LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28620/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
ITEMA SPA, rappresentata e difesa dall’avv. Gabriele Pafundi e dall’avv. Cesare Zonca, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 65, n. 31/65/13, pronunciata il 10/01/2013, depositata il 21/02/2013;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento che rettificava in aumento l’IVA dovuta, per l’anno 2001, dalla Promatech Spa (poi incorporata in Itema Spa) che, sulle note di credito emesse a favore di due società cessionarie dei prodotti della contribuente, aveva illegittimamente applicato l’aliquota prevista per le prestazioni di servizi (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 3), anzichè le diverse e maggiori aliquote relative ai singoli beni ceduti, destinati al mercato italiano o estero, in quanto le clausole dei contratti intercorrenti tra le parti prevedevano l’applicazione di sconti commerciali, soggetti alla disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 e non il riconoscimento di premi o bonus per i risultati delle vendite raggiunti dalle cessionarie.
Questa Corte, con ordinanza 30/03/2012, n. 5208, accogliendo il ricorso della società, ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, che aveva confermato la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento dell’Ufficio.
A seguito del rinvio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc: CTR), con la sentenza in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello della contribuente ed ha annullato l’avviso di accertamento.
La CTR, innanzitutto, ha illustrato l’iter processuale e, in particolare, il contenuto della detta ordinanza di questa Corte, che aveva cassato per vizio di motivazione la decisione impugnata, la quale, dopo avere interpretato il contenuto contrattuale definendo il premio o bonus ivi previsto come “incentivo al raggiungimento di determinati obbiettivi di vendita”, era pervenuta all’apodittica e contraddittoria conclusione che si trattasse di un vero e proprio “sconto commerciale”, discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità che ravvisa il presupposto del “premio” anche nella funzione di incentivare le vendite.
La Corte territoriale, quindi, ha condiviso l’approdo ermeneutico della prima sentenza d’appello, secondo cui, nella specie, si trattava di un “premio o bonus” riconosciuto ai cessionari e non di uno “sconto o abbuono commerciale” sul prezzo della fornitura; conseguentemente, essa ha riformato la decisione di primo grado e ha annullato l’atto impositivo.
Per la cassazione ricorre l’Agenzia delle entrate, con due motivi, cui la contribuente resiste con controricorso.
La società ha depositato una memoria ex art. 380-bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Omissione totale di motivazione (violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi, e comunque omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Con il complesso motivo, articolato in tre distinti rilievi critici, si denuncia, in primo luogo, l’error in procedendo della decisione impugnata che, in violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non si sarebbe uniformata a quanto statuito dalla Corte, che aveva prescritto al giudice del rinvio di motivare adeguatamente la conclusione giuridica per la quale il bonus contrattualmente riconosciuto da Promatech Spa alle cessionarie dei suoi prodotti era qualificabile come uno sconto sul corrispettivo originariamente fatturato, dal quale scaturiva, per l’emittente le note di credito, la detraibilità dell’IVA entro i limiti del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2.
In secondo luogo, si deduce l’omissione totale della motivazione in quanto la decisione della CTR non spiegherebbe perchè le clausole contrattuali debbano essere interpretate come incentivo per il raggiungimento di determinati obiettivi di vendita, per pervenire all’erronea qualificazione giuridica dell’incentivo come premio, anzichè come sconto.
Per concludere, si fa valere il vizio di omessa o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi della vertenza, consistenti nell’esegesi delle pattuizioni contrattuali intercorse tra le parti che, se correttamente interpretate, avrebbero dovuto condurre alla conclusione che esse contemplavano uno sconto praticato da Promatech Spa alle proprie aventi causa, al maturare di determinati volumi di vendite, e non un generico corrispettivo per obbligazioni di fare (promozione delle vendite), assunte dalle cessionarie verso la cedente Promatech Spa.
