LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6833-2013 proposto da:
C.A., C.E., elettivamente domiciliate in ROMA VIA PANAMA 86, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DE MARTINIS, che le rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrenti –
contro
ROMA CAPITALE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SIRACUSA, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine; AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
e contro
ROMA CAPITALE IN PERSONA DIRIGENTE UO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 30/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 07/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato PETILLO per delega dell’Avvocato DE MARTINIS che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PARACI che si riporta agli atti.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE 1. C.A. e C.E. propongono quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 30/35/12 con la quale la commissione tributaria regionale di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto fondato l’avviso di accertamento notificato loro da Roma Capitale a titolo di Ici per gli anni dal 2001 al 2004; in particolare il Comune indicato ha richiesto la maggior imposta dovuta in relazione a diversi immobili ritenendo un diverso classamento degli stessi e una loro maggiore rendita catastale.
La commissione tributaria regionale ha fondato la decisione sulle seguenti osservazioni:
– presso il catasto gli atti che attribuiscono o modificano la rendita catastale sono dotati di immediata efficacia e applicabilità, consentendo il recupero della maggiore imposta dovuta e nel procedimento di liquidazione il Comune non ha propri poteri discrezionali;
– le contribuenti non hanno esercitato la facoltà di proporre ricorso all’ufficio del Territorio nei 60 giorni dalla notificazione degli avvisi di accertamento;
– il comune si è limitato ad una mera applicazione delle rendite risultanti dal catasto che costituiscono il presupposto per il calcolo dell’imposta;
– la documentazione prodotta dal Comune comprova la titolarità delle 17 unità immobiliari in capo alle contribuenti;
– la nota dell’ufficio Tecnico con cui è stata comunicata la volontà di procedere alla rettifica degli atti contenente la richiesta di cessazione della materia del contendere per gli avvisi di accertamento impugnati è generica, non è frutto di un regolare ricorso avverso gli asseriti errori e non ha avuto alcun seguito, nè ha prodotto alcuna correzione risultante da documento alcuno.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate cui è stato notificato il ricorso in cassazione da parte di Roma Capitale.
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità del giudizio d’appello e della sentenza impugnata per la mancata integrazione del contraddittorio con violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4). In particolare, ci si duole che nel giudizio di appello il contraddittorio non era stato integrato nei confronti dell’Ufficio Tecnico Erariale-Agenzia del Territorio di Roma, evocato e costituito nel giudizio di primo grado.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Ritiene il Collegio che per motivi di economia processuale la doglianza è da ritenere assorbita in ragione del mancato accoglimento degli ulteriori motivi di ricorso, per le ragioni di seguito esposte.
3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla L. n. 342 del 2000, art. 74, al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, nonchè al D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 4142,43,44,54 e 56. In particolare, ci si duole che la sentenza impugnata non ha tenuto conto che l’atto di classamento degli immobili avrebbe dovuto essere notificato alle contribuenti da parte dell’Agenzia del Territorio, ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 74.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Occorre premettere che la S.C. ha chiarito in proposito come: “In tema di classamento d’immobili, il contribuente può domandare, in ogni momento, all’Amministrazione la correzione dei dati dichiarati e la rettifica della rendita proposta quando la situazione di fatto o di diritto denunciata non corrisponde al vero, trattandosi di un procedimento di accertamento, e può ricorrere, in caso di diniego, avendo diritto ad una definizione mirata e specifica della sua proprietà senza necessità di prospettare un interesse generale, al giudice tributario, che procederà alla valutazione dell’immobile, tenendo conto delle sue mutate condizioni ed eventualmente disapplicando i criteri elaborati dall’Amministrazione. “(Cass. n.2995 del 2015).
Questo Collegio condivide, inoltre, il principio secondo cui: “In tema d’imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), il ricorso alla procedura DOCFA, prevista dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, ai fini del classamento dell’immobile, abilita il Comune ad emettere direttamente avviso di liquidazione I.C.I. senza dover procedere alla preventiva notifica della rendita catastale proposta, trovando applicazione il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 che autorizza l’ente territoriale ad effettuare accertamenti sulla base di dati comunque acquisiti. La peculiarità del procedimento di determinazione della rendita, fondato sulla collaborazione del contribuente, porta inoltre, ad escludere l’autonoma impugnabilità dell’atto impositivo (Cass. n. 19943 del 2010). La S.C. ha da tempo precisato, infatti, che: “Il contribuente che si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, pone in essere un’attività collaborativa che comporta soltanto, in caso di variazione della rendita originaria, la non applicazione di sanzioni (salvo nel caso in cui lo scarto ecceda la misura del 30%), ma abilita il Comune ad emettere avviso di liquidazione, senza necessità di preventiva notifica della rendita”.
(Cass. n.15719 del 2009).
Posto che nel caso in esame è pacifico che le contribuenti si siano avvalse della suindicata procedura, da parte del comune, in sede di variazione, non vi era alcun obbligo di notifica. Per tali ragioni il motivo è infondato.
4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 e al D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 40,41,42,43,44,54 e 56 recante l’approvazione del regolamento di formazione del Nuovo Catasto Edilizio Urbano. In particolare, si lamenta di avere dedotto e provato nel corso del giudizio unicamente la proprietà di 9 unità immobiliari a fronte dell’attribuzione di un’erronea categoria catastale della particella 33 e di 17 unità immobiliari di cui ben 8 del tutto inesistenti, ovvero appartenenti ad altre persone.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. Con esso, infatti, le contribuenti, pur lamentando formalmente una violazione dei principi di diritto, sostanzialmente chiedono un accertamento degli elementi di fatto sotto il profilo del vizio di motivazione. A tale proposito il Collegio aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (Cass. n. 175 del 2016, n. 24155 del 2017). Sotto un diverso profilo si condivide altresì il principio espresso dalla S.C. secondo cui: “Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.” (Cass. n.24298 del 2016). Il motivo di doglianza ora esaminato non risponde ai requisiti ora richiamati.
5. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. In particolare, si lamenta che, se da un lato la sentenza impugnata ha affermato che il Comune non ha alcun potere discrezionale nel procedimento di liquidazione, per altro verso, ha ritenuto di disattendere la nota dell’Ufficio Tecnico Erariale con la quale è stata chiesta la cessata la materia del contendere.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. La sentenza impugnata ha comunque dato conto della documentazione prodotta dal Comune, nuovamente allegata in appello, comprovante la titolarità delle 17 unità immobiliari in capo alle contribuenti. Nella sentenza, inoltre, risulta effettuata una valutazione probatoria della nota dell’Ufficio Tecnico Erariale di Roma, ritenuta inidonea in quanto generica; si è dato, altresì, conto dell’esistenza di documentazione in ordine una diversa attribuzione di rendita rispetto a quella approvata dal Comune con visura effettuata in data successiva alla richiamata nota dell’Ufficio Tecnico Erariale. Va esclusa, pertanto, la lamentata insufficiente motivazione la quale risulta, invece, del tutto coerente e logica.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, respinto e in relazione al primo motivo di doglianza si osserva che tali conclusioni precludono ogni violazione del diritto di difesa del soggetto nei confronti del quale non era stato integrato il contraddittorio nel secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna C.A. e C.E. a pagare al comune di Roma le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 2.300,00, comprensivo di esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018