Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27645 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14500/2014 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALSOLDA n. 45/E, presso lo studio dell’avvocato MARCO DI TERLIZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE CHIECO;

– ricorrente –

contro

C.M., elettiva mente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ n. 20, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI MANFREDONIA, rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO SAMPIETRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 278/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 24.10.1987 C.C.L., figlio naturale riconosciuto di C.F., deceduto senza lasciare testamento il *****, evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Trani i fratelli C.L. e C.M. e la loro madre B.N., detta M., invocando la declaratoria della simulazione dell’atto di compravendita in data 11.12.1980 con il quale il de cuius aveva apparentemente venduto, ma in effetti donato, al figlio legittimo C.L. la nuda proprietà della casa paterna, sul presupposto che detto atto fosse lesivo dei diritti degli altri legittimari; la conseguente riduzione della donazione dissimulata, la formazione dell’asse ereditario (comprendente anche un appezzamento di terreno sito in *****) e la sua divisione tra gli aventi diritto secondo le quote di legge.

Si costituiva in giudizio C.L. negando l’esistenza di una donazione a suo favore; si costituiva anche C.M., aderendo invece alla tesi dell’attore. B.N. rimaneva contumace.

Con ricorso del 9.12.1988 C.M. proponeva denunzia di nuova opera nei confronti di C.L., denunciando che costui, essendo proprietario di un immobile confinante con quello oggetto di causa, aveva aperto dei varchi per accedere dal suo appartamento al terrazzo della proprietà contesa, iniziando anche la costruzione di un locale soffitta sopra di esso.

Intervenuta una transazione tra C.C.L., originario attore, e C.L., mediante la quale il secondo aveva acquistato la quota ereditaria del primo, la causa proseguiva soltanto tra C.L. e il germano C.M., il quale dichiarava di costituirsi anche come erede della madre B.N., nel frattempo a sua volta deceduta.

Con sentenza non definitiva dell’8.12.2001, il Tribunale respingeva le domande di simulazione e riduzione per lesione, rimettendo la causa in istruttoria per la divisione dell’asse ereditario, costituito dal solo appezzamento di terreno in *****. Con sentenza definitiva n. 1020 del 2005, il primo giudice attribuiva detto fondo a C.L., ritenendolo non comodamente divisibile, con conguaglio a favore del fratello M., sul presupposto che le quote divisionali fossero pari a 7/9 per L. e a 2/9 per M..

Quest’ultimo, che a suo tempo aveva formulato riserva di impugnazione avverso la sentenza non definitiva, interponeva appello invocando la riforma di ambedue le decisioni. C.L. resisteva al gravame invocandone il rigetto.

Con sentenza non definitiva del 7.3.2012, la Corte di Appello di Bari respingeva l’appello avverso la sentenza non definitiva del Tribunale e rilevava che il C.T.U. nominato in primo grado aveva erroneamente considerato le quote dei due fratelli attribuendo a L. i 7/9 e a M. i 2/9 dell’eredità paterna, senza considerare il concorso della madre alla successione e il fatto che la di lei quota, pari ai 3/9 del totale, si era a sua volta devoluta, a causa del suo decesso avvenuto in corso di causa, ai due figli in parti uguali. Di conseguenza, secondo la Corte territoriale la quota di L. (che conglobava la sua quota dei 2/9 di partecipazione all’eredità paterna, l’identica quota del fratello naturale C.C.L. con il quale era intervenuta la transazione e la metà della quota già di pertinenza della madre, pari ai 3/9) era pari a 11/18, mentre la quota di M. (che conglobava la sua quota dei 2/9 di partecipazione all’eredità paterna e la metà della quota già di pertinenza della madre, pari ai 3/9) era pari a 7/18. Con separata ordinanza, quindi, la Corte territoriale riconvocava l’ausiliario a chiarimenti, precisando che le quote divisionali erano pari a 7/18 per C.M. e ad 11/18 per C.L.. Quest’ultimo contestava detta ordinanza producendo un testamento della madre che lo istituiva erede universale; la Corte barese, con ordinanza interlocutoria, confermava la propria decisione affermando che l’eredità della madre non era necessariamente formata soltanto dalla quota pari ai 3/9 del terreno de quo e che C.L. non aveva contestato la costituzione in giudizio del fratello M. anche come erede della madre, nè aveva prodotto in prime cure il testamento esibito in appello.

