LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16381-2013 proposto da:
COMUNE TARANTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PONTEFICI N 3 presso lo studio dell’avvocato VALENTINO CAPECE MINUTOLO DEL SASSO, che lo rappresenta difende, giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
M.D., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato INNOCENZO PIO SIGGILLINO, giusta delega in calce;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 219/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di TARANTO, depositata il 24/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/09/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato NICO PANI per delega dell’Avvocato CAPECE MINUTOLO DEL SASSO VALENTINO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Taranto appellava la sentenza della CTP di Taranto, che aveva parzialmente accolto l’impugnazione di M.D., disapplicata la delibera di determinazione delle tariffe TARSU, che aveva recepito quelle in precedenza adottate dal Commissario straordinario del Comune di Taranto, e quindi, annullata l’ingiunzione di pagamento emessa dal Comune, notificata il 3/3/2009 al predetto contribuente, con riferimento al tributo dovuto per l’anno 2008.
Il primo giudice, altresì, ordinava all’ente locale di applicare la tariffa in ragione del costo di smaltimento dei rifiuti, come determinato per l’anno 2001, con le rivalutazioni di legge, nonchè di commisurare il tributo, a carico del professionista, alle superfici effettivamente utilizzate come studio.
L’adita CTR della Puglia, con sentenza n. 219, depositata il 24/12/2012, dopo aver dichiarato inammissibile il gravame del Comune, esaminava nel merito le censure e, in parziale riforma della decisione di primo grado, rilevava che il primo giudice si sarebbe dovuto limitare all’annullamento dell’impugnata ingiunzione di pagamento, statuizione che veniva confermata, non potendo sostituirsi all’ente impositore nella determinazione della “giusta tariffa”, dettando finanche i criteri all’uopo da osservare.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Comune di Taranto, articolando tre motivi, illustrati con memoria, cui resiste il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il Comune deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in quanto la sentenza impugnata, nella parte motiva, contiene una errata declaratoria di inammissibilità del ricorso in appello, il quale censurava compiutamente le ragioni per cui era stato accolto il ricorso introduttivo del contribuente, per violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69 e specificava come la deliberazione disapplicata, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, contenesse una motivazione assai articolata e, quindi, del tutto adeguata, avendo recepito le tariffe in precedenza applicate dal Commissario straordinario, non oggetto di specifica impugnazione.
Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, della L. n. 2248 del 1865, all. E, artt. 4 e 5, nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, stante l’insussistenza del difetto di motivazione della disapplicata deliberazione comunale di approvazione delle tariffe TARSU, atto in astratto impugnabile innanzi al giudice amministrativo, avendo la CTR inammissibilmente censurato “nel merito” le scelte dell’amministrazione comunale, ritenendole irragionevoli e non condivisibili, in tal modo superando i limiti dell’istituto della disapplicazione.
Con il terzo motivo, deduce violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, lett. f), (T.U. in materia di enti locali), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la disposizione richiamata individua le attribuzioni del Consiglio Comunale nell’istituzione ed ordinamento dei tributi, “con esclusione della determinazione delle relative aliquote”, e l’ingiunzione impugnata si riferisce alle tariffe approvate, nel 2008, dalla Giunta Comunale, organo competente a deliberare in materia, mentre la giurisprudenza di legittimità riportata nella sentenza della CTR fa riferimento alla L. n. 142 del 1990, art. 32 disposizione applicabile antecedentemente al 2000. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilità / improcedibilità / improponibilità del ricorso per cassazione.
Giova premettere che il Comune di Taranto, “ai sensi dell’art. 22 dello Statuto Comunale”, sta in giudizio in persona del dirigente dell’ufficio legale dell’ente, l’avv. Annalisa Adamo, che ha conferito, a margine del ricorso per cassazione, il mandato difensivo, “con ogni più ampia facoltà di legge”, all’avv. Valentino Capece Minutolo, il quale ha sottoscritto il ricorso per cassazione, eleggendo domicilio presso lo studio, in *****.
Il predetto art. 22 dello Statuto, al comma 3, prevede, infatti, che “Il Sindaco ha la rappresentanza politico – istituzionale dell’Ente. In tale veste può esprimere valutazioni di opportunità a promuovere o resistere alle liti in quei Giudizi che coinvolgono interessi generali dell’Ente. In ogni altro procedimento la rappresentanza processuale dell’Ente è conferita al Dirigente pro tempore degli AA.LL., il quale acquisito il parere del Dirigente della Direzione che ha curato l’attività amministrativa sfociata in controversia, provvede a sottoscrivere il mandato previa adozione degli atti amministrativi presupposti.”.
