Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27494 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SANTILLI STEFANIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3780/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/10/2018 dal Presidente Relatore Dott.ssa DI VIRGILIO ROSA MARIA.

La Corte:

RILEVATO

Che:

Con sentenza depositata il 30/8/2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 16/9/2016, e per l’effetto ha rigettato tutte le domande del ricorrente, O.O., cittadino nigeriano, rilevando, dopo un generico rilievo di mancanza di prova dei fatti rilevanti, che: la narrazione dell’appellante resa nelle diverse sedi non era connotata da un sufficiente grado di coerenza, ragionevolezza, attendibilità, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, ravvisandosi solo un insieme di circostanze personali, senza alcuna riconducibilità della vicenda persecutoria allo Stato, ai partiti, alle organizzazioni che esercitano un controllo sul territorio dello Stato, nè era stata dedotta l’impossibilità di ottenere protezione in patria; che non sussistevano elementi sufficienti per ritenere che tornando in Patria, l’ O. potesse subire il concreto rischio di subire un danno grave alla persona, tenuto conto della specifica regione di provenienza (Edo State) sulla base dei resoconti più recenti dell’UNHCR, che non deponevano per una situazione di conflitto armato o violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona (l’appellante proviene da *****, a sud della *****); che non era concedibile la protezione umanitaria, non presentando il territorio di ***** situazione di particolare criticità, nè il ricorrente poteva ritenersi versare in una situazione di particolare fragilità e vulnerabilità personale.

L’ O. ricorre avverso detta pronuncia con tre motivi.

Si difende con controricorso il Ministero.

CONSIDERATO

Che:

Col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 della CEDU, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, l’assenza di motivazione, nonchè la violazione dei parametri normativi di credibilità delle dichiarazioni rese e della definizione di danno grave, stante l’omessa valutazione del fatto decisivo, dichiarato in sede di interrogatorio libero avanti al Tribunale, ovvero che se lo stesso tornasse in *****, sarebbe messo in prigione, stante il proprio orientamento sessuale; sostiene che la Corte d’appello si è limitata a rilevare la mancata riconducibilità della vicenda persecutoria all’autorità statale; denuncia l’omessa valutazione della minaccia alla vita, delle violenze e dell’emarginazione, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c), e senza effettuare in alcun modo la valutazione critica dei fatti. Col secondo, si duole della mancata collaborazione istruttoria del Giudice del merito nel reperire riscontri, giungendo a trascurare ogni riferimento al caso di specie, mentre la valutazione della domanda di protezione internazionale va effettuata su base individuale; secondo la parte, sono stati violati dalla Corte del merito il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 4 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Col terzo, in relazione al permesso umanitario, il ricorrente si duole dell’omessa seria indagine sugli aspetti decisivi a riguardo.

Il primo ed il secondo motivo, davalutarsi congiuntamente in quanto strettamente collegati, vanno accolti nei limiti e per le ragioni di seguito esposti.

E’ opportuno premettere che la Corte del merito, dopo avere ritenuto coerentemente articolate le motivazioni del Tribunale e non fornita dal ricorrente la prova “degli elementi rilevanti”, e dopo avere considerato che la narrazione dell’ O. nelle diverse sedi non poteva ritenersi sufficientemente coerente e credibile, ha affermato nel merito che nella vicenda narrata dalla parte non era riscontrabile alcuna forma di “persecuzione grave e personale per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, opinioni politiche, orientamento sessuale, ma un insieme di circostanze puramente personali”.

Da quanto sopra riportato, deve pertanto ritenersi che la Corte territoriale non si sia limitata a ritenere motivatamente non credibile la narrazione dell’ O., dato che la stessa, dopo avere genericamente concluso in tal senso, è poi scesa a valutare nel merito la vicenda personale della parte.

In forza di detta argomentazione, deve ritenersi che la ratio decidendi della sentenza impugnata consista proprio nella valutazione nel merito della narrazione dell’ O., e non già nella mera affermazione della non credibilità tout court della stessa, che avrebbe precluso ogni ulteriore considerazione.

Ora, come reso palese dalla trascrizione alle pag. 3, 4 e 5 del ricorso delle dichiarazioni del ricorrente in primo grado, l’ O. aveva dichiarato il proprio orientamento sessuale, affermando altresì: “Se tornassi in *****, sicuramente sarei messo in prigione come è successo al mio fidanzato di ***** che, secondo quanto mi ha raccontato mia madre – ha avuto una condanna a venticinque anni di carcere.”

Di tale fatto decisivo la Corte d’appello non si è curata affatto, e, nel valutare il quadro emergente dalla narrazione dell’appellante, ha ritenuto di non ravvisare alcuna prova di persecuzione grave e personale, riducendo il tutto a fatti personali, senza esaminare il profilo dell’orientamento sessuale, rilevante a livello statale e giudiziario.

A riguardo, si deve rilevare che la pronuncia 2875/2018 ha affermato che in tema di protezione internazionale, posto che l’autorità amministrativa e il giudice di merito svolgono un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria, ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere lo “status” di rifugiato, o il danno grave, ai fini della protezione sussidiaria, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenza o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve invece accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero (si trattava di cittadino del Gambia accusato di omosessualità, punita da quell’ordinamento con pene gravissime quali tortura, ergastolo, decapitazione).

E la pronuncia 15981/2012 ha affermato che, ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza (nella specie, *****) è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta; devono, pertanto, essere acquisite le prove, necessarie al fine di acclamare la circostanza della omosessualità del richiedente, la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale.

Resta assorbito il terzo motivo.

Conclusivamente, accolti i primi due motivi, assorbito il terzo, va cassata la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato, e che provvederà anche a decidere sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la pronuncia impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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