LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24481/2011 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
BIESSE SPA, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ennio Luponio e Pietro Picozzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ennio Luponio, in Roma, via Michele Mercati, n. 51.
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, sezione 2, n. 113/2/2010, pronunciata il 18/06/2010, depositata il 9/07/2010, il cui dispositivo è stato corretto con ordinanza 74/02/2010 del 29/10/2010, depositata il 12/11/2010;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 settembre 2018 dal Consigliere Dr. Riccardo Guida;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale; l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale e il rigetto dei restanti;
udito l’Avvocato dello Stato Maria Pia Camassa;
udito l’Avvocato Riccardo Luponio.
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda l’impugnazione, da parte di Biesse Spa, di un avviso di accertamento, emesso a seguito di una verifica fiscale, con il quale l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, ai fini IRPEG, IRAP, per l’anno d’imposta 2002, maggiori redditi sulla base di quattro rilievi: 1) costi indeducibili per spese di assistenza tecnica; 2) indebita applicazione di agevolazioni fiscali per corsi multimediali per la formazione del personale; 3) eccessiva quantificazione del reddito d’impresa soggetto all’aliquota agevolata (del 7%) in base alla disciplina della DIT (Dual Income Tax); 4) erronea applicazione della ritenuta del 5%, anzichè di quella del 30%, sulle royalties pagate ad una società statunitense per i diritti di sfruttamento di un brevetto industriale.
La società impugnava l’avviso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pesaro che accoglieva il ricorso sui rilievi 1, 2, 4, e, invece, confermava l’accertamento sul rilievo 3 (riguardante la quantificazione del reddito d’impresa soggetto a DIT).
La società proponeva appello in relazione a tale rilievo, mentre l’Agenzia proponeva appello incidentale in relazione all’annullamento dei rilievi 1, 2, 4.
La Commissione tributaria regionale delle Marche (hinc: CTR), con la sentenza in epigrafe (il cui dispositivo è stato corretto coll’ordinanza sopra menzionata), in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto l’appello della contribuente, riguardante il rilievo n. 3 e l’appello incidentale dell’Ufficio in merito ai rilievi n. 1 e 4, mentre ha confermato la prima decisione, limitatamente al rilievo n. 2.
La CTR, in merito al rilievo n. 1, riguardante costi per un software, ne ha esclusa la deducibilità, trattandosi di esborsi riferibili ad una controllata estera della contribuente e non direttamente a quest’ultima.
In merito al rilievo n. 2, invece, ha affermato che le agevolazioni fiscali di legge (c.d. “Tremonti formazione”) riguardano anche le procedure di e-learning ed i corsi multimediali.
In merito al rilievo n. 3, ha escluso la sussistenza dei presupposti per un recupero fiscale in materia di reddito imponibile soggetto a DIT, sul presupposto che l’Ufficio non avesse preso in considerazione le allegazioni della società volte a quantificare esattamente la parte del reddito d’impresa suscettibile di beneficiare dell’aliquota agevolata.
In merito al rilievo n. 4, infine, ha affermato che la sussistenza dei presupposti normativi per l’applicazione della ritenuta del 5% sulle predette royalties era attestata da un’autocertificazione, contenuta nella fotocopia di un telefax, versato in atti, privo di valore probatorio in quanto tempestivamente disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia ricorre per la cassazione, per tre motivi; la contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale, articolato sulla base di 5 motivi.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso principale: “Quanto al rilievo n. 2 dell’avviso di accertamento: violazione e falsa applicazione della L. n. 383 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Premesso che i costi per la formazione e l’aggiornamento del personale dipendente sono stati dedotti in virtù del regime agevolativo di cui alla L. n. 383 del 2001, art. 4, comma 2, si censura l’errore di diritto della sentenza impugnata che avrebbe ritenuto applicabile la disciplina fiscale agevolativa alle spese per l’acquisto di corsi multimediali, laddove, invece, l’incentivo riguarda esclusivamente i corsi di formazione e di aggiornamento che si svolgono alla presenza di un docente che, anche a distanza, trasferisce conoscenze e informazioni tecniche al personale.