Con sentenza definitiva, la Corte di Appello rilevava che M. aveva proposto ricorso immediato per Cassazione avverso la sentenza non definitiva emessa dalla Corte territoriale, limitatamente alle sole statuizioni relative al rigetto delle domande di simulazione e riduzione, per cui la sentenza stessa era passata in giudicato per il resto, ed in particolare per la parte relativa alla formazione delle quote. Riteneva condivisibili le conclusioni del C.T.U. sulla divisione del terreno, secondo le quote fissate dalla predetta sentenza non definitiva, e disponeva in conformità, dividendo il fondo in natura con conguaglio a favore di M., compensando in parte le spese. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.L., affidandosi a due motivi. Resiste controricorso. C.M..

Quest’ultimo ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 324 c.p.c., in relazione alla ritenuta sussistenza, nella sentenza parziale (recte: non definitiva) della Corte di Appello di Bari, di una decisione sulla misura delle quote divisionali dei due coeredi, costituente capo suscettibile di passare in giudicato.

Ad avviso del ricorrente, con la predetta sentenza non definitiva la Corte territoriale avrebbe ravvisato l’impossibilità di decidere sulla divisione proprio in conseguenza dell’errore commesso dal Tribunale, senza peraltro riformare la sentenza di prime cure sul punto relativo all’attribuzione, rispettivamente, a L. di una quota pari ai 7/9 del totale, e a M. di una quota pari ai 2/9 del totale.

La censura è fondata. Ed invero con la sentenza non definitiva n. 245 del 7.3.2012 la Corte di Appello, pur rilevando nella parte motiva l’errore del primo giudice, sostanzialmente consistente nella pretermissione della moglie B.N. dalla partecipazione pro quota all’eredità di C.F., non ha nel dispositivo pronunciato sulle quote, neanche in via implicita, onde sul punto non si è formato alcun giudicato interno.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 457 c.c., in relazione alla devoluzione a B.N. della quota pari ai 3/9 del fondo rustico già appartenuto a C.F., in violazione delle disposizioni testamentarie relitte dalla predetta; l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito appunto dal testamento olografo della B.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 110 e 111 c.p.c., in relazione all’estromissione dalla causa della posizione della predetta B., e per essa dei suoi eredi; la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento alla divisione della quota della successione di C.F. spettante a B.N. tra i di lei figli C.L. e M.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 718 e 720 c.c., in relazione alla ritenuta comoda divisibilità del fondo caduto in successione, operata con riferimento a due quote anzichè a tre.

La censura è solo in parte fondata. Ed invero “Quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sè stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi (Conf. 3014/81, mass. n. 413564; Conf. 339/67, mass. n. 326203)” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2231 del 30/03/1985, Rv. 440114).

Ne discende che “Nel caso di divisioni di beni in godimento comune proveniente da titoli diversi e, perciò, appartenenti a distinte comunioni, è possibile procedere ad una sola divisione, piuttosto che a tante divisioni per quante sono le masse, solo se tutte le parti vi consentano con un atto che, risolvendosi nel conferimento delle singole comunioni in una comunione unica, non può risultare da manifestazione tacita di volontà o dal mero comportamento negativo di chi non si oppone alla domanda giudiziale di divisione unica di tutti i beni delle diverse masse, ma deve materializzarsi in un negozio specifico che, se ha per oggetto beni immobili, deve rivestire la forma scritta ad substantiam, perchè rientrante tra quelli previsti dall’art. 1350 c.c.; conseguentemente, in mancanza di un siffatto negozio, il comportamento tenuto dalla parte che non si è opposta alla domanda di divisione unica nel giudizio di primo grado non impedisce a quest’ultima di proporre appello per denunciare la sentenza che ha accolto tale domanda” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5798 del 15/05/1992, Rv. 477236; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 314 del 09/01/2009, Rv. 606113 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3029 del 06/02/2009, Rv. 606503).

Poichè nel caso di specie non risulta il consenso dei due condividenti ( C.L. e M.) espresso in forma idonea ai sensi dell’art. 1350 c.c., a procedere alla divisione non soltanto dell’eredità paterna, ma anche di quella materna, la quale peraltro neppure ha mai costituito oggetto della domanda di divisione di cui al presente giudizio, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere alla divisione della sola eredità paterna formando tre quote, e precisamente una pari ai 4/9 del totale da attribuire a C.L. (derivante dalla sommatoria delle quote di legge spettanti a costui e al fratello C.C.L.), una pari ai 3/9 del totale da attribuire a B.N., e per essa ai suoi eredi, ed una pari ai 2/9 del totale da attribuire a C.M..

In definitiva, il primo motivo e – in parte – il secondo vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, che dovrà pronunciarsi sulla domanda di divisione dell’eredità di C.F. tenendo conto delle quote divisionali sopra indicate. Il giudice di rinvio pronuncerà anche sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo e, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, anche per le spese del presente grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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