Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27623 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26933/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Dalmata s.p.a., già Dalmata s.r.l.. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Trivoli, come da procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio Trivoli

& Associati, in Roma, Via Marocco, n. 18;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, n. 34/2012, depositata il 27 giugno 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate emetteva il 23-12-2008 avviso di accertamento notificato alla Dalmata s.p.a. (già Dalmata s.r.l.) il 29-12-2008, dopo un accesso del 23-12-2008, con riferimento all’anno 2003 (dichiarazione del 2004), disconoscendo un credito di imposta, in relazione a dividendi distribuiti dalla Parmalat alla Dalmata, pari ad Euro 4.016.805, in due occasioni, il 29-42003 (dividendo ordinario) ed il 24-9-2003 (dividendo straordinario), con crediti di imposta nella percentuale del 56,25 % dei dividendi distribuiti (dividendi pari a complessivi Euro 7.140.986,98). Gli utili, in realtà, non erano stati percepiti dalla Dalmata, in quanto non vi era stata compensazione di tale credito con l’asserito credito della Parmalat per l’apertura di credito concessa dalla Dalmata ex art. 1842 c.c., non essendo sorto tale ultimo credito con la mera messa a disposizione delle somme, senza prelievo.

2. Proponeva ricorso la Dalmata s.p.a. evidenziando che ravviso era stato emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni, ribadendo la spettanza del credito di imposta sui dividendi distribuiti dalla Parmalat ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, commi 1 e 4.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso per il mancato rispetto del termine di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

4. Proponeva appello l’Agenzia delle entrate riproponendo le questioni di merito non affrontate dalla Commissione provinciale perchè assorbite dall’accoglimento del motivo relativo al mancato rispetto del termine di sessanta giorni.

5. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello della Agenzia delle entrate, evidenziando che il mancato rispetto del termine di sessanta giorni era privo di sanzione, che la Dalmata era creditrice dei dividendi da parte della Parmalat, che la Dalmata aveva stipulato con la Parmalat un contratto di apertura di credito, mettendo a disposizione di questa la somma di 140.000.000 di Euro, che la Parmalat, quindi, a seguito di tale contratto, era titolare di un diritto di credito verso la Dalmata, che il debito della Parmalat per il pagamento dei dividendi alla Dalmata si era estinto con la compensazione con il credito della Parmalat sorgente dal contratto di apertura di credito, che il debito di Parmalat era stato registrato nell’ambito della movimentazione del credito vantato in base al contratto di apertura di credito, come da registrazioni contabili eseguite dalla Dalmata.

6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

7. Resisteva la contribuente con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato.

7. Depositavano memoria scritta sia l’Agenzia delle entrate che la Dalmata s.p.a.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1482 c.c. e dell’art. 14, commi 1 e 5 TUIR (nel testo vigente nel 2003) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto tra le parti è stato stipulato un contratto di apertura di credito ai sensi dell’art. 1842 c.c., per cui non è vero che la Parmalat, in cui favore era stato stipulato il contratto, era titolare di un diritto (potestativo) di credito verso la Dalmata, da compensare con il debito della Parmalat verso la Dalmata per il pagamento dei dividendi. Al contrario, tale credito non sussisteva, in quanto ai sensi dell’art. 1482 c.c., con l’apertura di credito la Dalmata si era obbligata a mettere a disposizione della Parmalat una somma di denaro. Semmai, la Parmalat aveva la facoltà di rendersi debitrice della Dalmata, ove avesse prelevato o utilizzato le somme messe a sua disposizione. Non vantando alcun credito la Parmalat verso la Dalmata da apertura di credito, in assenza di qualsiasi prelievo, non poteva operare la richiamata compensazione. Con l’eventuale utilizzo delle somme, poi, sarebbe nato un diritto di credito, ma non in capo alla Parmalat, che sarebbe divenuta debitrice, della restituzione delle somme prelevate, ma in capo alla Dalmata, che aveva erogato il denaro. Non essendovi stata compensazione, non era sorto il diritto al credito di imposta. I dividendi sono rimasti nella disponibilità di Parmalat, che non ha distribuito i dividendi a Dalmata.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Motivazione insufficiente e contraddittoria su un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione regionale non ha considerato che il conto intercompany P.H.10.01 non aveva alcun riscontro a livello bancario. Inoltre, l’esercizio 2003 si apre con un credito di Dalmata verso Parmalat e si chiude allo stesso modo, mentre l’unica differenza è solo l’ammontare del denaro di cui Parmalat è debitrice a fine 2003, non essendo in alcun modo indicati crediti di Parmalat verso Dalmata, ma solo, appunto, debiti da sommare tra loro. La natura del contratto di apertura di credito esclude l’esistenza di crediti in favore di Parmalat.

