Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27578 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9200/2013 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONIO MARCO DI SOMMA con studio in SANTA MARIA CAPUA VETERE – CORSO GIUSEPPE GARIBALDI n. 54 avviso postale ex art. 135 c.p.c., giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CARDITO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 268/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 08/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/09/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

C.G. impugnò, sotto diversi profili, l’avviso di accertamento in rettifica, notificato il 5/5/2009, con cui il Comune di Cardito aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 211,00, per TARSU, relativamente all’anno 2003, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Napoli accolse l’impugnazione, con decisione riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, giusta sentenza n. 268/31/12, depositata l’8/10/2012, che accolse l’appello principale dell’ente locale, e respinse l’appello incidentale del contribuente, rilevando l’ammissibilità del gravame e, nel merito, l’infondatezza della eccezione di decadenza, essendo stato notificato l’atto di accertamento entro il termine quinquennale di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1. Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, illustrati con memoria, mentre l’intimato Comune non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare, e dichiarare, l’inammissibilità dell’appello principale, notificato dal Comune di Cardito il 22/6/2011, con atto depositato nella segreteria della CTR campana in epoca successiva al 12/9/2011, data nella quale il contribuente aveva provveduto al deposito della memoria contenente le proprie controdeduzioni e l’appello incidentale, nonchè, quale parte più diligente, alla iscrizione a ruolo della causa.

Con il secondo motivo, deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare l’irricevibilità dell’appello principale, essendo tenuto il ricorrente, all’atto della costituzione in giudizio, al deposito della nota di iscrizione a ruolo, con le prescritte indicazioni, sicchè l’adita CTR avrebbe dovuto rifiutare il deposito, peraltro tardivo, del ricorso in appello notificato.

Con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 182 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 1, relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’appellante Comune è stato rappresentato e difeso da V.B., “per mandato in calce al presente atto”, soggetto che ha pure sottoscritto il ricorso, giusta procura speciale rilasciata dal Sindaco del Comune di Cardito, con stampigliatura mancante della sottoscrizione “per autentica” del funzionario delegato dott. P.A. (“Istruttore Direttore Amministrativo”), e che la CTR non ha provveduto ad assegnare alla parte ricorrente, come avrebbe potuto fare, un termine per regolarizzare la procura alle liti.

Con il quarto motivo, deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto dagli atti di causa non si evince che il V. fosse effettivamente un dipendente comunale cui è stata affidata la difesa tecnica dell’appellante, e la CTR neppure ha verificato se il predetto fosse iscritto in uno degli albi professionali previsti dalla richiamata disposizione, ai fini della regolarità del gravame e della costituzione in giudizio del Comune di Cardito.

Con il quinto motivo, deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la CTR ha ritenuto di poter superare la questione della inesistenza della procura speciale conferita al V., sul rilievo che l’ente locale può stare in giudizio senza l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in forza della sottoscrizione apposta in calce dal Sindaco, B.G., che in tal modo avrebbe fatto proprio il contenuto dell’atto di appello, senza considerare che tale sottoscrizione è stata apposta su un atto distinto ed autonomo rispetto al ricorso in appello.

Con il sesto motivo, deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il termine applicabile entro il quale il Comune avrebbe dovuto notificare l’atto contenente la pretesa tributaria è quello triennale, e non quinquennale, scadente il 31/12/2007, riguardando l’annualità TARSU del 2003, mentre l’avviso di accertamento in rettifica, non preceduto da alcun atto prodromico, è stato notificato soltanto il 5/3/2000.

Con il settimo motivo, deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la CTR ha ritenuto derogata la L. n. 212 del 2000, art. 3, dalle disposizioni di cui alla L. n. 296 del 2006, che hanno prorogato i termini di decadenza dei tributi locali, in contrasto con il costante indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità.

Con l’ottavo motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 3,6,7 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla ritenuta applicabilità della proroga dei termini di decadenza dei tributi locali di cui alla L. n. 296 del 2006, stante la contrarietà di tale interpretazione normativa ai principi contenuti nello Statuto del contribuente.

Le prime due censure, scrutinabili congiuntamente in quanto connesse, vanno disattese.

Secondo il ricorrente, allorquando, in data 12/9/2011, depositò, in qualità di appellato, la memoria contenente le controdeduzioni e l’appello incidentale, il ricorso in appello del Comune di Cardito, a lui notificato il 22/6/2011, non era stato ancora depositato dall’appellante nella segreteria dell’adita Commissione tributaria regionale della Campania, tanto che procedette anche alla iscrizione a ruolo della causa, non essendo reperibile in atti la nota di iscrizione a ruolo dell’appello principale, ed a supporto della eccepita tardività della costituzione in giudizio della controparte, allega che nel fascicolo processuale si rinviene una ricevuta, priva del numero di protocollo, datata “Napoli, 03/10/2011”, nella quale si attesta l’avvenuto deposito, da parte del Comune, del ricorso in appello, in data 1/7/2011, nonchè una ulteriore ricevuta, Prot. n. 23474/2011, del 1/7/2011, recante l’annotazione manoscritta “annullata per errata digitazione, trattasi di appello”.

