LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28749/2014 R.G. proposto da:
Alessandria 2000 s.r.l., in proprio e quale incorporante la Nidar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;
Danbar S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore;
entrambe rappresentate e difese dall’Avv. Ciro Castro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso di Francia, n. 192;
– ricorrente –
contro
Comune di *****, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Claudio Sacchetto e Roberto Carleo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Luigi Luciani, n. 1;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Torino depositata il 9 aprile 2014;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 settembre 2018 dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;
uditi gli Avv.ti Ciro Castro e Vito Parenti, per delega scritta dell’Avv. Roberto Carleo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Pendenti presso la Corte di cassazione le impugnazioni proposte avverso due sentenze della Commissione tributaria regionale di Torino relative alle impugnazioni di avvisi di accertamento e cartelle di pagamento emessi dal Comune di ***** in relazione all’ICI per dei terreni di proprietà della Alessandria 2000 s.r.l., della Nidar s.r.l. e della Bambar S.A., queste ultime (la Alessandria 2000 S.r.l. anche quale incorporante la Nidar s.r.l.) proponevano tre istanze di autotutela con le quali sollecitavano l’Ufficio a rivedere gli importi richiesti, rilevando che lo stesso Comune, nel corso dei giudizi sopra citati e con atti successivi, aveva riconosciuto che dette aree avevano un valore imponibile inferiore a quello in relazione al quale erano stati emessi gli avvisi di accertamento.
Poichè il Comune di ***** non dava seguito alle istanze anzi notificava ulteriori cartelle di pagamento – la Alessandria 2000 s.r.l., in proprio (con ricorso in data 21 giugno 2011) e nella qualità di incorporante la Nidar s.r.l. (con ricorso in data 20 aprile 2011), impugnava il silenzio-diniego, deduceva la sussistenza di un rilevante interesse pubblico all’annullamento degli avvisi di accertamento e della cartella esattoriale impugnati e, previa declaratoria dell’illegittimità della condotta dell’Ente, ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni (quantificati, con il ricorso in proprio, in Euro 826.005,20 e, con il secondo ricorso nella qualità di incorporante la Nidar s.r.l., in Euro 153.289,86, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria).
Con ricorso in data 20 aprile 2011 anche la Dambar S.A. impugnava il silenzio-diniego del Comune di *****, assumendo conclusioni analoghe a quelle sopra riportate e quantificando il danno patito nella misura di Euro 34.895,15.
Il Comune di ***** controdeduceva in tutti e tre i giudizi, eccependo l’inammissibilità dei ricorsi, l’impossibilità per la commissione tributaria di entrare nel merito della pretesa (già sub judice) e il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda risarcitoria.
La Commissione tributaria provinciale di ***** rigettava le istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva delle cartelle di pagamento e, previa riunione dei tre ricorsi, li respingeva con integrale compensazione delle spese di giudizio.
La sentenza veniva autonomamente appellata dalla Alessandria 2000 s.r.l. (anche quale incorporante la Nidar s.r.l.) e dalla Dambar S.A..
Nel contraddittorio con il Comune di *****, la Commissione tributaria regionale di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva gli appelli riuniti, compensando le spese.
Avverso tale decisione la Alessandria 2000 s.r.l. e la Dambar S.A. hanno proposto congiuntamente di ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.
Il Comune di ***** ha resistito con controricorso illustrato da successive memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ preliminare all’esame dei motivi di ricorso la verifica dell’ammissibilità dello stesso, con particolare riferimento al rapporto fra il giudizio di impugnazione del silenzio-diniego formatosi sulle istanze di autotutela ed il giudizio relativo alla impugnazione degli avvisi di accertamento e delle cartelle di pagamento delle quali le società ricorrenti avevano chiesto, per l’appunto, la revoca in autotutela. La questione è stata circoscritta dalla Commissione tributaria regionale, la quale ha ritenuto ammissibili le domande nei limiti in cui erano volte a denunciare la sopravvenienza di fatti nuovi che avrebbero potuto giustificare la revoca in autotutela degli atti positivi a prescindere dall’accertamento della legittimità degli stessi nel giudizio già pendente. Tali “novità” sono state individuate dal giudice d’appello nella sentenza n. 4 del 2005 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che, in una vertenza tra un soggetto privato (tale R.C.) e il Comune di *****, aveva riconosciuta l’esistenza di due diverse zone contigue, la cui valutazione andava ridimensionata per una delle due aree in funzione della vicinanza del fiume e in assenza di adeguata protezione.
Questa statuizione non ha costituito oggetto di specifica censura. La questione, pertanto, deve intendersi come definitivamente scrutinata in senso positivo, ma nei limiti anzidetti.