2.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

2.2. Anzitutto, si rileva che, essendo intervenuta una pronuncia espressa della Commissione tributaria regionale sulla questione preliminare di merito, relativa al mancato rispetto del termine di dilazione di sessanta giorni ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 prima della notifica dell’avviso di accertamento (con espressa decisione di esclusione delle sanzione della nullità dell’avviso), deve essere affrontato prioritariamente il ricorso principale articolato dalla Agenzia delle entrate (Cass.Civ., Sez.Un., 25 marzo 2013, n. 7381; Cass.Civ., Sez.Un.,6 marzo 2009, n. 5456; Cass.Civ., 14 marzo 2018, n. 6138; Cass.Civ., 6 marzo 2015, n. 4619). L’esame del ricorso incidentale condizionato è ammesso con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice del merito. Il ricorso incidentale condizionato, dunque, in caso di decisione espressa del giudice di merito sulla questione preliminare o pregiudiziale, va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.

2.3. Quanto al merito, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, comma 1, nella versione vigente ratione temporis, con riferimento all’anno di imposta 2003, prevede che “se alla formazione del reddito complessivo concorrono utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società o dagli enti indicati nell’art. 87, comma 1, lett. a e b al contribuente è attribuito un credito di imposta pari al 56,25 %, per le distribuzioni deliberate a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 10/1/2001…dell’ammontare degli utili stessi nei limiti in cui trova copertura nell’ammontare delle imposte di cui all’art. 105, comma 12, lett. a e b”.

nell’art. 14, comma 5 suddetto si legge che “La detrazione del credito di imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui gli utili sono stati percepiti e non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata”.

E’ pacifico tra le parti che la Parmalat abbia deliberato la distribuzione di utili in favore della Dalmata s.p.a., con due successive Delib. 29 aprile 2003 e Delib. 24 settembre 2003, la prima per Euro 865.574,18 (dividendo ordinario) e la seconda per Euro 6.275.412,80 (dividendo straordinario), con attribuzione di un credito di imposta nella misura, quindi, del 52,25% degli utili, pari ad Euro 4.016.805 (dal 30-9-2003 il credito di imposta è ridotto in base al d.l. 269/2003, convertito in legge 326 del 2003, dovendosi avere riguardo alla data di registrazione della delibera di distribuzione degli utili, come da Cass.Civ., 19 gennaio 2017, n. 1411).

Vi era, dunque, un credito di Dalmata nei confronti di Parmalat per la distribuzione dei dividendi. Il credito di imposta sarebbe sorto solo in caso di effettiva percezione dei dividendi da parte di Dalmata.

Tra le due società, inoltre, è stato stipulato un contratto di apertura di credito tra Dalmata e Parmalat, con il quale la prima ha messo a disposizione della seconda la somma di Euro 140.000.000.

Ai sensi dell’art. 1842 c.c., dunque, se Parmalat avesse prelevato le somme di cui al contratto, messe a sua disposizione da Dalmata, Parmalat sarebbe divenuta “debitrice” nei confronti di Dalmata. Il prelievo è l’esercizio del diritto potestativo di Parmalat di acquisite le somme messe a disposizione, con obbligo di restituzione.

La Commissione regionale, invece, erroneamente, per dimostrare la avvenuta percezione dei dividendi da parte di Dalmata, ha ritenuto che “tra i due soggetti esisteva sia una posizione creditoria di Parmalat verso Dalmata sulla base del contratto di apertura di credito ancora in vigore al 31.12.2003 fino a 140 milioni sia una posizione debitoria della stessa Parmalat per il dovuto pagamento di dividendi per Euro 7.140.987”.

In realtà, non vi era alcuna posizione “creditoria” di Parmalat in base al contratto di apertura di credito.

Infatti, l’eventuale credito (ma della società che mette a disposizione la somma non di quella che preleva) origina solo dal prelievo delle somme messe a disposizione (Cass.Civ., 22 marzo 1994, n. 2742, in motivazione; Cass.Civ., 11 novembre 2010, n. 22915).

Prima del prelievo effettivo delle somme, vi è solo il diritto potestativo della società in cui favore sono messe a disposizione le somme di divenire “debitrice” dell’altra, non creditrice.

Inoltre, una volta prelevate le somme origina un debito di restituzione in capo alla società che ha effettuato il prelievo. Il vero rapporto obbligatorio, in regione del quale l’accreditante può dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto nel momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione (Cass.Civ., 9 settembre 2004, n. 18182).

Pertanto, non vi è un credito della Parmalat risultante dal contratto di apertura di credito.

Ciò non consente alcuna compensazione tra le parti, in quanto Parmalat ha in realtà due debiti nei confronti di Dalmata, uno per il pagamento degli utili, l’altro (una volta effettuato il prelievo delle somme messe a disposizione) per la restituzione di tali somme.

2.4. La motivazione della sentenza della Commissione regionale è, poi, anche insufficiente e contraddittoria. Infatti, non tiene conto che le registrazioni contabili eseguite dalle società, dalle quali risulta l’avvenuta compensazione, in realtà non hanno riscontro nei movimenti bancari.

La Commissione ritiene che “attraverso il conto ***** è stato registrato questo debito di Parmalat verso Dalmata nell’ambito della movimentazione del credito in base al contratto relativo e ciò risulta dalle registrazioni contabili eseguite dalla società ricorrente in data 7.05. e 26.9.2003 nonché dalla certificazione relativa agli utili corrisposti trasmessa dalla Parmalat a Dalmata”. In tal modo, per la Commissione “è indubbio…che sia avvenuta la compensazione tra gli utili percepiti e regolarmente esposti nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel quale sono stati contabilizzati e la posizione debitoria esistente sulla scorta della movimentazione del contratto di apertura del credito…”.

