anche ai sensi dell’art. 343 c.p.c.impugnazione incidentale.

Sesto motivo: violazione D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 140, 149 e art. 154, comma 5 (Codice della Strada); nonchè degli artt. 2043 e 2054 c.c. e conseguente errore di fatto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I ricorrenti investono la statuizione del Tribunale concernente l’accertamento della responsabilità esclusiva di Ni.Ra. nella causazione del sinistro stradale, deducendo: 1 – la contraffazione del modulo CAI da parte del B., con conseguente inutilizzabilità di tale prova documentale; 2 – la illegittima ammissione da parte del Giudice di Pace dell’interrogatorio formale deferito alla proprietaria della vettura, solo genericamente richiesto dall’attore nell’atto di citazione; 3 – la “palese falsità” delle dichiarazioni rese in primo grado dal teste B.M.; 4 – una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro.

Il motivo è inammissibile in quanto, salvi i vizi di nullità processuale afferenti il giudizio di primo grado e non deducibili in questa sede in difetto di rituale devoluzione con i motivi di gravame incidentale avanti il Giudice di appello, per il resto va ad impingere nella valutazione di merito del materiale probatorio compiuta dal Tribunale, che è insindacabile in sede di legittimità salvo i ristrettissimi limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 “nuova formulazione” (D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012), nella specie non osservati, non essendo indicato alcun “fatto storico” oggetto di discussione nei precedenti gradi di merito che sia stato omesso dal Tribunale.

Settimo motivo: violazione delle norme di diritto in tema di valutazione della tipologia e della entità dei danni; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è manifestamente inammissibile già nella formulazione della rubrica ove non vengono neppure indicate le norme di diritto in ipotesi violate. La contestazione delle risultanze della consulenza tecnica svolta in primo grado, attengono al merito ed esulano del tutto dal sindacato di legittimità, essendo appena il caso di ribadire che eventuali nullità istruttorie del primo grado, per non incontrare la preclusione di novità nel presente giudizio, avrebbero dovuto essere dedotte ritualmente con appello incidentale.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le parti ricorrenti vanno condannate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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