LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5297 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
Omav s.p.a., (società incorporante la società Ronconi s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Federico Bortolotti e Gabriele Di Paolo, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Liegi, n. 35/B;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 18/67/2010, depositata il giorno 11 gennaio 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate di Brescia aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti della società Ronconi s.p.a. con il quale era stato contestato il mancato versamento dell’IVA, relativa all’anno 2001, per le fatture emesse nei confronti della società M. sistemi s.p.a. per l’acquisto di beni nel maggio 2001, non avendo i verificatori rinvenuta l’emissione, prima del perfezionamento delle operazioni commerciali di acquisto, delle dichiarazioni di intenti, essendo stata riscontrata solo la ricezione di un fax del 30 maggio 2001, quindi successiva all’emissione delle fatture; la ricorrente aveva, invece, sostenuto che la dichiarazione di intenti le era pervenuta con raccomandata inviata dalla società M. sistemi s.p.a. in data 18 aprile 2001, quindi, prima dell’emissione delle fatture; a seguito di impugnazione proposta dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Brescia aveva accolto il ricorso, avendo ritenuto che le controdeduzioni dell’Ufficio non erano idonee a superare la prova documentale offerta dalla ricorrente; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, nel contraddittorio con la società contribuente, ha rigettato l’appello, avendo ritenuto che, pur essendo gli argomenti dedotti dall’Agenzia delle entrate nell’atto di appello meritevoli di considerazione sotto diversi profili, tuttavia doveva assumere valenza probatoria decisiva ai fini della decisione, il dato obiettivo dell’esistenza della busta inviata con raccomandata il 18 aprile 2001 e pervenuta il 20 aprile 2001;
l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in epigrafe;
si è costituita la società Omav s.p.a., quale società incorporante la società Ronconi s.p.a., depositando controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si cesura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere la pronuncia indicato alcun principio giuridico sulla cui base ha ritenuto di dovere fondare il proprio convincimento;
con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere riportato il percorso logico seguito per ritenere privi di valenza probatoria i diversi elementi di fatto posti all’attenzione e disaminati dal giudice di appello;
entrambi i motivi, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla questione della corretta motivazione della sentenza impugnata nell’indicare compiutamente le ragioni logico giuridiche sulla base delle quali ha ritenuto di dovere rigettare l’appello, sono fondati;
va evidenziato, a tal proposito, che la pronuncia impugnata, nel definire la questione relativa all’effettiva emissione, prima del perfezionamento delle operazioni commerciali di acquisto, delle dichiarazioni di intenti, pur avendo posto in evidenza l’esistenza di una serie di elementi contrari all’accertamento della circostanza sopra evidenziata, ha poi ritenuto di dovere dare rilevanza, ai fini del decidere, all’esistenza di una lettera (o meglio busta) raccomandata inviata il 18 aprile e pervenuta il 20 aprile 2001;
ciò precisato, costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 6, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche dì verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata;
in questo ambito, pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive – dal punto di vista grafico – di motivazione (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragionì e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);
nel caso di specie le considerazioni svolte nella motivazione della sentenza censurata non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente per risolvere la questione posta nel giudizio, non consentendo di verificare quale sia stata l’effettiva ratio decidendi, comportando, in tal modo, una nullità della sentenza per mancata indicazione dei motivi di fatto e di diritto sulla cui base il giudice di appello è pervenuto al proprio convincimento, avendo il giudice di appello fatto riferimento all’esistenza di una lettera raccomandata del 18 aprile 2001, senza argomentare sulle ragioni per le quali tale circostanza assumeva rilievo nell’accertamento del fatto;
d’altro lato, anche con riferimento al motivo di censura relativo al vizio di motivazione, va precisato che lo stesso, relativo alla ritenuta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), postula che l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, concerne una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia;
nella fattispecie, il giudice di appello, pur avendo, come detto, fatto riferimento ad una serie di elementi addotti dall’Agenzia delle entrate, specificamente evidenziati col presente ricorso, al fine di supportare la linea difensiva della mancanza di prova della emissione della lettera di intenti prima dell’effettuazione delle operazioni, ha poi risolto in senso positivo la questione;
parte ricorrente ha evidenziato che nell’atto di appello erano stati posti in evidenza diverse circostanze, quali: la mancanza di prova del contenuto della raccomandata; il mancato ritrovamento di alcuna ricevuta della raccomandata nella contabilità della società M. s.p.a.; la coincidenza del giorno di ricevimento della raccomandata con all’interno la dichiarazione di intenti con la data di inizio del periodo cui si riferisce la lettera di intento; la mancanza di indicazione della data di ricevimento della dichiarazione;
rispetto a tali elementi di valutazione, la pronuncia censurata è addivenuta alla conclusione della esistenza di una dichiarazione di intenti trasmessa prima dell’effettuazione delle operazioni senza tuttavia confrontarsi con i medesimi, risultando, in tal modo, insufficiente sotto il profilo motivazionale;
la stessa, inoltre, risulta altresì contraddittoria, in quanto, pur avendo evidenziato gli ampi margini di plausibilità della linea difensiva dell’ufficio, riscontrabile da una serie di elementi posti all’attenzione, ha poi ritenuto, senza alcuna illustrazione del percorso logico seguito, di risolvere la questione facendo riferimento alla esistenza della busta raccomandata, in ordine alla quale, lo stesso giudice di appello aveva segnalato che è gioco forza ammettere che se vi è una data certa per la busta inviata il 18.4. da M. e ricevuta il 20.4. da Ronconi, non vi è alcuna obiettiva certezza sul suo contenuto;
pertanto, il giudice di appello, rispetto alla questione centrale da definire, consistente nella verifica della effettiva notifica di una dichiarazione di intenti ricevuta dalla società contribuente prima delle operazioni commerciali realizzate, non ha compiutamente considerato tutte le diverse circostanze fattuali prospettate dalla ricorrente, e solo in astratto configurate dal giudice di appello, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti per potere procedere all’emissione della fattura senza IVA ed ha, invece, contraddittoriamente deciso, sebbene la stessa avesse posto in dubbio che potesse darsi rilievo al fatto in sè dell’esistenza della busta cui si è più sopra fatto riferimento;
ne consegue l’accoglimento dei motivi di ricorso, con cassazione della sentenza censurata e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, provvedendo altresì anche alla liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
PQM
La Corte:
in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 21 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018