LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PESCE DARIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 5331/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/10/2018 dal Presidente Relatore Dott.ssa DI VIRGILIO ROSA MARIA.
La Corte:
RILEVATO
Che:
Con sentenza depositata il 19/12/2017, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 28/10/2016.
La Corte di merito ha rilevato che la vicenda personale del M.G. (intimidazioni subite da alcuni confinanti terrieri che avevano occupato parte dei campi del cittadino maliano e che nonostante l’intervento del capo villaggio, che aveva dato ragione al M., avevano minacciato questi con armi da fuoco) e la rinuncia a chiedere tutela alle autorità locali semplicemente perchè distanti più di 100 km, anche se calate nella realtà culturale di provenienza, non integravano i presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato nè della protezione sussidiaria; ha escluso anche la protezione umanitaria, rilevando che il ***** è in corso di pacificazione e che gli scontri permangono in una zona lontana da quella di provenienza della parte, dove, secondo diverse fonti, la situazione si sarebbe normalizzata; ha negato la protezione sussidiaria, ritenendo la carenza di significativa fragilità o vulnerabilità.
Ricorre il M., con due mezzi; il Ministero non svolge difese.
CONSIDERATO
Che:
Il ricorrente denuncia, col primo motivo, il vizio di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7,8 e 14 ed il vizio di motivazione, opponendo alla valutazione della Corte del merito la persistenza nel ***** di una situazione di generale violenza e grave insicurezza, e sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto fare riferimento al criterio di provenienza geografica (a sud del *****), ove sta peggiorando la situazione della generale sicurezza.
Col secondo motivo, si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, vista la situazione grave del paese di provenienza.
Il primo motivo è inammissibile.
La Corte del merito, considerato il motivo personale per cui il M. ha lasciato il *****, sia pure valutato unitamente al contenzioso con i vicini, ha escluso la protezione sussidiaria, non riscontrando le situazioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), e, quanto alla previsione di cui alla lett. c), ha dato atto che, da fonti aggiornate, risulta che nella zona da cui proviene il M.(la regione di *****) la situazione si starebbe normalizzando, tanto che “L’UNCHR non avrebbe rinnovato la richiesta di sospensione dei rimpatri forzati verso quell’area del *****”.
Ora, a fronte di detta specifica motivazione, il ricorrente oppone una diversa valutazione, richiamando la circolare del Ministero dell’Interno n. 346 del 29/1/2014, di cui non indica l’avvenuta produzione nel giudizio di merito, nè a riguardo rispetta l’art. 366 c.p.c., n. 4 (ed in ogni caso detta circolare è significativamente antecedente alle fonti citate in sentenza), e le preoccupazioni espresse dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (di detto documento, la parte non indica l’avvenuta produzione nel giudizio di merito nè ottempera all’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4); nel resto, contesta del tutto genericamente il mancato assolvimento da parte della Corte d’appello degli oneri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, senza neppure indicare quali fatti avrebbero dovuto considerarsi veritieri: a riguardo va richiamato il principio espresso, tra le altre, nella pronuncia 19197/2015, secondo cui “la proposizione del ricorso al tribunale nella materia di protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio”.
Anche il secondo mezzo è inammissibile, per l’estrema genericità e la sostanziale richiesta di rivisitazione del merito.
La Corte del merito ha dato ampiamente conto delle ragioni di diniego della protezione umanitaria, considerando tanto il pregresso dell’appellante nel Paese di provenienza che la sua attuale condizione personale, concludendo nel senso che la parte, di giovane età, con forti legami affettivi in *****, potrebbe ivi reintegrarsi nel contesto sociale con facilità e senza correre il rischio di alcun trauma.
A fronte di detta circostanziata valutazione, l’odierno ricorrente si limita del tutto genericamente a contrapporre l’esistenza di una situazione di vulnerabilità per la gravità della situazione in *****.
Conclusivamente, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Non v’è luogo alla pronuncia alle spese, non essendosi costituito l’intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018