LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5732/2013 proposto da:
L.G., nq di erede di P.L. in proprio elettivamente domiciliata in ROMA VIA G.B. MORGAGNI 2-A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI TARANTINI, DONATO ANTONUCCI giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI TERNI, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ALESSANDRO ALESSANDRO con studio in TERNI P.ZZA MARIO RIDOLEI 1 C/0 PALAZZO SPADA giusta delega a margine;
– controricorrente –
sul ricorso 5733-2013 proposto da:
L.L., L.G., P.L., elettivamente domiciliati in ROMA VIA G.B. MORGAGNI 2A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati DONATO ANTONUCCI, GIOVANNI TARANTINI giusta delega in calce;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI TERNI, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ALESSANDRO ALESSANDRO;
– controricorrente –
avverso le sentenze n. 170/2012 n. 171/2012 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA, depositate il 22/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per il n. r.g. 5732/13 a nuovo ruolo per rinnovo notifica in subordine rigetto, per il n. r.g.
5733/13 il rigetto del ricorso.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con un primo ricorso L.L., L.G., eredi di A.L., ricorrente in primo grado, deceduta in corso di causa, P.L., propongono un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 170/04/12 con la quale la commissione tributaria regionale di Perugia, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto fondato l’avviso di accertamento notificato dal Comune di Terni a titolo di Ici per gli anni 2004, 2005 e 2006; in particolare, su un terreno in comproprietà tra i ricorrenti il predetto comune, oltre a contestare l’omessa presentazione della dichiarazione Ici, ne ha eccepito l’edificabilità, in quanto in gran parte ricadente in area destinata a “spazi pubblici attrezzati a parco (GV) e strade, in una perequazione urbanistica da realizzarsi mediante piano attuativo”; con tre ulteriori avvisi di accertamento il citato comune ha richiesto il pagamento dell’Ici per le medesime annualità a L.G., che ha instaurato un separato contenzioso. L’ente ha, infatti, ritenuto, sussistente in capo a ciascun proprietario un diritto edificatorio, in quanto indipendentemente dalle specifiche destinazioni urbanistiche assegnate alle aree dal PRG, è garantita ai proprietari “l’equa ripartizione sia dei diritti edificatori, sia degli oneri da assumere nei confronti dell’amministrazione comunale”.
La commissione tributaria regionale ha fondato la decisione sulle seguenti osservazioni:
– il presupposto d’imposta è il possesso di beni immobili, mentre resta secondaria la questione dell’edificabilità materiale, in quanto la giurisprudenza ammette pacificamente casi di terreni inedificabili soggetti ad Ici con base imponibile calcolata sul valore venale;
– il calcolo della base imponibile sul valore venale si giustifica in forza dell’attitudine all’incremento del valore commerciale del bene a seguito dell’inserimento di esso nel novero dei beni che entrano nel ciclo edificatorio;
– è irrilevante se il terreno diventi effettivamente edificabile a seguito del suo inserimento nell’ambito di perequazione, risultando, invece, determinante se detto inserimento possa ripercuotersi positivamente sul suo valore commerciale;
– per sfruttare l’indice edificatorio nell’ambito di perequazione, occorre il consenso dei proprietari di tutti terreni, ovvero la consociazione dei vari proprietari, oppure l’acquisizione della proprietà dei vari appezzamenti; in ogni caso l’Ici deve essere applicata sul valore venale anche se detta facoltà non viene effettivamente utilizzata;
– il Comune di Terni ha tenuto conto, nella valutazione del bene, della circostanza che l’inserimento del terreno nell’ambito di perequazione non può essere equiparata, sul piano dell’estimo, a quella di un appezzamento che consenta l’immediata possibilità di edificazione.
Resiste con controricorso il Comune di Sorisole.
L.L., L.G., P.L., eredi di A.L. presentano una memoria difensiva.
Con distinto ricorso L.G. ha impugnato la medesima sentenza con tre motivi di ricorso.
Resiste con le medesime ragioni con controricorso il Comune di Sorisole.
I ricorsi devono essere riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza; in particolare, al presente fascicolo deve essere riunito quello portante il numero R.G.N. 5733 del 2013.