1.1. Il motivo è infondato.
La L. 10 ottobre 2001, n. 383, art. 4, comma 2, stabilisce che: “2. L’incentivo si applica anche alle spese sostenute per servizi, utilizzabili dal personale, di assistenza negli asili nido ai bambini di età inferiore a tre anni, e alle spese sostenute per la formazione e l’aggiornamento del personale. A questo importo si aggiunge anche il costo del personale impegnato nell’attività di formazione e aggiornamento, fino a concorrenza del 20 per cento del volume delle relative retribuzioni complessivamente corrisposte in ciascun periodo di imposta”.
Così composto il quadro normativo, la CTR non è incorsa nella paventata violazione di legge in quanto essa ha correttamente prescelto un’interpretazione della disposizione, del tutto coerente con il suo tenore letterale che, diversamente da quanto prospettato dall’Ufficio, non esclude dall’incentivo fiscale le spese per corsi di formazione multimediali da svolgersi senza l’effettiva partecipazione di un docente.
2. Secondo motivo: “Quanto al rilievo n. 3 dell’avviso di accertamento: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322, art. 2, nonchè del D.Lgs. n. 466 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
L’Ufficio premette che, dal controllo finalizzato alla corretta determinazione della base imponibile da sottoporre all’aliquota ridotta del 7%, in luogo di quella del 36%, secondo la disciplina della DIT, era emerso che la società, nel calcolo dei decrementi del capitale investito, non aveva tenuto conto della distribuzione delle riserve di cui alla deliberazione dell’assemblea dei soci del 29/04/2002.
La contribuente, dal canto suo, durante il giudizio, aveva riconosciuto un simile errore, ma aveva poi preteso che venisse operata una sorta di compensazione, poichè non si sarebbe dovuto tenere conto di altri decrementi del capitale investito che essa aveva, altrettanto erroneamente, calcolato e riportato nella propria dichiarazione dei redditi.
Soggiunge di avere immediatamente contestato tale linea difensiva di Biesse Spa che, in sostanza, non criticava il merito del rilievo fiscale, ma alludeva ad un asserito errore nel contenuto della dichiarazione dei redditi, insuscettibile di essere dedotto a causa del maturare del termine decadenziale di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8-bis.
Ciò premesso, l’Agenzia lamenta l’errore di diritto della sentenza impugnata che, senza avvedersi del decorso del predetto termine decadenziale, diversamente dalla Commissione provinciale che aveva rilevato la decadenza, ha riconosciuto l’ammissibilità e la fondatezza delle contestazioni mosse dalla società al rilievo fiscale, sebbene esse riguardassero, in definitiva, asseriti errori sostanziali della dichiarazione dei redditi, presentata anni addietro dalla società.
2.1. Il motivo è infondato.
E’ il caso di ricordare che la CTR, nell’escludere la fondatezza del recupero fiscale in materia di determinazione della base imponibile secondo la disciplina della DIT, vale a dire nell’affrontare la quaestio facti, ha implicitamente disatteso l’eccezione, sollevata dall’Ufficio, di decadenza della contribuente dal termine perentorio per la rettifica della dichiarazione dei redditi.
Tale statuizione (implicita) si colloca lungo una linea di continuità coll’orientamento delle Sezioni unite (Cass. sez. un. 30/06/2016, n. 13378) che hanno affermato che: “In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria”.
Ciò precisato, è ovvio che la valutazione, compiuta dalla CTR, circa la corretta determinazione, da parte della società, del reddito imponibile da assoggettare alla disciplina della DIT, in virtù delle variazioni in aumento o in diminuzione della base imponibile, costituisce un accertamento in fatto, insindacabilmente rimesso al giudice di merito, suscettibile di controllo, da parte della Corte, solo dal punto di vista dell’eventuale vizio di motivazione (cfr. p. 3).
3. Terzo motivo: “Quanto al rilievo n. 3 dell’avviso di accertamento: insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.
L’ultimo rilievo critico alla sentenza impugnata riguarda il fatto che essa non spiegherebbe le ragioni in forza delle quali i decrementi dalla base DIT dichiarati alla società dovessero essere disconosciuti, sì da determinare una sorta di compensazione con il decremento, contestato alla contribuente, che essa aveva effettivamente ammesso di non avere dichiarato, coll’effetto finale dell’azzeramento del recupero fiscale annullato dalla Commissione regionale.
