Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27624 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20514/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PHANTOM SRL, F.M.;

– intimati –

Nonchè da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA V.LE REGINA MARGHERITA 262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARSICO, rappresentato e difeso dagli avvocati ALESSANDRA STASI, DOMENICO FARINA;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, PHANTOM SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 286/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di FOGGIA, depositata il 05/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/10/2018 dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente procedimento trae origine da una verifica fiscale svolta nei confronti della società Phantom s.r.l. (conclusasi con processo verbale di constatazione del *****), all’esito della quale l’Agenzia delle entrate emetteva diversi avvisi di accertamento per differenti annualità (1997, 1998 e 1999) con cui accertava in capo alla società maggiori redditi di impresa e di produzione, nonchè una maggiore IVA da versare. Con riferimento agli avvisi relativi alle annualità 1998 e 1999 venivano anche comminate sanzioni al legale rappresentante della società (all’epoca F.M.) quale autore materiale delle violazioni. Gli avvisi venivano distintamente opposti dalla società ed in proprio dal legale rappresentante. Con sentenza 4/6/2006 la CTP di Foggia, previa riunione, accoglieva il ricorso Irpeg-Ilor 1997; accoglieva parzialmente i ricorsi relativi all’IVA 1997, nonchè quelli relativi a Irpeg-Irap-IVA 1998 e 1999; dichiarava, limitatamente alle sanzioni comminate al F.M. quale autore materiale delle violazioni, l’inefficacia del condono tombale da questi presentato ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, stante la presenza di condizioni ostative. Contro tale decisione presentava appello la società ed il F.M. per la parte non accolta nei rispettivi ricorsi. Anche l’Agenzia delle entrate presentava appello incidentale su tutti i capi sfavorevoli della decisione di primo grado. Con sentenza n. 286 del 22/6/2010 la C.T.R. di Bari, Sez. distaccata di Foggia, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti di cui ai processi RGA nn. 394/06 e 1924/06, così provvedeva: “accoglie parzialmente l’appello RGA nn. 1924/06 proposto dai contribuenti (la società Phantom s.r.l. ed il legale rappresentante F.M.), così come esposto nei motivi della sentenza. Accoglie l’appello RGA n. 394/06 proposto da F.M.. Spese di giudizio interamente compensate tra le parti”. In particolare, la CTR quanto all’IVA confermava la decisione di primo grado che, a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti, aveva negato alla società il diritto alla detraibilità dell’imposta, riconoscendo, però, la deducibilità dei costi sostenuti ai fini della complessiva determinazione del reddito imponibile; quanto alle sanzioni comminate al F.M. quale autore delle violazioni, in riforma della sentenza di primo grado, ne accertava la condonabilità, ritenendo sussistenti i presupposti per la definizione agevolata di cui alla L. n. 289 del 2002 (art. 9, comma 10) e, in ogni caso, ne asseverava la non debenza in forza dell’operatività del principio di specialità contenuto nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19, attesa l’intervenuta condanna del F.M., con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Firenze del 29/9/2005, alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione per gli stessi fatti per i quali l’Agenzia delle entrate aveva irrogato la sanzione amministrativa. Tanto premesso, l’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza di appello con cinque motivi: con il primo censura la decisione impugnata nella parte in cui, a fronte di una contabilità inattendibile, ha escluso che l’Ufficio potesse fare ricorso all’accertamento induttivo per la determinazione del reddito di impresa (non solo ai fini IVA, ma anche ai fini IRPEG ed IRAP); con gli altri quattro, attinenti al tema della responsabilità personale dell’autore delle violazioni per il pagamento delle sanzioni, lamenta la riconosciuta applicabilità del condono tombale (di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9) ovvero del principio di specialità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19. Controricorre F.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Phantiom s.r.l., il quale, con riguardo a quanto statuito a favore della società, eccepisce, in primis, l’inammissibilità del primo motivo di ricorso non essendo l’atto stato notificato presso la curatela, in ragione dell’intervenuto fallimento della società e, in subordine, ne chiede il rigetto per infondatezza. Con riguardo a quanto stabilito a suo favore dalla sentenza gravata, chiede il rigetto dei restanti motivi, con vittoria delle spese di lite da distrarsi direttamente in favore dei difensori costituiti. Con ricorso incidentale chiede poi la cassazione con rinvio della sentenza della CTR nella parte in cui ha disconosciuto il diritto della società Phantom s.r.l. alla detrazione dell’IVA pagata in favore dei propri fornitori stante la buona fede che ha sorretto le operazioni di acquisto della merce. In via gradata chiede “la rimessione della causa ad altra sezione della CTR di Bari, sezione distaccata di Foggia”. Con memoria ex art. 378 c.p.c., l’Agenzia delle entrate ha insistito sull’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso; ha inoltre evidenziato come dagli elementi valorizzati dal giudice del merito risulti l’interposizione fittizia