Come già chiarito da questa Corte, “Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50. In particolare, qualora lo statuto (o, nei limiti già indicati, il regolamento) affidi la rappresentanza a stare in giudizio in ordine all’intero contenzioso al dirigente dell’ufficio legale, questi, quando ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l’incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l’ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale), e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione.” (Cass. S.U. n. 12868/2005; Cass. n. 4556/2012; Cass. n. 7402/2014).
Nel controricorso si assume che, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 23, comma 1, (Nuova Disciplina dell’Ordinamento della Professione Forense), è prevista l’iscrizione in un elenco speciale annesso all’albo per gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici, iscrizione obbligatoria per compiere le prestazioni (assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali) indicate nell’art. 2 legge citata, che l’avv. Annalisa Adamo, la quale, nella qualità di Dirigente degli Affari Generali e Legali del Comune di Taranto, ha rilasciato procura speciale all’avv. Capece Minutolo, per rappresentare l’ente locale nel presente giudizio di legittimità, non risulta iscritta all’Albo speciale dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, come dimostrato dallo stralcio dell’Albo speciale prodotto in atti, trattandosi di un professionista esterno, e che, quindi, l’avv. Adamo è stato illegittimamente nominato dirigente dell’ufficio legale, e non può validamente rappresentare il Comune.
Le deduzioni dell’intimato contribuente non colgono nel segno, in quanto il richiamato art. 23, che peraltro fa salvi i diritti acquisiti alla data (2/2/2013) di entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, dispone nel senso che l’iscrizione nell’elenco speciale è prescritta per l’esercizio della attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell’ente pubblico presso il quale l’avvocato presta – in esclusiva – la propria opera, attività che, nella specie, non è direttamente riferibile all’avv. Adamo, la quale, in ragione della posizione dirigenziale ricoperta, quindi, del rapporto organico che la lega all’ente, è soggetto investito del potere rappresentativo – di natura sostanziale – del Comune di Taranto, in ordine al rapporto dedotto in giudizio, e della correlata facoltà di nomina dei difensori, profilo che qui rileva, sicchè la procura per la proposizione del ricorso per cassazione è stata validamente conferita all’avv. Capece Minutolo.
La prima censura è fondata e merita accoglimento.
Emerge, infatti, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, che la CTR della Puglia, dopo aver rilevato che “l’appello deve essere dichiarato inammissibile perchè, in effetti, non illustra, nemmeno sommariamente, i motivi per i quali la sentenza (… del giudice di prime cure) dovrebbe essere annullata”, si è pronunciata sulle questioni di merito, oggetto di causa, tanto da risultare di fatto superato il pregiudiziale rilievo di inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi di gravame (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53).
Nel processo tributario, tuttavia, ove l’Amministrazione finanziaria ribadisca e riproponga in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 cit. (Cass. n. 7369/2017), atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 12826/2017 e giur. ivi cit.).
La sentenza d’appello è palesemente difforme dai suesposti principi di diritto, perchè svaluta il motivo di gravame dell’ente impositore, articolato su argomenti incentrati sulla dedotta violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69 sul rapporto tra tariffe e costi del servizio, e sulla adeguatezza dei dati riportati dalla disapplicata Delib. giunta comunale n. 69 del 2007, con riferimento al tributo dovuto per l’anno 2008, questioni risolte dalla sentenza di primo grado senza confrontarsi con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21234/2017, in fattispecie afferente gli studi professionali; Cass. n. 2253/2017, in fattispecie afferente gli esercizi alberghieri), e senza considerare che, con riguardo al presupposto che determina l’applicazione della TARSU, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 4, dispone che “nelle unità immobiliari adibite a civile abitazione, in cui sia svolta un’attività economica o professionale, può essere stabilito dal regolamento che la tassa è dovuta in base alla tariffa prevista per la specifica attività ed è commisurata alla superficie a tal fine utilizzata”.
L’inammissibilità del primo motivo di ricorso rende irrilevante l’esame degli altri mezzi di impugnazione, con i quali il ricorrente Comune censura “nel merito” la sentenza di appello.
In conclusione, una volta accolto il primo motivo di ricorso, e dichiarati assorbiti gli altri due motivi, va cassata la sentenza d’appello in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui è demandato di procedere all’esame della vertenza e di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i restanti motivi, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018