Venendo all’esame del ricorso, con il primo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, identificato nella condizione di inedificabilità delle aree in questione, come accertata con la sentenza n. 4 del 2005 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
Il motivo è inammissibile, in quanto il provvedimento giudiziario di che trattasi, come si è appena detto, è stato espressamente esaminato dalla Commissione Tributaria Regionale, che anzi ha ravvisato in tale elemento il fattore di novità posto a fondamento dell’ammissibilità dell’impugnazione del silenzio-diniego sulle istanze di autotutela.
La censura, dunque, non si risolve nell’effettiva deduzione di un elemento di cui è stato omesso l’esame, bensì nella richiesta di revisione nel merito – inammissibile in questa sede – del rilievo che la citata sentenza avrebbe sul piano della fondatezza dei ricorsi.
Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, indicato nella avvenuta riduzione, da parte dello stesso Comune di *****, dei valori delle aree originariamente accertati.
Il motivo è manifestamente infondato già in prospettazione, poichè nello stesso ricorso si dà atto che la sentenza impugnata rileva come il Comune di ***** e l’Agenzia del Territorio abbiano precisato che il valore delle aree poste all’interno dei confini del ***** fosse di Euro 73,70/mq, mentre quello delle aree che ne sono estranee fosse stimato in Euro 48,28/mq.
Dunque, anche in questo caso, non sussiste il lamentato omesso esame di un fatto decisivo, bensì una non condivisa valutazione della rilevanza che tale precisazione assume nel presente giudizio.
Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21-novies. La censura si rivolge contro il capo della sentenza col quale si afferma che “una diversa considerazione comporterebbe all’attuale Collegio un’analisi sulle motivazioni di una Commissione Tributaria di pari grado (essendo inoltre già stata investita la Suprema Corte per questioni di diritto) che non può essere svolta”.
La società ricorrente sostiene che, portando tale ragionamento alle estreme conseguenze, si avrebbe che l’autorità giudiziaria non potrebbe mai essere chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del silenzio serbato dall’ente impositore su un’istanza di annullamento in via di autotutela, allorquando il provvedimento di cui si chiede la revoca risulta autonomamente impugnato in altra sede.
Tale conclusione, che la ricorrente ritiene non condivisibile, è invece esatta, quantomeno nei termini in cui di tale principio è stata fatta applicazione dalla Commissione tributaria regionale.
Infatti, se da un lato è vero che il D.M. n. 37 del 1997, art. 2, prevede espressamente che l’amministrazione finanziaria possa procedere all’annullamento, anche parziale, o alla rinuncia all’imposizione “anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista l’illegittimità dell’atto o dell’imposizione” è pur vero che tale previsione va coordinata, nel caso di specie, con la circostanza dell’avvenuta impugnazione dell’atto di imposizione, il cui giudizio è tuttora pendente.
La ratio decidendi della decisione impugnata, dunque, non si basa sull’affermazione dell’insussistenza di un astratto potere dell’Ufficio di procedere in via di autotutela. Piuttosto, si osserva che, nell’ambito del presente giudizio, le società ricorrenti non possono sollecitare un accertamento potenzialmente idoneo a porsi in contrasto con l’esito di un separato giudizio, dalle medesime introdotto, per l’annullamento dei medesimi atti impositivi. Il problema, dunque, si sposta sul piano del potenziale contrasto tra giudicati; problema che, come innanzi chiarito, la Commissione tributaria regionale ha risolto osservando che avrebbe potuto costituire oggetto del proprio accertamento solamente la sussistenza di elementi sopravvenuti rispetto a quelli dedotti nel giudizio che, alla data di pronuncia della sentenza impugnata, già versava in sede di legittimità.
In conclusione, il motivo in esame non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata e quindi deve essere dichiarato inammissibile.
Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, comma 1 e nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21-novies.
La censura si rivolge contro il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto insussistente l’interesse pubblico alla rimozione in autotutela degli avvisi di accertamento e delle consequenziali cartelle di pagamento.
Il motivo è assorbito dall’inammissibilità delle precedenti censure, dal momento che, quand’anche risultasse fondato, in ogni caso difenderebbero i presupposti per ritenere illegittimo il silenzio-diniego sulle istanze di autotutela, non ricorrendo elementi in fatto che, a prescindere dalla sussistenza di un eventuale interesse pubblico, legittimata fossero in concreto l’adozione del provvedimento omesso.
In conclusione, i primi tre motivi di ricorso devono essere dichiarati inammissibili, con assorbimento del quarto.
Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.
Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
P.Q.M.
dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018