LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 17885/2011 proposto da:
PARBORIZ S.P.A., in persona del Presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Antonio Gramsci n. 14, presso lo studio dell’Avv. Antonella Giglio che, anche disgiuntamente all’Avv. Maurizio Leone, la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
PARBORIZ S.P.A., in persona del Presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Antonio Gramsci n. 14, presso lo studio dell’Avv. Antonella Giglio che, anche disgiuntamente all’Avv. Maurizio Leone, la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 55/36/10 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della Lombardia, depositata il 27 maggio 2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 giugno 2018 dal Cons. Dr. ROBERTO MUCCI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.
MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo motivo e rigettato il terzo;
udito, per la ricorrente principale, l’Avv. MAURIZIO LEONE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con avviso di accertamento n. ***** notificato il 22 novembre 2007, relativo all’anno d’imposta 2004, l’Agenzia delle Entrate procedeva – per quel che rileva in questa sede – ai seguenti rilievi a carico di Parboriz s.p.a. (società esercente attività di lavorazione e commercializzazione del riso e relativi sottoprodotti): a) omessa fatturazione di operazioni di vendita per Euro 198.026,00; b) sottofatturazioni di vendite a soci operatori nel settore per Euro 826.285,00; c) IVA non versata per Euro 40.972,00, relativa ai suddetti ricavi; d) insufficiente valorizzazione di rimanenze finali per Euro 105.240,00; e) indebita detrazione dell’IVA per Euro 16.416,00 in relazione a prestazioni di servizio (Euro 82.082,00 per spese di facchinaggio) rese da una cooperativa terza.
2. Avverso detto accertamento proponeva ricorso Parboriz che la CTP di Pavia, costituitasi l’Agenzia delle Entrate, accoglieva integralmente.
3. Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate, che chiedeva la conferma dell’accertamento, e costituitasi Parboriz, la CTR di Milano accoglieva parzialmente l’appello rettificando le sole rimanenze finali accertate (ridotte da Euro 105.239,87 ad Euro 99.660,00) e respingendo l’appello nel resto; condannava inoltre l’appellata Parboriz alle spese del grado.
4. La CTR, muovendo dalla particolarità dei processi di lavorazione e commercializzazione del riso e dei suoi prodotti, riteneva, in particolare, che: 1) quanto all’omessa fatturazione delle vendite, la valorizzazione delle rimanenze, ottenuta assumendo come prezzo di vendita “la media aritmetica del prezzo esposto in due fatture”, produceva un risultato “viziato da errore formale (le grandezze messe a confronto non sono omogenee) e viziato da errore sostanziale (non si è tenuto conto dei cali di processo) e per la determinazione dei ricavi omessi avendo utilizzato come prezzo (secondo fattore) la media aritmetica non ponderata con un adeguato universo di dati”; 2) quanto alla sottofatturazione delle vendite ai soci, erano stati erroneamente presi a riferimento i prezzi pubblicati dal giornale di categoria per le vendite alla grande distribuzione e non per quelle “effettuate, come nella specie, ad altri imprenditori anche se soci, i quali procedono ad ulteriori fasi di condizionamento e/o lavorazione prima di immettere il prodotto così condizionato sul mercato di distribuzione per la vendita”; 3) era pertanto infondata la determinazione dell’IVA non versata; 4) quanto alla sottovalutazione delle rimanenze di prodotti, posto che era stata contestata non la quantità delle rimanenze, ma la “valutazione a prezzi inferiori a quelli pubblicati nel giornale di categoria”, in applicazione della normativa all’epoca vigente e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9 ne determinava il valore in Euro 99.660,00 “applicando al quantitativo delle rimanenze riscontrato dall’ufficio il minore fra costo di produzione e la media del prezzo di mercato proposto dall’azienda e dall’ufficio”; 5) quanto alle spese di facchinaggio e relativa IVA, la fatturazione, emessa in osservanza del contratto dalla cooperativa fornitrice dei servizi, non era stata “contestata nella essenza dei servizi forniti come da contratto ma nella forma delle indicazioni esposte in fattura”, sicchè la spesa e l’IVA, debitamente documentate, erano detraibili; 6) quanto alle spese di lite, stante il parziale accoglimento dell’appello esse andavano poste a carico di Parboriz secondo soccombenza.
4. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Parboriz affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi, contrastati da Parboriz con controricorso; la società ha altresì depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. I motivi del ricorso principale di Parboriz.