2. Con il primo motivo del ricorso proposto da L.L., L.G., P.L. si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c.; in particolare, ci si duole che la sentenza impugnata ha respinto l’appello sulla base di elementi estranei a quelli prospettati dai contribuenti. Sin dal ricorso introduttivo è stata esclusa l’edificabilità del terreno oggetto di accertamento, essendo l’area destinata dal PRG, in parte, al verde pubblico e, in parte, a viabilità. La tesi dei contribuenti si fonda sul presupposto che un’area può essere considerata edificabile se lo strumento urbanistico contenga previsioni che ne consentano l’effettiva trasformazione, sia pure subordinata alla previa promozione di strumenti attuativi.
2.1. Il motivo per identità di contenuto merita di essere trattato congiuntamente con i motivi del ricorso proposto da L.G..
3. Il primo motivo di ricorso proposto da L.G. è sostanzialmente identico a quello esaminato al punto 1.
4. Con il secondo motivo di ricorso la ora indicata ricorrente lamenta la violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per l’errata applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, lett. B) e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, nonchè del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, degli artt. 3,23,44 e 53 Cost.. In particolare, si lamenta che erroneamente nella sentenza impugnata è stato ritenuto che sarebbero integrati presupposti dell’imposta reale, in quanto l’imposizione nel caso di specie ha ad oggetto diritti edificatori esercitabili su suoli di terzi; si censura nuovamente che l’area in questione non ha effettive possibilità di edificazione, in quanto la destinazione d’uso disposta dal PRG è in gran parte a verde pubblico e viabilità.
4.1. I motivi sono infondati e vengono trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione in relazione alle doglianze proposte.
Occorre brevemente premettere che la perequazione è una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio comunale. La caratteristica di tale tecnica risiede nel fatto che si prescinde dall’effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli di inedificabilità apposti, al fine di garantire all’amministrazione la disponibilità di spazi da destinare ad opere collettive. Ne deriva che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica. L’obiettivo è il superamento della discriminatorietà tra i terreni coinvolti a seguito della zonizzazione, nonchè la possibilità per il comune, entro certi limiti, di disporre gratuitamente di aree pubbliche.
La tecnica perequativa è, infatti, principalmente volta a creare per quanto possibile un’indifferenza dei proprietari rispetto alle scelte di pianificazione, per determinate parti del territorio.
Sostanzialmente il meccanismo perequativo comporta che ciascun proprietario di un’area edificabile, sia pure titolare del diritto di costruire, non può sfruttare in concreto il proprio diritto all’edificazione, in quanto l’area soggetta a perequazione non raggiunge il limite minimo dell’indice di edificabilità previsto. Il proprietario sarà incentivato a procurarsi altrove la differenza volumetrica, al fine di poter esercitare in concreto il proprio diritto all’edificazione o attraverso l’acquisto di nuove aree ovvero consorziandosi con altri proprietari.
In dottrina si tende a distinguere tra perequazione ristretta e allargata, intendendo con la prima quella riferita ai comparti oggetto degli strumenti urbanistici attuativi, mentre con la seconda, allargata, quella che investe tendenzialmente tutto il territorio comunale.
Nella perequazione ristretta, o per comparti, viene identificato un insieme di aree di proprietà privata, che formano un comparto; all’interno di questo, a ciascuna area viene attribuita un’identica capacità volumetrica proporzionale all’estensione dell’area, ma in ogni caso inferiore al limite minimo fondiario di edificabilità. Contestualmente vengono individuate le aree destinate ai servizi ed opere di pubblica utilità.
In questo tipo di perequazione la figura del comparto costituisce l’unità di intervento perequativo che ricomprende, sia una zona edificabile, sia una zona preordinata ad ospitare attrezzature collettive o destinata in funzione ambientale a rimanere verde.
Come sopra chiarito, dunque, il meccanismo consiste nell’assegnazione all’insieme delle aree, pur con diverse destinazioni, pubbliche e private costituenti un comparto, di un indice perequativo, inferiore all’indice fondiario attribuito alle aree destinate all’edificazione. Nella sostanza il privato non subisce un vincolo e non è gravato dall’obbligo di soggiacere all’esproprio, ma sarà titolare dell’onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permetterà di partecipare ai vantaggi del piano stesso.
