Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27628 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1131-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** SPA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE CASALINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 102/2010 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 15/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/10/2018 dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza n. 102 del 10/10/2010 della C.T.R. di Venezia-Mestre, Sez. 1, che, in accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento della società *****, annullava gli avvisi di accertamento IVA/IRPEG/IRAP per gli anni 2000, 2001 e 2002, basati sul pvc della G.d.F. del 30.11.2014, con i quali l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, aveva ripreso a tassazione versamenti e prelievi non giustificati in conto corrente. Con vittoria delle spese di giudizio.

Controricorre il Fallimento ***** s.p.a., il quale chiede di respingere il ricorso in quanto inammissibile e/o infondato, con vittoria di spese per il presente giudizio e di quelli di merito.

Tanto premesso, il ricorso è fondato.

Va anzitutto precisato come nella sentenza impugnata la violazione dello statuto del contribuente che ha determinato l’illegittimità degli avvisi di accertamento si fondi su due rilievi: il primo attiene alla mancata allegazione del pvc agli avvisi di accertamento, posto che l’atto presupposto della pretesa non era stato redatto alla presenza del curatore, nè a questi notificato in quanto all’epoca la società non era ancora fallita, così precludendogli il confronto tra l’avviso in cui si sostanzia la pretesa erariale e l’atto presupposto; il secondo sul mancato esame della analitica documentazione prodotta dalla curatela in sede di accertamento con adesione, essendosi l’Ufficio limitato, sia prima che dopo la notifica degli avvisi, ad un acritico e generale richiamo alle conclusioni dell’atto compiuto dalla G.d.F..

Tanto premesso, quanto al primo rilievo, fondato risulta il primo motivo di ricorso con cui l’Agenzia delle entrate deduce l’erronea applicazione dell’art. 7 dello statuto del contribuente sul rilievo che l’allegazione del pvc non sarebbe stata necessaria, poichè succedendo il curatore all’amministratore, tutti gli atti compiuti da e verso l’amministrazione gli sarebbero opponibili. Questa Corte ha infatti sul punto affermato che, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento, qualora il prodromico processo verbale di constatazione sia stato notificato al fallito quando era in bonis, l’obbligo di consegna al curatore della documentazione amministrativa dell’impresa fallita lascia ritenere, con presunzione iuris tantum, che anche tale verbale sia pervenuto nella disponibilità del curatore e che quindi sia stato da lui conosciuto; perciò, in tal caso, non è necessario che all’avviso di accertamento sia allegato il processo verbale richiamato (Sez. 5, n. 24254 del 27/11/2015, Rv. 637592; conforme Sez. 5, n. 20166 del 7/10/2016, Rv. 641298).

Quanto, poi, al secondo rilievo, fondati risultano sia il secondo che il terzo motivo di ricorso con cui si lamenta rispettivamente la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e delle disposizioni in materia di accertamento con adesione e conciliazione giudiziale (D.Lgs. n. 218 del 1997). Quanto alla mancata istruttoria sui contenuti del pvc che sarebbero superati dagli specifici rilievi della parte (la gran parte contenuti in una copiosa documentazione depositata successivamente alla notifica degli avvisi di accertamento), la sentenza impugnata ne fa discendere erroneamente un profilo di illegittimità della motivazione dell’avviso di accertamento, la quale invece deve ritenersi soddisfatta dal rinvio per relationem al contenuto dell’atto presupposto, conosciuto dal contribuente. Non deve, infatti, essere confusa la validità formale del provvedimento impositivo motivato per relationem col richiamo del pvc, con la fondatezza della pretesa sostanziale, posto che l’esistenza di un’adeguata motivazione non implica anche la prova dei fatti sui quali essa si fonda. Nè poi, può farsi discendere l’illegittimità della pretesa impositiva dal mancato recepimento di tutte o parte delle deduzioni svolte dal contribuente nell’ambito della procedura di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, posto che non sussiste nell’ambito del procedimento con adesione un obbligo giuridicamente sanzionato per l’Amministrazione di confrontarsi con le ragioni del contribuente (v. ex multis: Sez. 5, n. ord. n. 474 dell’11/01/2018, Rv. 646691; Sez. un., n. 3676 del 17/2/2010, Rv. 611633).

Nè, infine, può ritenersi che la CTR abbia comunque ritenuto, con adeguata motivazione, fondato il merito dei rilievi sollevati dalla curatela della società fallita oggetto di specifico motivo di appello – posto che sul punto ha unicamente e genericamente osservato come sia “singolare che nessuna delle giustificazioni offerte fosse utile a dimostrare la correttezza dell’operazione”, omettendo di precisare sotto quale profilo fossero giustificati i movimenti bancari sospetti, alla luce anche della ritenuta infondatezza delle giustificazioni rese non solo ad opera dell’Amministrazione, ma soprattutto del giudice di prime cure. Anche su tale profilo si rivela fondato il ricorso, avendo il ricorrente sollevato con il quarto motivo la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., sotto il profilo della apparenza e, dunque, della mancanza di motivazione.

In conclusione, la decisione impugnata va cassata, restando assorbito per l’effetto il quinto motivo di ricorso con cui si è dedotta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51; competerà alla Corte territoriale esaminare e dare conto della fondatezza o meno della prova contraria offerta dal contribuente e delle censure all’uopo sollevate con l’atto di appello. Al giudice del rinvio va rimessa la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR in diversa composizione; rimette al giudice del rinvio la decisione sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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