La impugnata sentenza ha escluso la tardività della costituzione in giudizio dell’appellante Comune sul rilievo che “l’appello, con la prova della notificazione in data 22/6/2011 risulta depositato in Segreteria di questa Commissione in data 1 luglio 2011 al n. Prot. 23474/11, cioè al decimo giorno dalla notificazione; risulta altresì depositata la copia dell’appello proposto nella segreteria della Commissione Provinciale in data 27/6/2011 prot. 2714/11”.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, prevede che il ricorso in appello debba essere depositato a norma del D.Lgs. cit., art. 22, commi 1, 2 e 3 e, nel caso di specie, l’affermazione del giudice a quo, secondo cui la costituzione in giudizio dell’appellante è tempestiva, in quanto effettuata nel rispetto del termine di trenta giorni dalla proposizione del ricorso, si basa, quindi, sulla ritenuta idoneità probatoria della documentazione inserita nel fascicolo processuale.

Orbene, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, profilo qui non in contestazione, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, mentre il ricorrente si limita a formulare soggettivi dubbi circa la valenza probatoria delle ricevute attestanti il tempestivo deposito nella segreteria della CTR dell’atto di gravame notificato dal Comune, a cagione della annotazione manoscritta riportata su una di esse, che la parte privata, la quale non neppure ipotizza un errore revocatorio, qualifica di contenuto criptico (“cosa voglia dire tale annotazione, non si comprende”), suscettibile, quindi, di interpretazione.

Per effetto della modifica apportata al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, in sede di conversione del D.L. 138 del 2011, art. 2, comma 35 quater, lett. c), (convertito con modificazioni in L. 14 sdettembre 2011, n. 148), all’atto della costituzione in giudizio, è obbligatorio presentare anche la nota di iscrizione a ruolo, in cui sono specificati l’atto impugnato, il valore della controversia, la materia del contendere e la data di notifica del ricorso, insieme con l’indicazione delle parti e del difensore che si costituisce, ma trattasi di adempimento che, per quanto concerne la fattispecie oggetto di causa, è estraneo alla sanzione della inammissibilità del ricorso, non soltanto per ragioni temporali, ma in quanto essa deve essere espressamente comminata dalla legge (Cass. n. 20612/2016).

La terza, la quarta e la quinta censura, scrutinabili congiuntamente in quanto connesse, vanno anch’esse disattese.

Il ricorrente deduce la nullità della procura rilasciata con sottoscrizione del Sindaco del Comune di Cardito, a V.B., che ha sottoscritto il ricorso in appello, in quanto mancante della firma “per autentica” del funzionario delegato dott. P.A., evidenziando, altresì, che non risulta in atti se il V. fosse effettivamente un dipendente comunale, nè se, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 2, lo stesso fosse un difensore abilitato.

La impugnata sentenza ha escluso ogni rilevanza, sul piano dell’ammissibilità del gravame, al difetto di autenticazione della sottoscrizione del mandato difensionale apposta dal Sindaco in calce all’atto di appello, e non su foglio separato, in quanto detta firma, la cui autografia non è contestata, avuto anche riguardo alla collocazione in calce all’atto, è “riferibile all’intero atto, fatto con la sottoscrizione sostanzialmente proprio: poichè l’ente può stare in giudizio mediante il legale rappresentante, e non solo mediante il funzionario responsabile (trattandosi peraltro di controversia di valore inferiore alla soglia di obbligatorietà della difesa tecnica)”;

Non v’è dubbio, infatti, che il Comune, a mezzo del legale rappresentante, il Sindaco (D.Lgs. 267 del 2000, art. 50, comma 2, recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), potesse stare in giudizio senza l’assistenza tecnica di un difensore, considerato l’esiguo valore della causa, e la soglia prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 2, mentre l’esercizio del potere di sanatoria del vizio di rappresentanza tecnica di cui all’art. 182 c.p.c., comma 2, è insindacabile nel merito e, a maggior ragione, incensurabile in sede di legittimità.

Le residue censure, scrutinabili congiuntamente in quanto connesse, sono palesemente infondate.

Il ricorrente si duole del fatto che la impugnata sentenza ha escluso la decadenza del potere impositivo, in base alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

Tale disciplina aumenta a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1,comma 172, con decorrenza 1.7.2007, il previgente D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, che prevedeva, invece, il termine triennale; la L. n. 296 del 2006, art. 1 cit., comma 171, inoltre, prevede che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini, si applicano anche ai rapporti di imposta precedenti al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria.

La sentenza impugnata appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte (C24187/2016; Cass. n. 26722/2016), ed il giudice di appello correttamente motiva la propria decisione di rigetto dell’eccezione di decadenza formulata dal contribuente, in considerazione del fatto che “la TARSU deve essere denunziata entro il 20 gennaio successivo all’anno in cui è iniziata la detenzione o la occupazione dell’immobile (D.Lgs. n. 597 del 1993, art. 70) e comunque il tributo va pagato (…) entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento, dunque nel caso – riferito all’anno 2003 rispettivamente entro il 20 gennaio 2004 ed entro il 31 dicembre 2004. Ne deriva che i termini di decadenza (…) iniziano a decorrere dal 31 dicembre 2004, sicchè risulta applicabile, sia nel caso di originaria decadenza triennale (per l’omesso pagamento), che quella quadriennale (omessa denuncia) la sopravvenuta L. n. 296 del 2006, trattandosi di termine non ancora scaduto al 1 gennaio 2007, con la conseguenza che, applicando il termine quinquennale previsto da detta legge, il termine (di decadenza) veniva a scadere il 31 dicembre 2009”.

Non v’è luogo a pronuncia sulle spese processuali in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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