Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27577 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4472/2013 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato OLINDO DI FRANCESCO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

INPA SPA CONCESSIONARIA COMUNE AGRIGENTO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 98/2012 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO, depositata il 26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/09/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

C.C. impugnò, sotto molteplici profili, l’avviso di accertamento, notificato in data 18/2/2008, con cui INPA s.p.a., Concessionaria delle entrate tributarie del Comune di Agrigento, aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 501,99, per TARSU (anno 2002), interessi e spese, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Agrigento, respinse il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, giusta sentenza n. 98/01/12, depositata il 26/7/2012, sul rilievo che è ininfluente la circostanza che la società INPA, nell’anno di insorgenza del debito, non rivestisse ancora la qualità di concessionaria dell’ente comunale, che non hanno pregio i rilievi formali mossi all’atto impositivo, essendosi il contribuente difeso senza problemi dalla pretesa creditoria, che infondata è anche l’eccezione di decadenza, essendo stato notificato l’accertamento entro il termine quinquennale di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1.

Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria, mentre la Concessionaria non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce violazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, stante il principio per cui il giudice deve giudicare secondo quanto allegato e provato dalle parti, nonchè motivazione solo apparente, in quanto la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare la carenza di legittimazione attiva di INPA s.p.a. riguardo alla riscossione di un tributo risalente all’anno 2002, in quanto all’epoca la società non rivestiva ancora la qualità di Concessionaria del Comune di Agrigento e, comunque, in quanto non è stato prodotto in giudizio il relativo contratto (rep. n. 7568 del 27/4/2006).

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla mancanza di sottoscrizione autografa dell’atto impositivo.

Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 507, art. 73, L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 11 (Statuto del contribuente), L. n. 241 del 1990, artt. 4,7,11, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sul mancato invio dell’avviso bonario, avendo il contribuente contestato la legittimità dell’atto impositivo, afferente un immobile inutilizzabile, non abitato e privo di luce ed acqua, dunque, inidoneo a produrre rifiuti.

Con il quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 8, nonchè della L. n. 241 del 1990, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla denunciata mancata indicazione dell’avvio del procedimento, del responsabile del procedimento, e dell’ufficio dal quale ottenere informazioni in merito all’atto notificato.

Con il quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata esclude la eccepita decadenza quinquennale, senza considerare che la Concessionaria comunale aveva già acclarato, con l’avviso di accertamento per omessa denuncia n. 168, notificato il 21/11/2001, l’inizio della occupazione dell’immobile soggetto a TARSU, nel 2001, e che, per il successivo periodo d’imposta 2002, l’atto impositivo avrebbe dovuto essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento doveva essere effettuato (31/12/2007).

Con il sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16,L. n. 241 del 1990, art. 3,L. n. 212 del 2000, art. 7, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la sentenza impugnata trascurerebbe del tutto la circostanza che la Concessionaria comunale non ha posto in grado il contribuente di contestare an e quantum debeatur, riportando l’atto impositivo soltanto la somma da pagare.

Le censure vanno disattese per le ragioni qui di seguito esposte.

Il ricorrente, con il primo motivo d’impugnazione, si duole del fatto che la società INPA, Concessionaria del servizio di riscossione dei tributi locali, per conto del Comune di Agrigento, in forza del contratto rep. n. 7568 del 27/4/2006, non avrebbe potuto legittimamente richiedere il pagamento della TARSU relativa all’anno 2002 e, in tal modo sembra volere accreditare la tesi per cui l’esternalizzazione dell’accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi, mediante l’affidamento in concessione ad uno dei soggetti previsti dalla legge (cfr., D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52) che regola la potestà regolamentare generale di Province e Comuni), incontrerebbe, nel caso di specie, un limite temporale, nel senso che il potere di accertamento del risalente tributo per cui è causa sarebbe spettato al Comune e non al Concessionario.

La fondatezza di siffatta tesi, non corroborata da alcun elemento di prova, è stata correttamente confutata dalla sentenza impugnata, la quale ha ritenuto il Concessionario legittimato, sostanzialmente e processualmente, stante il subentro in tutti i diritti ed obblighi dell’ente locale (Cass. n. 15079/2004).

Si tratta di accertamento di fatto, involgente l’interpretazione della relativa convenzione, riservato al giudice di merito, soltanto genericamente censurato con il motivo di ricorso per cassazione, che introduce un profilo, quello concernente la mancata produzione – in uno alla memoria difensiva depositata nel giudizio di prime cure – del predetto documento, apparentemente nuovo, atteso che non viene specificato dall’impugnante, in ossequio al principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), se la questione sia stata originariamente formulata nel ricorso introduttivo, e poi riproposta in appello (Cass. n. 9108/2012; Cass. n. 1196/2007).

Il ricorrente, con il secondo motivo, si duole della omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, circa le conseguenze della mancata sottoscrizione autografa dell’atto impositivo, ma la sentenza impugnata ha correttamente escluso la nullità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente, e l’eventuale omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in diritto risulta irrilevante, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la decisione adottata è in sè conforme al diritto.

Infatti, nel caso in cui l’avviso di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione dell’atto è legittimamente sostituita, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, modalità non incisa in parte qua dal successivo D.Lgs. n. 267 del 2000 (Cass. n. 90798/2015, Cass. n. 6736/2015), e, nella fattispecie in eame, l’avviso impugnato recava, come riferito nello stesso motivo di ricorso (pag. 5), l’indicazione del soggetto responsabile, legittimato, quindi, ad esprimere la volontà dell’ente al quale l’accertamento era attribuito.