5.1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3: nonostante la società avesse allegato la statistica delle vendite effettuate nel dicembre 2004, mai contestata da controparte, la CTR avrebbe utilizzato, contro il disposto della citata norma, per la rideterminazione del valore delle rimanenze un criterio che prescindeva sia dai prezzi praticati dalla società contribuente, evincibili dalla detta statistica, sia dal principio del “medesimo stato di commercializzazione”, giacchè il listino dell’Associazione granaria di Milano riguardava non le vendite effettuate da Parboriz alle altre riserie, bensì quelle (diverse) rivolte alla grande distribuzione.
5.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, commi 1 e 5: il criterio di valorizzazione delle rimanenze utilizzato dalla CTR (“il minore fra costo di produzione e la media del prezzo di mercato proposto dall’azienda e dall’ufficio”) non avrebbe base legale.
5.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine all’attendibilità dei prezzi risultanti dal listino dell’Associazione granaria di Milano ai fini della determinazione del valore delle rimanenze: contraddittoriamente la CTR avrebbe ritenuto il detto listino inattendibile ai fini della valutazione della sottofatturazione (retro, punto 4, sub 2) ed attendibile per la valutazione delle rimanenze (retro, punto 4, sub 4).
5.4. Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza in punto di spese del giudizio: la CTR avrebbe condannato Parboriz, pur vittoriosa su tutti i recuperi oggetto di gravame dell’Agenzia delle Entrate, salvo la parziale rideterminazione delle rimanenze, senza motivazione alcuna.
6. I motivi del ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate.
6.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento ai primi due rilievi dell’avviso di accertamento (maggiori ricavi non registrati e non dichiarati per Euro 198.026,00; sottofatturazioni ai soci clienti per Euro 826.285,00; conseguente calcolo dell’IVA di Euro 40.972,00 all’aliquota del 4 per cento, non dichiarata e non versata): la CTR, senza considerare le argomentazioni svolte dall’Agenzia nell’atto di appello, avrebbe ritenuto l’infondatezza del rilievo concernente l’omessa fatturazione delle vendite sulla base di mere affermazioni apodittiche in merito ai presunti “cali di processo” ed alla “disomogeneità” dei dati presi a riferimento dall’ufficio accertatore; quanto alle sottofatturazioni delle vendite ai soci, la CTR non avrebbe motivato in ordine alla prova della presunta differenza degli stadi di lavorazione, alla reale qualità dei clienti (se appartenenti, o meno, alla grande distribuzione) ed alla fonte dei prezzi (se effettivamente rinvenibile nel periodico “Il mercato dei cereali”) riferiti dalla società.
6.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 (ed altresì, nonostante l’incompletezza della rubrica, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54): nell’annullare integralmente le riprese, la CTR avrebbe dovuto rideterminarne il quantum.
6.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21: con riferimento alle spese di facchinaggio e relativa IVA, la fatturazione sarebbe carente degli elementi essenziali atti a rendere identificabile la prestazione effettivamente svolta, sicchè non potrebbe sussistere la corrispondente detrazione d’imposta.
7. I primi tre motivi del ricorso principale – da esaminarsi congiuntamente poichè tutti attinenti, per plurimi rispetti, alla valutazione delle rimanenze – sono fondati, nei sensi di seguito precisati.
7.1. Deve preliminarmente disattendersi l’eccezione di inammissibilità del primo motivo (e, per conseguenza, del secondo e terzo motivo) svolta dall’Agenzia delle Entrate.
Invero, l’argomentazione dell’amministrazione secondo cui, in primo luogo, il mezzo, pur rubricato come violazione di legge, postulerebbe in realtà un vizio motivazionale e, in secondo luogo, non attaccherebbe specificamente il criterio di ricalcolo adottato dalla CTR (“la media del prezzo di mercato proposto dall’azienda e dall’ufficio”) non ha pregio: Parboriz ha effettivamente dedotto, in modo argomentato, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, (nonchè, con il secondo motivo, la violazione del cit. D.P.R., art. 92, commi 1 e 5) ed ha espressamente censurato (ancora con il secondo motivo) il suddetto criterio di ricalcolo, sviluppando infine (con il terzo motivo) una censura di illogicità della motivazione.
7.2. Venendo al merito delle doglianze, va premesso che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, per la determinazione del “valore normale” dei beni – da intendersi quale prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione – deve farsi riferimento, per quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto fornitore e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio.
Ciò posto, la CTR, nel rideterminare la valutazione delle rimanenze, pur astrattamente considerando il prezzo indicato dalla società (si v. il prospetto riportato a p. 5 della sentenza), ha utilizzato un criterio (“il minore fra costo di produzione e la media del prezzo di mercato proposto dall’azienda e dall’ufficio”) che, all’evidenza, non ha riscontro nella norma citata.
