LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4455/2013 proposto da:
G.S., C.F. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE, 43, presso lo studio dell’avvocato LIVIA LORENZONI, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO BOSSI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
e contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
*****, S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1149/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/10/2012 R.G.N. 776/2011.
RILEVATO
che:
la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1149/2012, nel confermare la sentenza del Tribunale della stessa sede, ha respinto l’opposizione a otto cartelle esattoriali proposte da G.S., amministratore della società G.G. s.r.l., con cui la medesima, precisando di essere iscritta alla Gestione Separata, contestava l’iscrizione pretesa dall’I.N.P.S. anche alla Gestione Commercianti;
la Corte d’Appello, premesso che sulla base dell’interpretazione autentica fornita dal legislatore rispetto alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, l’iscrizione alla Gestione Separata non era ostativa all’iscrizione alla Gestione Commercianti, qualora di quest’ultima ricorressero i presupposti, riteneva che le stesse attività indicate dalla ricorrente (scegliere e trattare con banche ed assicurazioni; firma assegni e disposizioni di pagamento; gestione insoluti; mantenimento pubbliche relazioni etc.), svolte dedicando a ciò tutto il suo tempo, individuassero quella partecipazione al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza che giustificava la ulteriore iscrizione – appunto alla Gestione Commercianti – che era rivendicata dall’ente di previdenza;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la G. con un motivo, resistito da Inps.
CONSIDERATO
che:
col motivo di ricorso la G. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte avrebbe omesso di considerare le critiche mosse con l’atto di appello avverso l’affermazione del Tribunale in ordine ad un presunto valore confessorio dell’originaria domanda di iscrizione alla Gestione Commercianti effettuata dalla ricorrente solo in via precauzionale e che la Corte non avrebbe adeguatamente apprezzato il necessario requisito della prevalenza dell’attività ipoteticamente commerciale svolta dalla stessa;
la questione in ordine all’essersi originariamente la G. iscritta alla Gestione Commercianti, salvo poi contestare la sussistenza di un proprio obbligo in tal senso e quindi la debenza della contribuzione pretesa dall’I.N.P.S., è irrilevante, in quanto il giudice di appello non ha in alcun modo fondato su tale aspetto il proprio convincimento di merito;
è peraltro inammissibile anche quanto elaborato nella restante parte del motivo sub specie del vizio di motivazione;
va intanto precisato che, risalendo la sentenza impugnata al 30.10.2012, ad essa trova applicazione l’art. 360 c.p.c., n. 5, norma ai cui sensi il motivo risulta rubricato, nel testo quale novellato ed attualmente vigente, sicchè attraverso esso non può più desumersi il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, ma solo quello di omesso esame di un fatto decisivo;
d’altra parte la Corte territoriale ha espressamente motivato, nei termini già esposti nella parte narrativa di questa sentenza, rispetto alle ragioni per cui essa ha ritenuto di individuare un’attività commerciale abituale e prevalente, nè la ricorrente ha mosso censure in diritto avverso la ricostruzione operata nella pronuncia impugnata ed ai parametri da essa considerati;
il ricorso va quindi disatteso, perchè in parte il motivo è irrilevante ed in parte afferma l’esistenza di vizi motivazionali che non possono più essere addotti tout court come tali ed infine perchè la valutazione del requisito della prevalenza vi è stata e quindi non può parlarsi neppure di un omesso esame di fatto decisivo, ai sensi della novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qui applicabile ratione temporis;
le spese del giudizio di legittimità vanno regolate sulla base della soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018