dell’operazione negoziale e l’assenza di buona fede della predetta società, con conseguente indetraibilità dell’IVA. Anche la parte resistente, con memoria ex art. 378 c.p.c., ha insistito sulle proprie conclusioni; quanto alle sanzioni comminate al F., laddove la Corte non ritenesse applicabile il condono ovvero l’operatività del principio di specialità, evidenzia come la preclusione a detrarre l’IVA si atteggi già ad una sanzione e quindi applicare ulteriori sanzioni al legale rappresentante in ragione di violazioni comunque attinenti all’IVA (nella specie infedele dichiarazione relativa a detta imposta) costituisca una ingiustificata doppia imposizione. Pertanto, ha chiesto di rimettere la causa alla Corte di giustizia al fine di verificare se sia proporzionata al corretto funzionamento dell’IVA una legislazione che aggiunga alla sanzione costituita dall’indetraibilità dell’IVA da parte della società acquirente, altre sanzioni a carico del legale rappresentante di detta società ed anche delle società fornitrici. In via ulteriormente gradata, laddove non si ritenesse operativo il principio di specialità, ha chiesto rimettersi gli atti alla Corte costituzionale perchè, stante la natura omogenea (sanzionatoria di carattere penale) tra la sanzione amministrativa pecuniaria inflitta al F. quale legale rappresentante e quella della reclusione al medesimo inflitta dal Tribunale di Firenze per gli stessi fatti, valuti la compatibilità dell’art. 649 c.p.p., in relazione al divieto convenzionale del ne bis in idem. Tanto premesso, deve anzitutto essere rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Il primo motivo di ricorso con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni in tema di accertamento induttivo dei redditi di impresa ed il correlativo vizio di motivazione è manifestamente infondato. Il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Ufficio, per come riconosciuto anche dalla stessa Agenzia a pag. 12 del ricorso, si basa sul presupposto che l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti rendesse totalmente inattendibile la contabilità e che l’interposizione fittizia avesse comportato un vantaggio fiscale non solo ai fini IVA ma anche dell’IRPEG e dell’IRAP. Trattasi tuttavia di un assunto che risulta essere stato smentito dalla Corte territoriale sulla scorta degli elementi di prova acquisiti e con il quale l’Agenzia ricorrente omette anche di confrontarsi. La sentenza impugnata, mediante motivazione congrua e scevra da vizi logici, ha esplicitamente escluso che nel caso in esame ci si trovi dinanzi ad un meccanismo assimilabile a quello delle fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti (mancando l’individuazione di quello che sarebbe stato il reale cedente comunitario) e che, pertanto, si potesse far ricorso al meccanismo presuntivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 2. Correttamente, pertanto, è stata riconosciuta la deducibilità dei costi sostenuti dalla Phantom s.r.l. per l’acquisto dei beni di cui alle relative fatture, in quanto la consapevolezza da parte della società di acquistare beni a prezzi di mercato più bassi in ragione della sistematica evasione dell’IVA da parte dei suoi fornitori, se da un lato rende l’imposta sul valore aggiunto indetraibile, non incide, dall’altro, sulla realtà dell’operazione economica e sul pagamento del corrispettivo in cambio della consegna della merce, per cui il costo dell’operazione, ove imputato al conto economico, può concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell’esercizio dell’attività d’impresa e sempre che non venga utilizzato per il compimento di un delitto non colposo. L’infondatezza del primo motivo di ricorso rende assorbita la censura di inammissibilità dell’impugnazione sollevata a tale riguardo dalla parte resistente sul rilievo che la notifica del ricorso per cassazione avrebbe dovuto essere effettuata presso la curatela della società, nelle more fallita e non presso i difensori della Phantom. Peraltro, sul punto, la doglianza risulta inammissibile poichè non tiene conto e non si confronta con quanto affermato nella sentenza impugnata laddove si è esclusa la necessità di un intervento sostanziale nel processo degli organi della procedura fallimentare in ragione del disinteresse manifestato nei confronti della vertenza tributaria, riconoscendosi, al contempo, l’interesse sostitutivo della società e dei suoi organi alla prosecuzione del processo. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso con cui l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di condono tombale (L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 14,) sul rilievo che osterebbe all’effetto estintivo il fatto che esse attengono non all’attività professionale e ai redditi personali del legale rappresentante ma alle violazioni commesse nella qualità di amministratore della società Phantom s.r.l.. Tale asserita preclusione risulta smentita dalla lettera della norma che, all’art. 9, comma 10, stabilisce che l’effetto estintivo riguarda le sanzioni amministrative tributarie, ivi comprese quelle accessorie, ossia qualsiasi sanzione tributaria personale del soggetto che presenta la domanda. Nel caso in esame, le sanzioni tributarie comminate al F. sono state al medesimo irrogate, con distinti voci dei diversi avvisi di accertamento, quale “autore materiale per le sanzioni”. Inammissibile e infondato è anche il terzo motivo di ricorso con cui l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione sempre delle disposizioni in materia di condono tombale (nella specie della L. n. 289 del 2002, artt. 9,15 e 16) sul rilievo