LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5580/2013 R.G. proposto da:
L.E., L.G., C.A., L.C.G., L.G.M.C., L.S.F.A., L.A.P.F., rapp.ti e difesi dall’avv. Francesco Romanello Pomes, presso il cui studio elett.te domiciliano in Roma, alla via Francesco Crispi n. 36, come da procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Comune di Torremaggiore, in persona del Sindaco p.t., rapp.to e difeso dall’avv. Pietro Boria, presso il cui studio elett.te domicilia in Roma, alla via Tirso n. 26, come da procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1/26/12 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia – sez. distaccata di Foggia – depositata il 12/1/2012, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 settembre 2018 dalla dr Milena d’Oriano;
udito per il controricorrente l’avv. Federica Niccolini per delega che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Giacalone Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1/26/12, depositata il 12 gennaio 2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, Sez. distaccata di Foggia – rigettava l’appello proposto dai ricorrenti avverso la sentenza n. 76/6/09 della Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, con condanna in solido degli stessi ai pagamento delle spese di lite.
Il giudice di appello rilevava:
a) che il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento riguardanti l’ICI per gli anni 2000 e 2001, su terreni di cui era stata contestata una omessa e/o infedele dichiarazione del valore venale;
b) che la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso ritenendo gli atti impugnati sufficientemente motivati e provata l’infedeltà della dichiarazione con riferimento all’estensione della superficie edificabile ed al valore venale dichiarato;
c) che gli appellanti avevano chiesto la riforma di tale decisione insistendo sulla nullità degli avvisi per carenza di motivazione e lesione del diritto di difesa, sulla regolarità e completezza della loro originaria dichiarazione di possesso, sulla non congruità del valore accertato dal Comune appellato.
Tanto premesso, la CTR aveva confermato la decisione di primo grado ritenendo gli atti impositivi adeguatamente motivati, facendo gli stessi riferimento ad atti pubblici disponibili, quali *****, delibere e dati catastali, come provato anche dalla compiuta difesa articolata dagli intimati, e provata l’infedeltà della dichiarazione, derivante da una inesatta quantificazione e valutazione dell’area edificabile, documentata grazie ad una relazione tecnica predisposta dagli organi comunali ed avallata da dati rilevati da atti di compravendita relativi a beni similari.
2. Avverso la sentenza di appello, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 25 febbraio 2013, e ricevuto il 26 febbraio 2013, affidato a due motivi.
3. Il Comune impositore ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2, nonchè degli artt. 3,23 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando di aver compilato la dichiarazione secondo le istruzioni ministeriali che prevedevano l’indicazione della sola partita catastale e non anche delle particelle e dei metri quadrati, di aver indicato un valore venale superiore a quello catastale, tenuto conto del fatto che i terreni erano inseriti in uno strumento urbanistico ma per essi non era stato rilasciato alcun permesso a costruire, che le due delibere poste a fondamento dell’azione accertativa del Comune presentavano valori oscillanti e non si era tenuto conto di una terza successiva che recava un valore inferiore, che gli atti notarili allegati erano inconferenti perchè relativi a terreni già legalmente edificabili e di diversa superficie.
2. Con il secondo motivo lamentano una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la decisione impugnata omesso di valutare che l’avviso di accertamento era fondato sul presupposto inesistente dell’errata dichiarazione dei contribuenti e su atti notarili prodotti successivamente.
3. Il ricorso non merita accoglimento.
3.1. Quanto al primo motivo, articolato su più profili, si osserva: secondo quanto risulta da tutti gli atti di causa, ricorso controricorso e sentenza impugnata, il Comune di Torremaggiore ha contestato ai contribuenti una inesatta determinazione del valore venale dei terreni, conseguente anche ad una errata determinazione delle aree a vocazione fabbricabile, che costituisce indubbiamente una ipotesi di dichiarazione infedele, incompleta ed inesatta, suscettibile di rettifica ai sensi D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 e giustifica l’adozione da parte dell’ente impositore degli avvisi di accertamento oggetto di causa.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non risultano invece oggetto di rettifica, e conseguente accertamento e sanzione, la mancata indicazione di meri dati catastali, quali i numeri delle particelle e della loro esatta metratura; i contribuenti, del resto, in violazione su tale punto del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non hanno riportato nel corpo dell’atto le parti degli avvisi di accertamento da cui si sarebbe dovuto evincere che la contestazione di infedeltà avesse invece ad oggetto l’errata indicazione di tali elementi.
