LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18641-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA via DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
F.S.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 162/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 20/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE SERGIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI DI CAUSA
F.S. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento per Irpef, anno d’imposta 1994, che la C.T.P. di Rieti accoglieva parzialmente, rideterminando l’incidenza dei costi sui ricavi, e riducendo ai minimi edittali le sanzioni irrogate. La C.T.R. del Lazio accoglieva l’appello del contribuente e respingeva l’appello incidentale dell’Ufficio, rilevando che, in assenza di irregolarità nelle scritture contabili, si poteva procedere ad accertamento induttivo in forma sintetica solo sulla base a presunzioni gravi, precise e concordanti, ossia di dati di fatto noti e certi ai quali collegare, con elevato grado di probabilità, l’esistenza di maggiori ricavi, nella specie non rinvenibili, ma la decisione, impugnata dall’Agenzia delle Entrate, veniva cassata con rinvio da questa Corte, con sentenza n. 24440/2008, per violazione di legge e vizio di motivazione.
Il Giudice di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato nullo l’impugnato accertamento induttivo, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese processuali, osservando che “l’Ufficio ha determinato il reddito sulla base di una percentuale di “redditività netta del 55 per cento” liberamente assunta, senza indicare e fornire le fonti dalle quali quella percentuale possa essere stata ricavata e senza fornire alcun elemento di fatto e/o ragione che consenta di apprezzare l’esistenza e la congruità del quantum accertato, e, per questo motivo, il quantum accertato risulta privo di fondamento”.
Ricorre per la cassazione sentenza l’Agenzia delle Entrate, con tre motivi, mentre I’intimato contribuente non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 4, violazione dell’art. 384 c.p.c, comma 2, nonché dei principi derivanti dalla sentenza n. 24440/2008 della Corte di Cassazione, giacché la C.T.R. del Lazio ha reiterato il giudizio di illegittimità dell’impugnato accertamento induttivo del reddito senza considerare la vincolante affermazione, contenuta nella pronuncia che ha originato il giudizio di rinvio, secondo cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), è consentito tale tipo di accertamento, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto configgente con regole fondamentali di ragionevolezza, come, ad esempio, in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico, e che l’Agenzia delle Entrate aveva evidenziato “anomalie contabili concernenti gli importi del conto cassa, del conto banca, degli interessi passivi e del conto titolare dalle quali sarebbe evincibile una gestione antieconomica dell’attività del contribuente”, rilievi ai quali assenza di giustificazioni da parte del controllato.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, giacché la C.T.R. mostra di non aver compreso le modalità con cui l’Ufficio ha proceduto all’accertamento oggetto di causa, atteso che la percentuale del 55 per cento, lungi dall’essere riferita alla “redditività netta” dell’impresa del contribuente, gestore di un bar nella migliore zona della città di *****, costituisce il dato dell’incidenza del costo delle materie prime da cui è stata ricavata, in via presuntiva, ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, la misura dei ricavi dell’esercizio commerciale, dato dal quale discende l’inattendibilità di quello del 74 per cento dichiarato dal F., avuto riguardo alla valutazione legale evincibile dal D.L. n. 853 del 1984, Tabella B, conv. con L. n. 17 del 1985 e dagli studi di settore, secondo cui per “ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari e mense, tale incidenza va valutata nella misura del 42 per cento (Voce 33).
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 4, nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., nonché dei principi generali che regolano il processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1,2 e 35), giacché la C.T.R. ha annullato l’accertamento dell’Ufficio senza provvedere al ricalcolo, sulla base della documentazione in atti, dei maggiori ricavi conseguiti dal contribuente nell’anno 2004 e, conseguentemente, delle maggiori imposte dovute, essendo il giudizio tributario un giudizio non di mera legittimità, ma anche di merito. La prima censura è fondata e va accolta, assorbite la seconda e la terza (quest’ultima proposta in via subordinata), per le ragioni di seguito esposte.
L’Agenzia delle Entrate chiede a questa Corte di verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto enunciato dalla richiamata sentenza n. 24440/2008, relativamente alla questione concernente la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in presenza di scritture contabili formalmente corrette, ma complessivamente inattendibili, perché configgenti con i criteri di ragionevolezza, sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente.
In tali casi, infatti, è consentito all’Ufficio, dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate, ed accertare, anche in via presuntiva, maggiori ricavi o minori costi, come è appunto accaduto nel caso in esame, nel quale il reddito dell’impresa è stato determinato sulla scorta dell’incidenza percentuale del costo delle materie prime, da cui è stata ricavata, in via presuntiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, la misura dei ricavi dell’esercizio commerciale, con conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente.
La sentenza di legittimità che ha originato il rinvio aveva posto in evidenza come nel ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate avesse indicato alcune “anomalie contabili”, trascurate dal Giudice di appello, ancorché sintomatiche della contestata gestione antieconomica dell’attività commerciale del F., per come da quest’ultimo rappresentata nella dichiarazione Irpef, essendo il costo delle materie prime ivi espresso, quello cioè del 74 per cento, significativamente superiore rispetto alla valutazione legale del 42 per cento, ricavabile dal D.L. n. 853 del 1984, Tabella B, conv. con L. n. 17 del 1985, e dagli studi di settore, divergenza che aveva portato l’Ufficio ad applicare, comunque, la più favorevole misura percentuale “mediana” del 55 per cento.
Orbene, il Giudice di rinvio, investito del potere di valutare liberamente i fatti accertati, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata (Cass. n. 16660/2017), ha nella specie osservato che la rettifica induttiva del reddito d’impresa non può prescindere dalla esistenza di presunzioni “gravi, precise e concordanti”, e che l’accertamento impugnato si basa su una percentuale di “redditività netta del 55 per cento” liberamente assunta” dall’Ufficio, il quale non indica le fonti di prova impiegate nella determinazione del maggior reddito attribuibile al contribuente, ma in tal modo palesemente disattende il principio di diritto enunciato da questa Corte.
L’accertamento sintetico, infatti, è legittimamente effettuato allorché vengono individuati gli elementi (“anomalie contabili concernenti gli importi del conto cassa, del conto banca, degli interessi passivi e del conto titolare”) che, in presenza nella dichiarazione di un costo delle materie prime insolitamente elevato, supportano il complessivo giudizio di non affidabilità della documentazione contabile e fiscale offerta dal contribuente, nonché quelli (cfr. pagg. 10 e 11 del ricorso) che, mediante l’utilizzo di presunzioni semplici e di obiettivi parametri di riferimento, rappresentano una capacità contributiva non dichiarata, spostando sul contribuente – profilo che il Giudice di rinvio non sembra aver adeguatamente considerato – l’onere di dimostrare la regolarità del dato dichiarato, a fronte della contestata antieconomicità dell’attività esercitata (cfr. anche Cass. n. 14068/2014, n. 23550/2014, n. 25257/2017, n. 8923/2018).
La sentenza impugnata va, in conclusione, cassata, e la causa rimessa al Giudice a quo, in diversa composizione, per nuovo esame, e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018