La CTR, del resto, non ha chiarito perchè non fosse possibile fare riferimento ai prezzi praticati dalla società ed ha costruito la “media del prezzo di mercato” ricorrendo ad un elemento (il prezzo indicato dall’ufficio accertatore secondo il giornale di categoria) riferito alle vendite praticate alla grande distribuzione e non, come nella specie, ad altri imprenditori soci – profilo non debitamente contestato dall’amministrazione ed affermato in sentenza dalla stessa CTR -, con conseguente violazione del requisito del “medesimo stadio di commercializzazione” richiesto dalla norma, dovendosi qui ribadire che la valutazione delle rimanenze finali va effettuata raggruppandole per categorie omogenee per natura (proprietà e caratteristiche merceologiche sostanziali dei beni appartenenti allo stesso genere) e valore (beni aventi identico contenuto economico) (in tali sensi, Sez. 5, 24 luglio 2013, n. 17983; Sez. 5, 26 novembre 2014, n. 25120).
Da quanto detto deriva inoltre la fondatezza anche della censura di illogicità della motivazione di cui al terzo mezzo.
7.3. All’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso principale consegue l’assorbimento del quarto, sul governo delle spese del giudizio di appello.
8. Sui motivi del ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate.
8.1. Il primo mezzo – concernente le riprese relative ai maggiori ricavi non registrati e non dichiarati ed alle sottofatturazioni ai soci clienti – è inammissibile, investendo all’evidenza il merito degli apprezzamenti in fatto della CTR circa la metodologia accertativa in concreto adottata dall’ufficio.
Invero, con motivazione immune da vizi logici la CTR ha ritenuto, in aderenza all’attività di commercializzazione del riso e suoi derivati propria di Parboriz, non adeguati gli accertamenti condotti dall’ufficio poichè basati su dati di confronto disomogenei, circa le quantità, e su due sole fatture, ai fini della determinazione dei ricavi omessi; ha poi ritenuto inapplicabili, ai fini della valutazione delle sottofatturazioni ai soci, i prezzi medi di vendita riportati dal listino dell’Associazione granaria di Milano poichè riferiti ad una tipologia di vendita (alla grande distribuzione) differente rispetto a quella in concreto praticata da Parboriz (ad altre riserie), profilo questo non debitamente contestato dall’amministrazione, come in precedenza osservato. In definitiva, il mezzo mira ad una non consentita rivalutazione, nella presente sede, dei fatti al fine di sostituire alla valutazione correttamente operata dal giudice del merito la ricostruzione alternativa auspicata dall’amministrazione.
8.2. E’ invece fondato il secondo mezzo, ancora relativo alle riprese fiscali di cui si è testè detto, la cui pur generica confezione non osta all’applicazione del principio generale – affermato dalla Sezione anche in tema di determinazione del “valore normale” ex D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, ed al quale si intende qui dare continuità – secondo cui “Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (per tutte, Sez. 5, 19 settembre 2014, n. 19750).
8.3. Va dichiarato inammissibile anche il terzo motivo di ricorso incidentale, sulle spese di facchinaggio e relativa IVA.
Nel predicare la carenza formale, a mente del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, degli elementi essenziali delle fatturazioni emesse dalla cooperativa terza in favore di Parboriz – da cui conseguirebbe, secondo l’amministrazione, la non identificabilità ed ineffettività dei servizi resi -, il mezzo non coglie la ratio decidendi, avendo invece la CTR affermato che dette spese “sono state documentate dalle fatture che, come rilevato dai verbalizzanti, sono state emesse, in osservanza al contratto, dalla Cooperativa fornitrice di servizi. La fatturazione non è stata contestata nella essenza dei servizi forniti come da contratto ma nella forma delle indicazioni esposte in fattura. La spesa sostenuta e l’IVA pagata essendo documentate come per legge sono pertanto detraibili”. Il mezzo dunque, oltre a palesarsi inammissibile per la detta ragione non venendo in evidenza un’ipotesi di operazione soggettivamente od oggettivamente inesistente (della cui prova è onerata, sia pure anche in via presuntiva, l’amministrazione: da ultimo, Sez. 5, 5 dicembre 2014, n. 25778) -, collide con il principio secondo cui il diritto del contribuente alla detrazione dell’IVA non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni (Sez. 5, 30 ottobre 2013, n. 24426) ove siano soddisfatte le condizioni sostanziali di esigibilità dell’imposta dovuta e della destinazione dei beni e servizi acquistati o utilizzati ad operazioni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente, esibita (come avvenuto nella specie: p. 16 del ricorso incidentale) all’amministrazione finanziaria in sede di verifica (Sez. 5, 24 febbraio 2016, n. 3586).
9. In conclusione, in accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale e del secondo di quello incidentale, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla CTR di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame.
PQM
accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili i restanti; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta civile, il 18 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018