3.1. Il motivo è fondato.
In sintesi il percorso argomentativo sviluppato dalla CTR per annullare il rilievo n. 3, concernente la quantificazione del reddito d’impresa assoggettabile all’aliquota agevolata, secondo la disciplina della DIT, è così articolato: a) i verificatori hanno acquisito ed utilizzato prospetti e dati in materia di DIT, forniti dalla contribuente, limitandosi ad espungere i soli dati che portavano ad una riduzione dell’imponibile; b) non è giusto procedere in maniera parziale, sicchè la società doveva avere la possibilità di dedurre altri elementi, emersi dagli atti del procedimento, rilevanti in sede di ricostruzione complessiva degli importi; c) di tali elementi occorre tenere conto, ragione per cui il recupero va annullato.
Osserva, al riguardo, la Corte che una simile motivazione, in sè scarna, generica e affrettata nelle conclusioni, si appalesa lacunosa e insufficiente perchè, in realtà, la CTR non illustra, in modo esplicito, quali siano i componenti del reddito imponibile, determinati in base alle variazioni in aumento ed in diminuzione (c.d. incrementi e decrementi), tassativamente indicate dal decreto legislativo istitutivo della DIT, suscettibili di essere tassati, rispettivamente, con l’aliquota ridotta del 7% (che riguarda la parte degli utili d’impresa derivanti da un rendimento figurativo attribuito all’incremento del capitale proprio investito nell’impresa, avvenuto dopo la chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996) e con l’aliquota ordinaria (IRPEG) del 36%, quali dati di bilancio da cui possa univocamente evincersi che l’erroneità del reddito agevolato determinato dall’Ufficio (pari a Euro 2.511.315,00), rispetto a quello dichiarato dalla società (pari a Euro 3.754.357,00).
4. Primo motivo di ricorso incidentale: “Rilievo sub. 1 dell’accertamento: violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR(75 nel testo in vigore ante 1/01/2004), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Biesse Spa, col ricorso incidentale, si duole, innanzitutto, dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR nel negare, per difetto d’inerenza, la deducibilità di una spesa di assistenza tecnica, consistente nella rifatturazione, da parte della controllata Biesse Iberica Woodworking Machinery SL alla “casa madre” (Biesse Spa) di un modulo software che la controllante aveva venduto alla controllata che, dal canto suo, l’aveva ceduto al cliente spagnolo che, successivamente, aveva contestato la spesa.
4.1. Il motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, come ricordato in precedenza, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 30/12/2015, n. 26110).
Nel caso in esame, è evidente che il rilievo rivolto alla decisione attiene alla ricostruzione della fattispecie concreta e, in particolare, alla circostanza che il giudice di merito avrebbe erroneamente escluso che la spesa in discorso fosse inerente all’attività sociale della contribuente.
Non è, però, consentito sollecitare la Corte ad un apprezzamento di fatto – quale la verifica, in concreto, dell’inerenza o meno di una spesa già insindacabilmente compiuto dal giudizio di merito.
5. Secondo motivo: “Rilievo sub. 3 dell’accertamento: omessa pronuncia e conseguente insufficiente motivazione in relazione ad un aspetto decisivo della controversia concernente l’eccepita irrilevanza dell’incremento delle partecipazioni in società estere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.
Si fa valere l’error iuris della sentenza impugnata che, nonostante che in entrambi i gradi di merito la contribuente avesse allegato la legittimità della mancata riduzione del capitale investito (ai fini della determinazione della base imponibile secondo la disciplina della DIT), in relazione all’incremento delle partecipazioni nelle società estere, sarebbe viziata da omessa pronuncia e da conseguente vizio di insufficiente motivazione, per non essersi minimamente soffermata sulla questione.
5.1. Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento della terza censura proposta dall’Ufficio (cfr. p. 3).
6. Terzo motivo: “Rilievo sub. 4 dell’accertamento: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25,comma 4, e art. 12, comma 4, Convenzione Italia – Stati Uniti, nonchè dell’art. 2712 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
In merito all’erronea applicazione della ritenuta del 5%, anzichè di quella del 30%, sulle royalties pagate ad una società statunitense per i diritti di sfruttamento di un brevetto industriale, la società espone che, tra i requisiti normativi per l’applicazione della ritenuta convenzionale del 5%, vi è la necessità di un attestato ufficiale dell’Autorità statunitense circa la domiciliazione fiscale, negli Usa, della società titolare della privativa industriale.