3.2 In relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, secondo cui “Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al i gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”, la determinazione del valore venale effettuata dall’ente impositore, tenendo conto dell’astratta vocazione edificatoria dei terreni, risulta corretta in quanto rispondente ai criteri fissati dall’art. 2 decreto cit., comma 2.
Costituisce infatti un principio consolidato affermato da questa Corte che “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2005 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, per l’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, tenuto altresì conto che il detto D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, prevedendo che un terreno sia considerato edificatorio anche ove esistano possibilità effettive di costruzione, delinea, ai fini fiscali, una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria” (vedi da ultimo Cass. n. 4952 del 2018, nonchè Cass. n. 12308 del 2017, n. 16485 del 2016 e n. 15558 del 2009).
Sul punto va anche precisato che data la natura di norma di interpretazione autentica della disposizione di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, conv. con modif. nella L. n. 248 del 2005 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36,comma 2, conv. con modif. nella L. n. 248 del 2006, rispetto alla previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), tale nozione, così ulteriormente specificata, è destinata ad operare anche per il passato, ed è quindi certamente utilizzabile per determinare la base imponibile relativa ad annualità antecedenti alla sua adozione.
3.3 Quanto poi alle contestazioni relative alla valutazione discrezionale del valore venale effettuata dal Comune, utilizzando delle delibere aventi ad oggetto la fissazione di valori minimi di riferimento ed atti notarili relativi alla compravendita di beni similari, osserva la Corte che i ricorrenti, pur lamentando ipotetiche violazioni di legge poste in essere dal giudice a quo, prescindono totalmente dal considerare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione), mentre la allegazione – come prospettata nella specie – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, in ordine alla correttezza della stima del valore dei terreni, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge ed attiene alla tipica valutazione del giudice del merito – la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto il diverso aspetto del vizio di motivazione – laddove le suddette critiche si risolvono invece nella inammissibile richiesta di un riesame nel merito della determinazione della base imponibile corrispondente al valore venale effettuata dal Comune con gli avvisi impugnati.
Sul punto si ricorda infatti che ” In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (vedi tra le tante Cass. n. 24054 del 2017; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13066 del 2007).
3.4 Del tutto generiche e non adeguatamente motivate, oltre che prive di fondamento avendo il Comune impositore proceduto nel rispetto dei criteri legali, le doglianze relative alla presunta violazione degli artt. 3,23 e 53 Cost..
4. In ordine al secondo motivo, si rileva che la CTR, con ampie ed argomentate considerazioni ha dato atto che gli avvisi di accertamento contenevano l’individuazione delle aree, la zona di appartenenza ed il livello di edificabilità e che l’attività istruttoria era stata fondata su di una relazione tecnica basta su atti pubblici nella disponibilità delle parti.
Tali puntuali indicazioni sono sufficienti a denotare l’infondatezza dell’eccezione di nullità degli avvisi per difetto di motivazione.
Quanto poi alla omessa motivazione sull’assenza di irregolarità nella dichiarazione, vale osservare che la sentenza gravata ha adeguatamente e sufficientemente confutato anche tale contestazione, rilevando che l’infedeltà non andava riferita alla indicazione dei dati catastali bensì al valore venale dichiarato; ha dato poi ampiamente conto con accertamento in fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità, che il valore utilizzato per il calcolo dell’ICI non versata era stato il frutto di approfondite indagini compiute da parte dell’ufficio tecnico comunale, che si era avvalso anche di dati comparativi quali le risultanze delle vendite di terreni aventi caratteristiche similari.
5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso, infondato in ogni sua parte, va rigettato.
6. Segue la condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
6.1 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art.1, comma 17, (che ha aggiunto al d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a pagare al Comune di Torremaggiore le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018