Esiste, poi, una variante che prevede l’edificabilità attribuita anche ad aree esterne al comparto, anche se non contigue, le quali possono contribuire alla trasformazione dello stesso. In questo caso l’edificabilità convenzionale attribuita alle aree esterne, di cui si richiede la conservazione, viene spostata all’interno del comparto determinando una capacità edificatoria aggiuntiva, mentre la perequazione degli oneri viene ripartita tra tutte le aree esterne o interne ad esso.
L’istituto del comparto non realizza una novità, in quanto era già previsto nell’art. 23 Legge Urbanistica 1942, che lo indica come strumento per l’attuazione delle previsioni di piano, suggerendo appunto che i diversi proprietari si consorzino per distribuire vantaggi e svantaggi.
E’ di tutta evidenza che quando l’amministrazione ricorre alle misure ora esposte si determina una separazione della capacità edificatoria dalla proprietà del terreno da cui la stessa ha origine. Tale capacità edificatoria diventa trasferibile e negoziabile.
Si tratta, infatti, dei diritti edificatori cui ha ora riguardo il D.L. n. 70 del 2011, art. 5, comma 3, convertito con L. n. 106 (c.d. decreto sviluppo) del 2011, laddove dispone che, “per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all’art. 2643 c.c., comma 1, dopo il n. 2, è inserito il seguente:
“2-bis) i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonchè nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative””.
In altri termini, la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell’amministrazione sviluppa una volumetria propria, espressa appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito. Tale volumetria, tuttavia, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità. I diritti edificatori attribuiti ad un soggetto in seguito a perequazione si connotano, perchè rimangono svincolati dal fondo.
E’ ben possibile, inoltre, che al momento dell’attribuzione della volumetria il beneficiario dei diritti edificatori non sia proprietario di altro suolo su cui sfruttare la volumetria attribuitagli, dovendosi pertanto limitare a mantenere i diritti edificatori in vista di un acquisto futuro.
4 2. La fattispecie in esame pone la questione se in presenza di una perequazione urbanistica siano integrati presupposti per l’applicazione dell’Ici, imposta a carattere reale.
Ad avviso dei contribuenti la soluzione è negativa, in quanto l’imposizione, nel caso di specie, ha ad oggetto diritti edificatori esercitabili su suoli di terzi.
4.3. Tale impostazione non è condivisibile, in quanto il meccanismo della perequazione urbanistica deve essere coniugato con il presupposto di applicazione del tributo. Va, infatti, condivisa la consolidata giurisprudenza per la quale, ai fini Ici, ciò che rileva è l’edificabilità in astratto del suolo, ovvero la sua potenzialità edificatoria, anche non immediatamente attuabile, purchè il suolo sia incluso in un PRG anche semplicemente adottato. In proposito, “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, nè a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c. d. “zone bianche” (nella specie quella di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c., applicabile “ratione temporis”), che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (in questo senso, Cass. n. 25676 del 2008, ma anche n. 25506 del 2006). Recentemente è stato precisato, inoltre, che il citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, come autenticamente interpretato, “prevedendo che un terreno sia considerato edificatorio anche ove esistano possibilità effettive di costruzione, delinea, ai fini fiscali, una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria”. (Cass. n.4952 del 2018).
4.4. Il presupposto d’imposta è, dunque, il possesso di beni immobili. Quello che rileva, poi, ai fini fiscali, è il calcolo della base imponibile sul valore venale del bene. Occorre, quindi, accertare se il terreno inserito nell’ambito di perequazione abbia subito un incremento di valore.
4.5. Nel caso in esame i terreni oggetto di imposizione sono inseriti in un ambito di perequazione edilizia residenziale nel quale residua ancora cubatura disponibile per l’edificazione. In particolare, le aree in oggetto sono destinate a spazi pubblici attrezzati a parco e strade in perequazione edilizia. A tali beni, dunque, è attribuito un indice fondiario al quale corrisponde una potenzialità edificatoria. Tali beni, inoltre, risultano collegati a specifici comparti di espansione per i quali sono necessari anche i diritti edificatori attribuiti ai terreni oggetto di accertamento. Si deve concludere che si tratta quindi di un’area “utilizzabile a fini edificatori” in forza della potenzialità alla stessa riconosciuta dal PRG.
