Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27570 del 30/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17989-2011 proposto da:

MELCHIORRE SRL in persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domciliato in ROMA VIA DEI GRACCHI 191, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO VOLPI, rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO GLAUCO EBNER giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 03/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato EBNER che si riporta e chiede l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FARACI che si riporta agli atti.

RITENUTO IN FATTO

Melchiorre s.r.l. impugnava una cartella di pagamento avente ad oggetto omesso versamento di ritenute Irpef, Ires e Irap per l’anno 2004 esponendo di avere erroneamente compensato gli importi a debito a titolo di ritenute Inps e Inail con l’Ires e l’Irap a credito relative all’anno 2003. Accortosi dell’errore aveva presentato istanza di annullamento del modello F24 e, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, aveva provveduto a versare gli importi oggetto di compensazione con modello F24 in data 24 luglio 2006, con le relative sanzioni ed interessi.

La CTP di Milano rigettava il ricorso.

Il contribuente impugnava la sentenza e la CTR della Lombardia accoglieva l’appello riconoscendo la non debenza delle somme iscritte a ruolo in quanto la pretesa era stata definita mediante versamento degli importi richiesti a mezzo F24 del 24.7.2006.

L’agenzia delle Entrate impugnava la sentenza per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 69/24/11 depositata il 3.5.2011 riteneva sussistenti i presupposti per la revocazione osservando che il giudice di appello, equivocando tra i tributi che erano stati compensati con crediti inesistenti aveva erroneamente deciso supponendo il pagamento delle imposte dovute che era, invece, escluso dalla lettura del modello F24 del 24 luglio 2006 avente ad oggetto esclusivamente i contributi. Nel merito la CTR osservava che i tributi erano dovuti.

La Contribuente ha interposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di impugnazione la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 398 c.p.c., comma 3; del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e artt. 12 e 66 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in particolare lamenta che non sia stata documentata l’esistenza di una procura speciale conferita dal direttore provinciale per il giudizio di revocazione.

La censura non è fondata.

In tema di contenzioso tributario, la legittimazione processuale degli uffici locali dell’Agenzia delle entrate trova fondamento nelle norme del “regolamento di amministrazione” n. 4 del 2000, adottato ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 66. Ne consegue che agli uffici periferici va riconosciuta la posizione processuale di parte e l’accesso alla difesa davanti alle commissioni tributarie, permanendo la vigenza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11; in tal caso essi possono essere rappresentati tanto dal rispettivo direttore, quanto da altra persona da lui delegata (Cass. 20911/2014) anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza (Cass.6691/2014), dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (Cass. 874/2009; Cass.220/2014).

2.Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per avere la CTR ritenuto sussistere i presupposti per la revocazione sebbene non si trattasse di un errore di fatto ma di un apprezzamento delle risultanze processuali.

La censura è fondata.

2.1. Occorre premettere che l’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr, ex plurimis, Cass. civ. sentt. nn. 13915 del 2005 e 2425 del 2006, v. anche Cass. civ. SS.UU. sent. n. 9882 del 2001).

La Cassazione ha osservato che l’errore di fatto revocatorio deve risultare dagli atti o documenti della causa: “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti” (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016).

La sentenza ha, quindi, evidenziato che “in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa” (tra le ultime v. Cass. n. 14656 del 2017).

Di conseguenza, “non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione” (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013).

Nella sentenza oggetto di revocatoria la CTR riconosceva la non debenza delle somme iscritte a ruolo in quanto la pretesa era stata definita mediante versamento degli importi richiesti a mezzo F24 del 24.7.2006.

La CTR della Lombardia ritenendo tale affermazione frutto di un errore revocatorio, ha osservato che “il punto sul quale il giudice tributario era chiamato a pronunciarsi era se l’annullamento del modello F24 di compensazione, seguito dal pagamento dei contributi previdenziali erroneamente compensati rendesse illegittima la pretesa dell’erario di pagamento di propri crediti di imposta” e che il giudice di appello non si era pronunciato “sulla validità della tesi sostenuta in giudizio dalla contribuente ma, equivocando tra i tributi che erano stati compensati con crediti inesistenti (tali sono i contributi previdenziali che la società riconosceva dovuti) e le somme iscritte a ruolo (vale a dire le somme a debito per Ires e Irap) ha deciso supponendo un fatto (pagamento delle imposte di cui alla cartella con il modello F24 in data 24 luglio 2006) che era incontestabilmente escluso dalla lettura del documento medesimo avente ad oggetto esclusivamente i contributi pacificamente dovuti”.

Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince chiaramente che la CTR ha operato un esplicito (anche se eventualmente erroneo) apprezzamento delle risultanze processuali proprio sul fatto controverso che era l’esistenza o meno del debito Ires e Irap fatto valere dell’ufficio finanziario. Non si trattava quindi di un errore revocatorio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; in particolare lamenta che la sentenza offerta in sede rescissoria era insufficiente a spiegare le ragioni del raggiunto convincimento circa la legittimità della pretesa erariale.

La censura deve ritenersi assorbita dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, deciso nel merito dichiarando inammissibile il ricorso per revocazione.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Le spese del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione dell’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia di vizio revocatorio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 2^ motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.

Compensa le spese del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere le spese processuali del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 11.000,00 oltre al rimborso delle spese forfettarie ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472