Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27658 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 605-2014 proposto da:

REGIONE ABRUZZO, C.F. *****, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO SCELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALENTINA BRAVI giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 339/2012 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata il 31/01/2012 R.G.N. 2233/2011;

avverso l’ordinanza n. 50/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/10/2013 R.G.N. 568/2012;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 339/12, dichiarava il diritto di B.R., dipendente della Regione Abruzzo, alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) a quella di pari ruolo, in base alla L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1 ed emetteva sentenza di condanna generica dell’ente al pagamento delle differenze maturate.

2. Con ordinanza n. 50/13 resa ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., letta all’udienza del 10 ottobre 2013, la Corte di appello dell’Aquila dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Regione, per difetto di una ragionevole probabilità di accoglimento.

3. Contro la decisione di primo grado la Regione proponeva ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 2, allegando copia dell’uno e dell’altro provvedimento (cioè della sentenza del Tribunale e dell’ordinanza di inammissibilità della Corte d’appello).

4. Nel resistere con controricorso il B. eccepiva sia l’inammissibilità del ricorso per decorso del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., sia l’improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 1, per mancato deposito dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello completa della relata di comunicazione.

5. Il P.G. ha ritenuto ammissibile e procedibile il ricorso per essere stato avviato alla notifica il 10 dicembre 2013 e dunque nei 60 gg. dalla pubblicazione dell’ordinanza di inammissibilità ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.., avvenuta il 11 ottobre 2013, come da memoria ex art. 378 c.p.c. del controricorrente; ha poi concluso per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, con decisione nel merito, il rigetto dell’originaria domanda, con compensazione delle spese.

6. In sede di memoria ex art. 380-bis c.p.c. la Regione Abruzzo, preso atto delle pronunce di questa Corte nn. 8688/18, 8561/2018, intervenute nelle more, che hanno dichiarato inammissibili analoghi ricorsi, facendo decorrere il termine breve dalla data della lettura in udienza della ordinanza di inammissibilità del gravame, ha eccepito che nella fattispecie ricorreva una ipotesi di c.d. overruling. Sostiene che fino al 2015 la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto l’art. 348-ter c.p.c. norma speciale laddove fa decorrere il termine breve dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore (Cass. n. 23526 del 2014) e che solo a partire dall’ordinanza di questa Corte n. 25119/2015 l’orientamento giurisprudenziale è mutato quanto al dies a quo del termine, dando rilievo all’ipotesi della lettura in udienza dell’ordinanza di inammissibilità, lettura che tiene luogo della comunicazione di cancelleria.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 3, art. 2, comma 3 e art. 24, della L.R. Abruzzo n. 118 del 1998, art. 1 della L.R. Abruzzo n. 6 del 2005, art. 43 come modificato dalla L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2 alla luce degli artt. 36 e 117 Cost.. Si assume che l’impianto della normativa regionale, su cui si fonda l’impugnata sentenza, risulta adottato in violazione della riserva di competenza alla contrattazione collettiva del profilo retributivo del personale dipendente della Regione Abruzzo, oltre che in violazione dei criteri di riparto fra legislatore statale e regionale, nonchè del parametro regolatore di cui all’art. 36 Cost. Si chiede, pertanto, che sia disapplicata la predetta normativa regionale o, in subordine, che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale delle citate norme, previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione.

2. Con il secondo motivo si denuncia, subordinatamente al mancato accoglimento del primo motivo ritenuto assorbente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L.R. Abruzzo n. 118 del 1998, art. 1 come modificato dalla L.R. Abruzzo n. 6 del 2005, art. 43 e della L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2 criticando la sentenza impugnata per aver legittimato, con la sua interpretazione, un allineamento dinamico verso l’alto della voce retributiva.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ancora la violazione e falsa applicazione della L.R. Abruzzo n. 16 del 2008, art. 1, comma 2, che ha modificato la L.R. Abruzzo n. 6 del 2005, art. 43 letto unitamente al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1,comma 2. Si sostiene che la soluzione accolta dai giudici di merito si basa su una illegittima equiparazione tra i Consorzi costituiti tra enti territoriali, cui si riferisce il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, e i Consorzi di bonifica, che sono enti pubblici non economici.

4. In limine, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in quanto proposto oltre il termine breve decorrente dalla lettura della ordinanza in udienza, avvenuta il 10 ottobre 2013, che costituisce atto di comunicazione del provvedimento alle parti presenti (o che avrebbero dovuto esserlo), rispetto al quale momento ogni successivo adempimento di cancelleria o delle parti resta irrilevante ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione.

5. Sin dalla pronuncia di questa Corte n. 25119 del 14 dicembre 2015 è stato affermato che, in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., allorchè la relativa ordinanza sia stata pronunciata in udienza, il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, da identificare in quello “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, decorre dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’art. 176 c.p.c.

5.1. Successivamente, le Sezioni Unite della Corte hanno recepito l’orientamento espresso da Cass. n. 25119 del 2015, con la sentenza n. 25043 del 2016, emessa proprio in controversia analoga a quella in esame. Con tale sentenza è stato precisato che se l’ordinanza sia stata pronunciata in udienza, il termine per proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, da identificare in quello c.d. breve di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, decorre dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’art. 176 c.p.c. (v. l’ordinanza n. 25119/15).