Il ricorrente, con il terzo motivo, si duole del procedimento di accertamento seguito dal Concessionario, essendo mancato il preventivo contraddittorio con il contribuente, ma la sentenza impugnata, che anche su tale punto appare incensurabile, ha escluso la nullità dell’avviso di accertamento notificato al C., in quanto la pretesa contenuta nel suddetto atto impositivo contemplava, com’è dato ricavare da quanto esposto nel ricorso per cassazione, il mancato pagamento della TARSU (anno 2002) dovuta per l’immobile occupato, sito all’interno del territorio comunale, l’omessa presentazione della denuncia da parte del contribuente, nonchè gli accessori di legge. Va, al riguardo, rilevato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, all’art. 70, pone a carico del contribuente l’obbligo di presentare una denuncia unica in ordine ai locali ed aree tassabili, nonchè, in generale, alle condizioni di tassabilità della TARSU (denuncia originaria od integrativa) ed in ordine alle eventuali variazioni di tali condizioni (denuncia di variazione), all’art. 71 prevede l’emissione di avviso di accertamento nel caso di denuncia infedele o incompleta (avviso di accertamento in rettifica) o nel caso di omessa denuncia (avviso di accertamento d’ufficio) e stabilisce, a proposito della motivazione dell’avviso, che questo debba indicare – tra l’altro – le ragioni dell’eventuale diniego della riduzione o agevolazione richiesta (D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6, comma 1, lett. e, ha poi introdotto, nel D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, il comma 2 bis, anch’esso relativo alla motivazione dell’avviso di accertamento, in sostanziale attuazione della L. n. 212 del 2000, art. 7), all’art. 72 stabilisce inoltre che l’ammontare del tributo ed addizionali, degli accessorie delle sanzioni (liquidato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, delle denunce presentate e degli accertamenti notificati nei termini di cui all’art. 71, comma 1, del medesimo D.Lgs.) è iscritto in ruoli principali, ovvero (di regola, per gli importi od i maggiori importi derivanti dagli accertamenti nonchè per le partite comunque non iscritte nei ruoli principali) nei ruoli suppletivi.

Con riferimento a tale normativa, ed al rapporto tributario qui considerato, il legislatore non ha ritenuto di dover articolare l’istruttoria procedimentale prevedendo il contraddittorio preventivo con il contribuente, il quale ben può avvalersi, com’è accaduto nel caso di specie, degli strumenti di tutela (autotutela tributaria/difesa giurisdizionale) attivabili successivamente all’adozione dell’atto impositivo.

Quanto, poi, alla dedotta inutilizzabilità dell’immobile, trattandosi, in ipotesi, di esclusione dal pagamento del tributo (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2), e vigendo a carico dei possessori una presunzione legale relativa di produzione dei rifiuti solidi urbani in relazione alla superficie abitativa occupata, la prova contraria è senz’altro a carico del contribuente (Cass. n. 19496/2014; Cass. n. 37772/2013).

Il ricorrente, con il quarto motivo, deduce l’omissione di pronuncia in ordine alla denunciata mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, dell’avvio del procedimento, del responsabile del procedimento, e dell’ufficio al quale chiedere informazioni in merito all’atto notificato, ma trascura di considerare che l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. n. 31 del 2008, applicabile peraltro soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (Cass. S.U. n. 11722/2010), e che gli unici requisiti richiesti per l’emissione dell’avviso di accertamento, atto impositivo mediante il quale viene formalmente azionata la pretesa nei confronti del contribuente, sono quelli che consentono alla parte incisa di prendere conoscenza degli elementi di fatto e di diritto sui cui il credito tributario si fonda, la cui rispondenza al modello legale è stata positivamente verificata dai giudici di primo e secondo grado.

Il ricorrente, con il quinto motivo, si duole, infondatamente, del fatto che la impugnata sentenza ha escluso la dedotta decadenza del potere impositivo, in quanto la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

Tale disciplina aumenta a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1,comma 172, con decorrenza 1.7.2007, il previgente D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale; L. n. 296 del 2006, medesimo art. 1, comma 171, inoltre, prevede che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini si applicano anche ai rapporti di imposta precedenti al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Essa, dunque, può applicarsi nel caso in esame, come ritenuto dal giudice di appello, secondo cui il termine di presentazione della denuncia scadeva il 20/1/2003, in quanto ad ogni anno solare corrisponde una obbligazione tributaria, sicchè, qualora la denunzia sia stata omessa, l’obbligo di formularla si rinnova di anno in anno, con la conseguenza che la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere dell’ente impositore di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa, a nulla rilevando la pregressa conoscenza della occupazione della superficie abitativa (Cass. n. 26722/2016; Cass. n. 18122/2009; Cass. n. 21337/2008).

Il ricorrente, con il sesto motivo, intende confutare la correttezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il contribuente era stato posto in condizione di difendersi dalla pretesa impositiva, con conseguente irrilevanza degli astratti “rilievi formali mossi contro l’atto afflittivo”.

Si tratta di affermazione del tutto in linea con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che richiede, ai fini qui considerati, la dimostrazione di un pregiudizio effettivo alle prerogative del contribuente, non essendo di per sè tutelato il generico interesse alla legittimità dell’azione amministrativa.

La censura, tuttavia, prima che infondata, è inammissibile, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il quale opera anche nel giudizio tributario, atteso che l’esame del dedotto vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, richiede che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147/2017; Cass. n. 2928/2015).

Non v’è luogo a pronuncia sulle spese processuali in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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