In realtà, però, da un lato, alla registrazione contabile delle società non corrispondono movimenti bancari di identico tenore, non avendo Parmalat prelevato le somme messe a disposizione da Dalmata, e dall’altro, non vi è alcun debito di Dalmata da compensare con il credito di questa ad ottenere i dividendi, in quanto non v’è stato il prelievo delle somme e se vi fosse stato la Dalmata sarebbe stata creditrice della restituzione delle somme e non certo debitrice.

Inoltre, risulta che l’esercizio 2003 si è aperto con un credito di Dalmata verso Parmalat che è aumentato sino alla chiusura, senza alcuna riduzione per eventuali crediti di Parmalat.

2.5. Né può richiamarsi quanto affermato da questa Corte nelle ordinanze 13933 del 2018 e 15477 del 2018, come invece ritenuto dalla società Dalmata s.p.a. nella memoria scritta depositata. Infatti, in quella fattispecie, era stato “stipulato il contratto di cash pooling, da intendersi come un contratto di tesoreria accentrata che costituisce uno strumento per la gestione dei flussi finanziari…” ed era stato anche accertato che “vi era stata effettiva corresponsione da parte della società italiana dei dividendi che risultavano essere stati incassati dalla società francese, come risultava dall’estratto delle scritture contabili certificato dalla società di revisione”.

Pertanto, vistose sono le differenze con il caso in esame, in cui non v’è stata la stipulazione del contratto di cash pooling tra le due società, né risulta l’incasso effettivo delle somme da parte della Dalmata s.p.a.

3 .Con il ricorso incidentale condizionato la società deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7,comma 1 e art. 12, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Commissione regionale ha errato nel ritenere che il mancato rispetto del termine di sessanta giorni, tra il rilascio al contribuente del verbale dell’avvenuto accesso e l’emissione dell’avviso di accertamento, fosse privo di sanzione.

3.1. Tale motivo è fondato.

3.2. La fondatezza del ricorso principale rende, ora, attuale l’interesse alla decisione sul ricorso incidentale condizionato predisposto dalla società.

3.3. Anzitutto, si chiarisce che non è contestato tra le parti che vi sia stato un “accesso” presso l’azienda il 23-12-2008 e che non sia stato rispettato il termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 in quanto l’avviso di accertamento è stato emesso sempre il 23-12-2008 e notificato il 29-12-2008.

Tuttavia, per giurisprudenza di legittimità consolidata, confortata anche da una decisione delle sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. Civ., Sez.Un., 29 luglio 2013, n. 18184).

Va anche considerato che, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass.Civ., 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l’amministrazione offrire la come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza, ma, semmai, l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l’attivazione dell’ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l’amministrazione (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come da Cass.Civ., sez. 6-5, 2 luglio 2018, n. 17211).

Peraltro, nella specie, l’avviso di accertamento emesso nel 2008 aveva ad oggetto l’anno 2003, sicché l’Agenzia avrebbe dovuto indicare fatti concreti e precisi che non le avevano consentito di procedere con l’accertamento tempestivamente per evitare la decadenza. La contribuente, peraltro, aveva sollecitato negli anni il recupero del credito di imposta.

Né la sanzione della illegittimità dell’avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva, come invece affermato dall’Agenzia delle entrate nella memoria scritta depositata. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa, non avendo potuto produrre nel ristretto lasso temporale concesso, osservazioni, memorie e documenti. Il termine è infatti stabilito a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi di collaborazione e di buona fede.

La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 dunque, non prevede, per le verifiche svolte nei locali del contribuente, la c.d. prova di resistenza al fine di rendere operante l’invalidità dell’atto emesso senza il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni. Né tale interpretazione contrasta con il diritto comunitario, in quanto il maggior grado di tutela previsto a livello interno per i tributi non armonizzati dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per come interpretato dal diritto vivente di questa Corte, si muove in armonia piena con il principio di massimizzazione delle tutele, che consente ad un singolo ordinamento di apprestare livelli di protezione di un diritto fondamentale, quale è sicuramente quello al contraddittorio, più ampi rispetto a quelli garantiti dal sistema Eurounitario per i tributi non armonizzati.

4. In accoglimento del ricorso incidentale condizionato, con il conseguente rigetto del ricorso principale, l’avviso di accertamento, quindi, deve essere dichiarato illegittimo, in quanto il dispositivo della sentenza della Commissione regionale, che ha respinto l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, è conforme a diritto, dovendo solo essere corretta la motivazione ai sensi dell’at. 384 c.p.c., comma 4.

5. Le spese dell’intero giudizio devono essere interamente compensate tra le parti, in quanto la questione in ordine alla natura della sanzione applicabile per il mancato rispetto del termine dei sessanta giorni è stata risolta solo con la pronuncia delle Sezioni Unite del 2013.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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