6. Sulla scorta di tale orientamento, sono state pronunciate le ordinanze nn. 8561 e 8562 del 2018, n. 8688 del 2018 di questa Corte che, in fattispecie in cui l’ordinanza era stata pronunciata e letta in udienza, è stato ritenuto tardivo il ricorso per cassazione proposto dalla Regione Abruzzo in quanto avviato alla notifica oltre 60 gg. decorrenti dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’art. 176 c.p.c..

7. I principi in tema di “prospective overruling” presuppongono un mutamento imprevedibile della giurisprudenza su una regola del processo, che comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte.

7.1. Riguardo all’orientamento pregresso, parte ricorrente cita Cass. 23526 del 2014, che tuttavia era intervenuta su questione diversa e che comunque aveva ribadito la sufficienza della comunicazione, sia essa via p.e.c. che per via tradizionale, dell’ordinanza di secondo grado ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare la sentenza di primo grado nel nuovo sistema dell’art. 348-ter c.p.c. (v. sent. cit. in motivazione, nonchè Cass. ord. 15 maggio 2014, n. 10723).

7.2. Il principio affermato era dunque nel senso che è inammissibile per tardività il ricorso per cassazione, ai sensi del secondo periodo dell’art. 348-ter c.p.c., comma 2, avverso l’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello per carenza di ragionevole probabilità di accoglimento, ai sensi dell’348-bis c.p.c., ove sia proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, quand’anche eseguita a mezzo posta elettronica certificata, dell’ordinanza stessa.

7.3. Tale principio non esclude che la lettura dell’ordinanza in udienza possa tenere luogo della comunicazione di cancelleria. Difatti, nessuna pronuncia aveva escluso siffatta eventualità, che comunque trovava fondamento nell’ordinamento processuale.

7.4. Giova richiamare quanto affermato in Cass. 25119 del 2015 sopra citata: “Va ricordato che l’art. 176 c.p.c., comma 2 dice che “le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi” e, quindi, soggiunge che “quelle pronunciate fuori dall’udienza sono comunicate a cura del cancellerie entro i tre giorni successivi”. Poichè la comunicazione è prevista per le ordinanze pronunciate fuori udienza è palese che il legislatore ha inteso ravvisare avvenuta la comunicazione di quelle in udienza nella conoscenza della loro pronuncia da parte delle parti presenti o che dovevano comparire in udienza. In pratica, volta che si consideri che la comunicazione serve a dare notizia (art. 136 c.p.c., comma 1), cioè ad avvisare la parte che è stato pronunciato un provvedimento, sebbene individuato nella sua natura (atteso che ogni provvedimento è individuato come tale dalla sua natura), il legislatore, quanto nell’art. 176 c.p.c., comma 2, primo inciso, fa riferimento al ritenersi conosciute le ordinanza pronunciate in udienza (che risultano riprodotte a verbale), reputa che il “dare notizia” cui allude l’art. 136 c.p.c., comma 1 si realizzi perchè la parte che è presente o doveva essere presente necessariamente riceve tale notizia dell’adozione del provvedimento dalla sua pronuncia nell’udienza nel caso di presenza e, nel caso in cui la presenza era doverosa, la riceve legalmente, perchè viene considerata come parte presente. Questa esegesi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, ha così consentito di affermare che la decisione sulla competenza (Cass. (ord.) n. 17665 del 2004; (ord.) n. 4401 del 2006; (ord.) n. 16304 del 2007; (ord.) n. 22525 del 2014; (ord.) n. 2302 del 2015), riguardo alla quale il termine di impugnazione è previsto decorra dalla comunicazione (art. 47 c.p.c., comma 2), decorre dall’udienza se la decisione sia stata pronunciata in udienza.

La situazione si è riproposta con la previsione della comunicazione come possibile dies a quo del termine per il ricorso per cassazione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 3 per cui deve ritenersi che, allorquando l’ordinanza di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 1 sia stata pronunciata in udienza, il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2 decorre dall’udienza stessa per le parti presenti in udienza e per quelle che avrebbero dovuto essere presenti, in quanto l’ordinanza si intende loro comunicata dalla cancelleria per effetto della percezione o della possibilità di percezione della pronuncia del provvedimento, emergente dal suo inserimento nel verbale dell’udienza”.

8. La soluzione interpretativa offerta da Cass. n. 25119 del 2015 non costituisce altro che esplicitazione di un principio già presente nell’ordinamento e non enunciazione di un principio contrastante con la giurisprudenza preesistente formatasi in argomento. Tale orientamento non può, dunque, qualificarsi come un’ipotesi di revirement (o overruling) rilevante ai fini della rimessione in termini, non costituendo un mutamento di orientamento repentino ed inopinato, che richieda una tutela dell’affidamento incolpevole della parte in una regola in precedenza enunciata.

9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Quanto al contributo unificato, va rilevato che la Regione Abruzzo è stata difesa in giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato. Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016, n. 23514 del 2014, n. 5955 del 2014). Il contributo unificato, come precisato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9840 del 5 maggio 2011 sulla scia di quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 73 del 2005, ha natura tributaria e tale natura conserva anche relativamente al raddoppio, previsto dal citato L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della che ha introdotto il comma 1-quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 atteso che la finalità deflattiva e sanzionatoria della nuova norma non vale a certamente modificarne la sostanziale natura di tributo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Regione Abruzzo al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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