Biesse Spa, quindi, critica la decisione d’appello che avrebbe erroneamente negato efficacia probatoria ad un telefax contenente la certificazione sulla domiciliazione fiscale della società statunitense, sull’inesistente presupposto che l’Ufficio – che, in realtà, si era limitato a rilevare l’assenza di data certa del documento – avesse disconosciuto quell’atto, ferma la constatazione che, in base alle succitate norme di riferimento (art. 12, comma 4, della Convenzione Italia – Stati Uniti contro la doppia imposizione; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 4,), non prevedono alcuna modalità di verifica dei detti requisiti nè alcuna “idonea documentazione” funzionale alle verifica medesima.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Ed invero, come affermato in precedenza (p. 4.1.), secondo il consolidato orientamento della Corte, che il Collegio condivide: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale era stata proposta una lettura alternativa delle risultanze di causa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito, in assenza di qualsivoglia censura dei criteri ermeneutici asseritamene violati o di specifica indicazione di un preciso “error in iudicando”).” (Cass. 13/10/2017, n. 24155).
Nella specie la doglianza involge, in modo non consentito, profili di fatto, consistenti nell’apprezzamento delle risultanze probatorie, il cui scrutinio è rimesso insindacabilmente al giudice di merito.
7. Quarto motivo: “Rilievo sub. 4 dell’accertamento: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 e art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Il rilievo riguarda il fatto che la decisione impugnata (nella sola parte illustrativa della vicenda processuale) ha quantificato in Euro 11.104,00 le ritenute in contestazione, con ciò violando il principio di acquiescenza posto che l’Ufficio, nell’atto di appello, riconoscendo l’errore contenuto nell’avviso di accertamento, aveva ridotto l’ammontare del rilievo da 11.104,00 a Euro 4.190,73.
7.1. Il motivo è infondato.
Diversamente da quanto sostiene la società, la decisione della Corte regionale non si sofferma espressamente nè statuisce alcunchè sull’ammontare della rimessa in discorso, ma si limita ad affermare l’invalidità della ritenuta ridotta del 5% sulle royalties spettanti alla società statunitense.
8. Quinto motivo: “Rilievi sub 1-2-4 dell’accertamento: nullità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice adito non si è pronunciato sulla doglianza avente per oggetto “l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’Ufficio per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, con conseguente passaggio in giudicato, in parte qua, della sentenza resa in primo grado.”. La sentenza è, in parte qua, viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”.
L’ultima critica investe la sentenza impugnata che, secondo la prospettazione della contribuente, avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione, da quest’ultima sollevata nell’atto di costituzione in appello, secondo cui l’appello incidentale dell’Ufficio (parzialmente accolto dalla CTR), era inammissibile perchè esso riproduceva, in termini pedissequi, il contenuto dell’atto di costituzione dell’Amministrazione finanziaria nel giudizio di primo grado.
8.1. Il motivo è infondato.
Costituisce ius receptum che non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte.
(Cass. 28/03/2014, n. 7406).
Nella specie, la CTR ha escluso implicitamente che l’atto di gravame dell’Agenzia fosse affetto dalle incolmabili lacune o dai vizi strutturali adombrati dalla controparte e, anzi, nell’esaminare nel merito l’appello incidentale dell’Ufficio, ne ha (persino) ravvisata la parziale fondatezza.
9. In definitiva: va accolto il terzo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, mentre il primo ed il secondo vanno dichiarati inammissibile; del pari, vanno dichiarati inammissibili il primo e il terzo motivo del ricorso incidentale della Biesse Spa, assorbito il secondo motivo al terzo motivo del ricorso principale, e, infine, infondati il quarto e il quinto motivo.
La sentenza va cassata, limitatamente al motivo accolto del ricorso principale, e la causa va rimessa alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione al motivo accolto, nonchè per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate; dichiara infondati il primo e il secondo motivo; dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo del ricorso incidentale di Biesse Spa, assorbito il secondo motivo al terzo motivo del ricorso principale, infondati il quarto e il quinto motivo;
cassa la sentenza impugnata, limitatamente al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione al motivo accolto, e anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018