Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27647 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 118/2015 proposto da:

B.S., G.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 114/A, presso lo studio dell’avvocato FRANCO PASCUCCI, rappresentati e difesi dagli avvocati FERNANDO BRACCO, ALFONSO PENZA;

– ricorrenti –

contro

L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI AGOSTINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI AIMAR;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 416/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere ANTONINO SCALISI;

lette le considerazioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L.V., con atto di citazione, ritualmente notificato, evocava in giudizio B.S. e G.M.G., innanzi al Tribunale di Mondovì, asserendo di avere la piena proprietà di una striscia di terreno meglio definita in atti ed ad oggi detenuta da parte convenuta, chiedendo accertamento della proprietà, riconfinamento ed ordine di rilascio della porzione.

Si costituivano i convenuti, contestavano la domanda, eccependo l’usucapione sia ordinaria che abbreviata, quest’ultima in via subordinata.

Svolta la fase istruttoria, precisate le conclusioni, il Tribunale di Mondovì, con sentenza n. 321 del 28-7-2010, respingeva la domanda di parte attrice e condannava la stessa alle spese di causa.

Interponeva appello L., chiedeva nuova escussione dei testi sentiti in prime cure e nel merito l’accoglimento della domanda proposta.

Si costituiva parte appellata che instava per la reiezione del gravame e la conferma della sentenza appellata.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 416 del 2014, accoglieva l’appello e dichiarava la proprietà di L.V. sull’area contesa. Secondo la Corte distrettuale, nel caso in esame, mancava la prova dell’usucapione, mentre era stata acquisita la prova della proprietà dell’area da parte dell’appellante.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.S. e G.M.G. con ricorso affidato tre motivi. L.V. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso B.S. e G.M.G. lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 1158,1159 e 2697 c.c., circa l’errata individuazione dei presupposti richiesti per l’acquisto ad usucapionem della proprietà dei beni immobili. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi che sottendono alla materia oggetto del giudizio, perchè avrebbe elevato a “fatto costitutivo” della domanda (rectius: eccezione) di usucapione la seguente circostanza “il fatto che il muretto costruito nel 1960 costituisca la linea di confine fra i fondi delle parti contrapposte”. La Corte distrettuale, insomma, non avrebbe considerato che l’indicazione la cui proprietà si pretendeva fosse acquistata per usucapione corrispondeva esattamente a quella porzione di fondo di cui il L. rivendicava la proprietà e, dunque, non era necessario individuare mediante allegazione il bene asseritamente posseduto.

