Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27504 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLO Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26913-2017 proposto da:

H.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMO 144, presso lo studio legale e commerciale SORRENTINO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI MEO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2057/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO ANTONIO PIETRO LAMORGESE.

FATTI DI CAUSA

la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame di H.J., cittadino bengalese, avverso l’impugnato provvedimento che aveva rigettato la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale nella triplice forma prevista dall’ordinamento, in considerazione del fatto impeditivo di essersi macchiato nel suo paese di origine di un reato gravissimo, come quello di omicidio volontario di un avversario politico, punito in Italia con pena non inferiore a dieci anni.

Avverso questa sentenza egli ha presentato ricorso per cassazione; il Ministero dell’interno non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 3, 5,7,8,10 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per avere ritenuto che la commissione di un crimine comune fosse causa impeditiva del riconoscimento dello status di rifugiato, omettendo la doverosa valutazione del rischio persecutorio.

Con il secondo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 951 del 2007, artt. 4, 14 e 16 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per avere ritenuto che la commissione di un crimine comune fosse causa impeditiva del riconoscimento della protezione sussidiaria, senza valutare il pregiudizio che egli subirebbe in caso di detenzione e accertare le condizioni di violenza indiscriminata nel suo paese di origine.

Con il terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, artt. 2 e 10 Cost., per non avere motivato in ordine alla richiesta di protezione per ragioni umanitarie, tenuto conto del suo valido inserimento nel mondo del lavoro in Italia e del pregiudizio che subirebbe in caso di rientro nel paese di provenienza.

I motivi sono infondati.

La sentenza impugnata è conforme al principio di diritto secondo cui il diritto alla protezione sussidiaria non può essere concesso, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, comma 1, lett. b), a chi abbia commesso un reato grave – quale, nella specie, indubbiamente è quello di omicidio – al di fuori del territorio nazionale, la cui sussistenza è condizione dell’azione che deve essere accertata alla data della decisione e che, involgendo la mancanza dell’elemento costitutivo previsto dalla norma, integra una mera difesa, rilevabile d’ufficio anche in appello (Cass. n. 18739/2018, 16100/2015).

La commissione di un reato grave all’estero è analogamente ostativa al riconoscimento sia dello status di rifugiato, anche se perpetrato con un dichiarato obiettivo politico, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b), sia – per identità di ratio della protezione per motivi umanitari.

Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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