che la definizione agevolata sarebbe stata preclusa dalla circostanza dell’avvenuta notifica alla parte tanto di un pvc con esito positivo quanto della pendenza di una lite fiscale. La ricorrente omette quanto all’anno 1998 di confrontarsi con quanto specificato nella sentenza impugnata, ove si è affermato che nessuna preclusione può ricondursi ad un pvc notificato alla parte (nella specie il 20/12/2001) se avvenuto nella sua qualità di legale rappresentante della società, a fronte, invece, di sanzioni irrogate per fatto commesso dall’amministratore avente anche rilievo penale. Nè, sempre con riferimento a detta annualità, l’effetto preclusivo può ricondursi all’avviso di accertamento notificato alla società nel 2002, posto che si trattava di atto di irrogazione di sanzioni e non di accertamento di imposte dirette. Quanto, poi, all’avviso di accertamento per l’anno 1999 la sentenza precisa come la domanda di condono sia stata presentata in data antecedente all’avviso di accertamento con cui si contestavano le violazioni e si irrogavano le sanzioni. Infondato è anche il quinto motivo di ricorso con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione del principio di specialità stabilito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19. La doglianza attiene all’ultimo argomento in base al quale la CTR ad abundantiam ha comunque giustificato l’esclusione della responsabilità personale del F.M. per il pagamento delle sanzioni proprio sulla scorta di detto principio. Si è infatti motivatamente dato atto di come il F. sia stato condannato con sentenza penale di applicazione pena per i medesimi fatti di cui alle sanzioni tributarie irrogate, a nulla rilevando che il fatto sia stato commesso sotto il vigore della precedente L. n. 516 del 1982, in quanto sussumibile nell’alveo del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti), fattispecie che rientra espressamente nel catalogo di quelle per cui opera a norma dell’art. 19 il principio di specialità. Del resto, la stessa giurisprudenza penale ha ricondotto nell’ambito della fattispecie di cui al D.Lgs. cit., art. 2 anche le ipotesi di fatturazione soggettivamente falsa (vedi ex multis Sez. 3 penale, sentenza n. 47823 del 17/10/2017). Resta, pertanto, assorbito il quarto motivo di ricorso con cui l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, sul rilievo che la domanda di condono non varrebbe ai fini IVA in ragione del contrasto con la normativa comunitaria. Al riguardo va precisato che l’IVA esposta sulle fatture, per quanto asseverato dalla stessa CTR, è stata considerata comunque indetraibile proprio perchè la Phantom era consapevole che i propri fornitori non avrebbero versato tale imposta, avvantaggiandosi di tale comportamento acquistando a prezzi molto bassi, così potendo rivendere a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato. Va, infine rigettato anche il controricorso incidentale spiegato dalla parte resistente F.M.. Risulta, infatti infondato il motivo con cui deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e 60-bis ed il correlativo vizio di motivazione, laddove la Corte territoriale è pervenuta a disconoscere alla società Phantom s.r.l. la detrazione IVA sulle fatture di acquisto dei beni pur avendo escluso che queste si riferissero ad operazioni soggettivamente inesistenti. Nella sentenza impugnata, infatti, si è dato correttamente atto di come l’indetraibilita dell’IVA tragga origine dalla consapevolezza della società Phantom di acquistare dei beni dai propri fornitori ad un prezzo inferiore proprio in ragione dell’evasione dell’IVA ad opera di quest’ultimi (nel solco della c.d. frodi carosello). La società Phantom non solo ha dunque omesso di adottare tutte le (ragionevoli) misure per assicurarsi che l’operazione non comporti una partecipazione all’evasione ma vi ha consapevolmente concorso. Detta società è dunque strumento dell’ordito creato dalle società fornitrici per evadere il Fisco e di ciò ha approfittato avvantaggiandosene. Del resto, la stessa giurisprudenza comunitaria ha ben evidenziato come sia dovere degli operatori economici assicurarsi di non trattare con soggetti evasori (C. 409/04 del 27.9.2007; C. 271/06 del 21.2.2008). Nè sul punto è ravvisabile alcun vizio di motivazione, in quanto l’affermazione circa la consapevolezza della Phantom s.r.l. delle operazioni volte alla sottrazione del debito di imposta lungi dal poggiare su una mera affermazione di principio risulta invece fondarsi sugli indizi portati dall’Agenzia e valorizzati dalla sentenza che, pur non essendo idonei a dimostrare la natura soggettivamente inesistente delle operazioni, ne asseverano la natura illecita. Nè, infine, può ritenersi che il diniego in capo alla Phantom s.r.l. del diritto alla detrazione dell’IVA rappresenti una sanzione che assorbe il disvalore di quelle applicate al legale rappresentante per infedele dichiarazione o per indebita detrazione, in quanto quest’ultime sono strettamente connesse alla violazione degli obblighi che gravano specificatamente su detta qualità e in ragione di una diversa ed autonoma illecita condotta. In conclusione, vanno rigettati il ricorso dell’Agenzia delle entrate ed il ricorso incidentale del rag. F., confermandosi la sentenza impugnata. Quanto alle spese del presente giudizio ritiene il Collegio di disporne la compensazione tra le parti per la complessità delle questioni trattate e la soccombenza reciproca.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate ed il ricorso incidentale di F.M.. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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