4.6. Un secondo ordine di questione sollevato nel presente giudizio è costituito dalla rilevanza del concetto di effettiva edificabilità ai fini dell’imposizione all’Ici. Ritiene il Collegio di dare seguito all’orientamento espresso già più volte in sede di legittimità, secondo cui: “In tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile” (Cass. n. 17764 del 2018, n. 11853 del 2017, n. 23814 del 2016). Ne consegue che nel caso in esame, l’esistenza di vincoli di inedificabilità non rileva ai fini della risoluzione della questione principale, ovvero quella della esatta portata della norma impositiva Ici.
4.7. I terreni oggetto del giudizio, pertanto, devono essere assoggettati a Ici sulla base del valore venale in comune commercio come previsto dal D.Lgs. n. 504 del 92, art. 2, comma 1 e dal D.Lgs. n. 504 del 92, art. 5, comma 5. La sentenza impugnata ha provveduto correttamente ad effettuare una valutazione del valore dell’immobile che ha tenuto conto nella valutazione del bene anche della circostanza che l’inserimento del terreno nell’ambito di perequazione non può essere equiparato, sul piano dell’estimo, a quella di un appezzamento che consenta l’immediata possibilità di edificazione.
5. Il terzo motivo lamenta l’omessa o insufficiente motivazione su elementi decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione e l’errata applicazione dell’art. 870 c.c., nonchè della L. n. 1150 del 1942, art. 23,comma 1. In particolare, la sentenza avrebbe omesso di considerare che nel caso di specie ancora non era configurabile un comparto edificatorio, unico strumento giuridico che “andando di fatto ad inglobare le aree della ricorrente in una “unita” fabbricabili con speciali modalità di costruzione e adattamento, secondo la previsione dell’art. 870 c.c., le avrebbe consentito di utilizzare legalmente ed effettivamente ai fini edificatori l’area di sua proprietà”. In questo senso ci si duole che nell’atto d’appello è stata contestata l’irrilevanza del richiamo alle previsioni dell’art. 24 NTA del PRG, in quanto detta disposizione, lungi dal individuare i comparti edificatori, demanda l’eventuale formazione del comparto all’adozione di un futuro piano attuativo.
5.1. Volendo prescindere da profili di inammissibilità del motivo in esame che fa coesistere due motivi di ricorso (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) in un’unica censura privi dell’indicazione specifica delle parti della motivazione censurate in relazione ai vizi denunciati, la doglianza è infondata.
5.2. In particolare sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si rileva che nella sentenza viene dato conto della circostanza che, sulla base del criterio di perequazione edilizia introdotto dal PRG di Terni per le zone di completamento ed espansione, nello specifico, si tratta di circa 7730 m quadri di comproprietà- usufrutto dei ricorrenti destinati a “spazi pubblici attrezzati a parco” e a” strade” e quindi sostanzialmente inedificabili. Detti terreni risultano “inseriti in un ambito di perequazione edilizia residenziale nel quale è ancora possibile l’edificazione di circa 3487 m3, previa attribuzione di un indice fondiario di 0,5 mc/mq a tutte le proprietà presenti nell’ambito di perequazione quindi anche a quella materialmente in edificabile di proprietà dei ricorrenti”. Sotto il profilo lamentato (art.360 c.p.c., comma 1, n. 5) non vi è stato, dunque, alcun omesso esame relativo all’esistenza o meno dei comparti.
5.3. Infondata è altresì la censura relazione al profilo della violazione di legge, avendo la pronuncia impugnata risolto la questione attenendosi ai principi espressi dalla S.C. sopra riportati e condivisi da questo collegio.
6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte dei contribuenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Il Collegio aderisce, infatti, all’orientamento espresso dalla S.C., secondo cui: “In materia di impugnazioni, l’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nei casi previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si applica ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dovendosi aver riguardo al momento in cui la notifica del ricorso per cassazione si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario.” (Cass. n.14515 del 2015, Cass. S.U. n. 3774 del 2014). Nella presente fattispecie il ricorso per cassazione risulta notificato successivamente al gennaio 2013.
P.Q.M Respinge il ricorso.
Condanna L.L., L.G., P.L., eredi di A.L., a pagare al comune di Terni le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 2547,00, comprensivo di esborsi, oltre il 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018