1.1. Il motivo, nella sua triplice articolazione, è infondato.
1.1.1. L’Agenzia non ha colto appieno il contenuto precettivo della surrichiamata ordinanza di rinvio che, in sintesi, ha (pressochè testualmente) stabilito che: a) l’impugnata sentenza della CTR fondava la propria ratio decidendi sull’affermazione che “il bonus o premio” previsto nei contratti non è corrisposto “a titolo di compenso per operare in esclusiva con i prodotti della Promatech Spa”, ma è previsto solo “quale incentivo al raggiungimento di determinati obiettivi di vendita” trattandosi quindi di “vero e proprio sconto commerciale”; b) la Corte, con specifico riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, ha più volte ribadito i confini tra “sconto (od abbuono) commerciale” praticato dal cedente sul prezzo di fornitura – in conseguenza del quale il cedente ha diritto di portare in detrazione, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, l’IVA corrisposta sulla nota di variazione, previa registrazione della stessa – e “premi o bonus” riconosciuti ai cessionari, periodicamente od a fine rapporto, per il raggiungimento di specifici obiettivi o risultati (ad es. volume di affari; ampliamento della clientela; numero di contratti; penetrazione territoriale del mercato, ecc.), ove contrattualmente predeterminati, statuendo che, mentre lo “sconto” è una componente che incide direttamente sul prezzo della merce compravenduta o del servizio scambiato, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni compiute, il “premio di fine anno” è, invece, un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 5.3.2007n. 5006; id. 5^ sez. 19.3.2007n. 6475); c) la CTR, dopo aver interpretato il contenuto contrattuale definendo il premio o bonus ivi previsto come “incentivo al raggiungimento di determinati obiettivi di vendita”, ne ha tratto la apodittica conclusione che “trattasi di vero e proprio sconto commerciale”, senza sviluppare alcuna argomentazione logico-giuridica a sostegno di tale “decisum” ed impedendo così la verifica dell’iter logico seguito per pervenire alla indicata conclusione, in evidente violazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali; d) l’affermazione della CTR, secondo cui si tratta di “sconto sul prezzo” (e sotto tale aspetto risultando la motivazione contraddittoria, non consentendo l’apprezzamento logico delle ragioni della decisione: Corte Cass. SU 27.12.2009 n. 13045; id. SU 21.12.2009 n. 26825) collide coll’indicata giurisprudenza di legittimità che ravvisa il presupposto del “premio” anche nella funzione di incentivazione alle vendite.
In altri termini, la Corte ha censurato il vizio di motivazione della sentenza impugnata che, una volta interpretato il contratto nel senso che il premio (o bonus) in esso previsto fosse un incentivo per il raggiungimento di determinati volumi di vendita, è pervenuta alla contraddittoria conclusione che si trattasse di un vero e proprio sconto commerciale.
La CTR, nel giudizio di rinvio, conformandosi al dictum di questa Corte, ha dichiarato di condividere la definizione del precedente giudice d’appello secondo cui si era in presenza di premi e bonus e non di sconti – aspetto, quello dell’esegesi della clausole negoziali, che la Cassazione non aveva messo in discussione, trattandosi di apprezzamento di fatto, insindacabilmente rimesso al giudice di merito – ed è poi pervenuta alla conclusione, ineccepibile sul piano logico-giuridico, che l’aliquota IVA applicata dalla contribuente fosse corretta e che quest’ultima avesse diritto ad una detrazione d’imposta maggiore di quella riconosciutale dal Fisco, il cui atto impositivo era, pertanto, illegittimo.
1.1.2. Del pari infondate, per quanto si è appena stabilito, si appalesano le censure mosse dall’Ufficio all’apparato argomentativo della sentenza impugnata che, fatta propria la linea interpretativa adottata dalla precedente CTR circa il contenuto delle clausole pattizie, si è limitata a trarne le necessarie conseguenze giuridiche, sicchè, come suaccennato, ha riconosciuto la legittimità della detrazione dell’IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 3.
2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 1 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
L’Ufficio si duole della sentenza impugnata che avrebbe violato tali norme poichè, da un lato, avrebbe ravvisato il diritto alla detrazione dell’IVA ordinaria al 20% sul bonus, ma contemporaneamente avrebbe riconosciuto che la causa del pagamento del bonus non risiedeva in un obbligo di fare, con ciò, in sostanza, attestando che l’erogazione del denaro avveniva gratuitamente, a titolo di sconto.
2.1. Il motivo è infondato.
Di nuovo l’Agenzia non si misura compiutamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata che, giova ripeterlo, senza discostarsi dal solco tracciato dalla precedente CTR, ha interpretato il contratto inter partes nel senso che la cedente Promatech Spa riconosceva alle proprie aventi causa un premio o bonus, a titolo di incentivo per il raggiungimento di determinati volumi di vendita, e, ancora, uniformandosi all’insegnamento della Corte (ribadito dalla detta ordinanza di rinvio), ha reputato legittima l’aliquota IVA prescelta dalla contribuente ai fini della detrazione fiscale che, in progresso di tempo, è stata erroneamente rettificata dall’Organo impositore.
3. In definitiva, il ricorso va rigettato.
4. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate a pagare alla contribuente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forferatio delle spese generali, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018