Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27630 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27943-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

TECNOFONDI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA P.ZA D’ARACOELI 1, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO MAISTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO CERRATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 17/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/10/2018 dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo per la cassazione della sentenza n. 72/63/2012 della C.T.R. di Milano – Sezione distaccata di Brescia che, rigettando l’appello dell’Ufficio, ha confermato la decisione della CTP di Brescia (sentenza n. 135/2010) che aveva accolto il ricorso della società Tecnofondi s.p.a. avverso l’avviso di accertamento con cui veniva contestata alla società contribuente la contabilizzazione e deduzione dei costi sostenuti, nonchè la relativa detrazione di imposta in relazione ad alcune operazioni d’acquisto di metalli ferrosi, ritenute soggettivamente inesistenti. Chiede che la sentenza impugnata venga cassata, decidendosi anche il merito della controversia rigettando l’originario ricorso proposto dalla contribuente, con vittoria delle spese di giudizio.

Controricorre la società Tecnofondi s.p.a. in persona del legale rappresentante chiedendo di respingere il ricorso in quanto infondato, con vittoria di spese per l’intero giudizio. Titola anche l’atto come “ricorso incidentale”, ma omette di svolgere i relativi motivi (vedi pagg. 1-21).

Con memoria ex art. 378 c.p.c., la società resistente ha insistito sulle conclusioni e deduzioni sollevate con il controricorso ed “il ricorso incidentale”.

Il ricorso con cui l’Agenza deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 19 e 21, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è fondato.

Anzitutto va precisato che il motivo di doglianza attiene al profilo relativo alla detraibilità dell’IVA delle fatture di acquisto dei beni e non dei relativi costi di cui è stata asseverata dai giudici di merito l’inerenza. Ciò del resto è confermato anche dalla mancanza di qualsiasi doglianza formulata sul punto dall’Agenzia ricorrente, alla luce anche degli orientamenti di questa Corte di legittimità successivamente intervenuti che hanno riconosciuto, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, la relativa deducibilità da parte del cessionario dei beni dei costi se effettivamente sostenuti ed inerenti all’attività di impresa svolta (ex multis Cass., n. 21633 del 26/10/2016, n.m.).

Tanto premesso e così precisato l’oggetto del contendere, con riferimento all’indebita detrazione dell’IVA in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ambito di una “frode carosello”, questa Corte ha affermato, con orientamento che il Collegio condivide, che elementi di fatto quali la mancanza di una struttura operativa presso la sede o l’assenza di dipendenti costituiscono elementi indiziari dell’inesistenza soggettiva del fornitore, che assumono valore riguardo alla presunta consapevolezza del cessionario di partecipare ad un operazione fraudolenta. In tal caso è legittima l’esclusione della detrazione dell’IVA, salvo prova contraria del cessionario di aver agito in buona fede (da ultimo vedi Cass., ord. n. 17161 del 28 giugno 2018). Più in particolare si è affermato sul tema che, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass., n. 10120 del 21/4/2017, Rv. 644043).

Nel caso in esame, l’Ufficio, mediante gli accertamento compiuti dalla G.d.F., ha dimostrato che le fatture provengono da una società da considerarsi “cartiera”, interpostasi fittiziamente tra la società resistente ed il fornitore estero. Ciò in ragione di diversi elementi di carattere fattuale e convergente, quali l’assenza di struttura aziendale (la società non disponeva neppure di un locale deputato allo stoccaggio delle merci), di personale e di mezzi di trasporto (essenziali nell’ambito dell’attività svolta, consistente nella fornitura di materiale ferroso), tanto che lo stesso socio e amministratore unico ha disconosciuto l’attività sociale. In presenza delle suddette circostanze, che danno ragionevolmente conto dell’indebita detrazione, spetta pertanto al contribuente (cessionario) fornire la prova della propria buona fede, al fine di conservare il diritto alla detrazione dell’imposta. La prova, tuttavia, deve essere rigorosa, non essendo sufficiente dimostrare di non essere stato partecipe consapevole della frode, occorrendo invece dare conto di avere rispettato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo ragionevolezza e proporzionalità, essendo irrilevante la regolare contabilità, la regolarità dei pagamenti, e anche la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Così si è escluso che la prova della buona fede del cessionario possa fondarsi sulla sola mancanza di un beneficio economico concreto derivante allo stesso per essere le operazioni commerciali effettuate a prezzi di mercato, trattandosi di elemento esterno alla fattispecie tipica, inidoneo a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., ord. n. 16469 del 21/6/2018, Rv. 649374). Nella sentenza impugnata l’elemento fondante la buona fede è ricavato dall’esiguità delle operazioni in questione rispetto al fatturato della contribuente. Trattasi, invero, di un elemento di carattere generico ed esterno all’operazione che non può dare ragionevolmente conto della rigorosa osservanza del canone della diligenza richiesto in operazioni similari.

Va, pertanto, accolto il ricorso dell’Agenzia, cassandosi la decisione impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto può decidersi la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettandosi l’originario ricorso della società contribuente avverso l’avviso di accertamento con riferimento all’indetraibilità dell’IVA e alle relative sanzioni e ferma restando la deducibilità dei costi sostenuti.

Quanto al “ricorso incidentale”, trattasi di un errore materiale di intestazione dell’atto dovuto alla formulazione di altri ricorsi in cause analoghe (la stessa società nella causa RG n. 27943/2012 ha proposto con un unico atto “controricorso e ricorso incidentale”, indicando ed argomentando i relativi motivi), considerato che non risultano indicati ed argomentati i relativi motivi ed il petitum conclusivo è di solo rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate. Pertanto, le difese “in ordine al ricorso incidentale proposto dalla società in via condizionata all’accoglimento del ricorso principale” contenute nella memoria successivamente depositata dalla società contribuente debbono considerarsi tanquam non esset, in quanto sul punto sono irricevibili stante l’assenza dell’atto presupposto, ossia del ricorso incidentale.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario della Tecnofondi s.p.a. con riferimento all’indetraibilità dell’IVA ed alle relative sanzioni, ferma restando la deducibilità dei costi sostenuti. Condanna la società Tecnofondi al pagamento delle spese del presente grado in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessive Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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