1.1. Il motivo è infondato, perchè l’errore denunciato è frutto di una lettura non corretta e/o non approfondita della sentenza impugnata. Parte ricorrente non tiene conto che gli stessi avevano formulato domanda di usucapione (e se si vuole avevano avanzato eccezione di usucapione), ai sensi dell’art. 1158 e/o 1159 c.c.. Come gli stessi ricorrenti evidenziano con il proprio atto di ricorso (pag. 9) “Sta di fatto che la linea di confine graficamente indicata negli elaborati tecnici allegati al Rogito C. del 1958 (vedasi ancora la copia della planimetria riportata in allegato alla relazione del geom. Z.) è stata materializzata in loco a mezzo di un muretto con sovrastante rete metallica sin dalla fine degli anni ‘60, sicchè, avendo, successivamente, ognuna delle parti (anche tramite i propri danti causa) esercitato il possesso continuo, pacifico e pubblico dei fondi oggetto di causa di loro proprietà sino a detto muretto, in oggi gli esponenti risulterebbero, comunque, proprietari della rivendicata porzione del mappale ***** per maturata (a loro favore) usucapione ordinaria della proprietà della stessa ex art. 1158 c.c.. (..) In ogni caso, anche a voler prescindere dalle vicende relative a detti mappali rapportabili ai loro danti causa, avendo gli esponenti (vedasi Rogito M. prodotto come doc. n. 1) acquistati gli stessi sin dal ***** ed avendo da allora sempre esercitato il possesso sugli stessi sino al citato muro di recinzione, si dovrebbe pur sempre ritenere maturata (a loro favore) l’usucapione decennale ex art. 1159 c.c.”. E’ chiaro, dunque, che, almeno, la pretesa usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., presupponeva dimostrato che il terreno di che trattasi fosse stato trasferito, sia pure a non domino, e nel caso concreto, stando ai termini della domanda proposta, che il muretto, che gli attuali ricorrenti pretendono fosse costruito da almeno 60 anni, costituisse la linea di confine tra i fondi delle parti contrapposte. Epperò, la Corte distrettuale ha accertato che tra le parti non era affatto pacifico che il muretto di cui si dice costituisse la linea di confine tra i due fondi oggetto del giudizio tanto è vero, come specifica la Corte distrettuale, “(…) parte appellante ha sempre sostenuto che la porzione contestata di superficie posta oltre il famoso muretto è di sua proprietà per acquisto fattone con rogito C.. Ciò significa univocamente, ancorchè implicitamente, affermare che il muretto insiste per intero nella porzione in esame in questo giudizio sulla sua proprietà e, conseguentemente, non rappresenta affatto la dividente fra le contrapposte proprietà. Quindi l’onere probatorio di parte appellata include la prova di entrambi i dati di fatto suddetti (…..)”.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., circa l’errata o falsa applicazione delle norme in tema di pronuncia d’ufficio su eccezioni proponibili solo dalla parte. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che la prova del possesso esercitato dai coniugi B./ G., era già presente agli atti e non richiedeva affatto alcun ulteriore mezzo istruttorio posto che il L.V. tenuto ad un vero e proprio onere di contestazione non solo non contestava il possesso vantato ex ad verso ma addirittura riconosceva detto possesso laddove afferma “(…) non si discute il possesso decennale da parte dei convenuti della porzione dell’immobile che in questa sede l’attore rivendica, si contesta che vi sia un qualsiasi titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà della porzione di bene di proprietà del sig. L.V. e, altresì, che vi sia identità tra immobile compravenduto e quello oggetto del possesso dei convenuti (…)”.

2.1. Il motivo è inammissibile per genericità, posto che i ricorrenti non chiariscono in che modo tale “preteso riconoscimento del possesso” sia stato dedotto in sede di appello limitandosi ad affermare che L.V. con la propria prima memoria ex art. 183 (in primo grado) nulla contestava in merito all’ipotesi di usucapione ordinaria ventennale e rispetto all’usucapione abbreviata eccepiva che i coniugi B./ G. non avevano indicato alcun atto astrattamente idoneo a trasferire il bene di cui si dice. Piuttosto, è ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per insanabile contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza impugnata. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale richiamando la rappresentazione grafica predisposta dal CTU non si sarebbe limitata ad attribuire al sig. L. il mappale ***** (che è effettivamente di circa 350 mq secondo la domanda attorea), ma anche il mappale ***** attribuendogli così un’area di più di complessivi 750 mq., ben più di quanto domandato e ben di più di quanto indicato nella motivazione della sentenza.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè generico. A ben vedere la Corte (pag. 13 sent.) ha ritenuto secondo valutazione ragionata e insindacabile nel giudizio di cassazione perchè razionalmente condivisibile che “(….) la superficie del mappale ***** risulta essere di proprietà di parte appellante e non delle parti appellate e nel dispositivo dichiarato la proprietà di L.V. sull’area contesa. A sua volta, ancora, tenuto conto della relazione peritale ha determinato la dividente tra i fondi sul filo della proprietà dell’area suddetta a confine con i mappali ***** di parti appellate, secondo la rappresentazione in scala 1:500 allegata alla CTU da aversi quale parte integrante della sentenza. E’ evidente, pertanto, che la sentenza non contiene l’errore denunciato e/o, comunque, l’errore denunciato avrebbe potuto essere oggetto di giudizio ai sensi dell’art. 287 c.p.c. (correzione di errore materiale) e, in caso di esecuzione forzata, per il rilascio, con atto di opposizione ex art. 615 c.p.c. e ss.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate con il dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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